mercoledì 25 luglio 2007

TRE PER UNO?


Da un uomo solo al comando (pericolo paventato da molti) siamo già arrivati a quota tre. Tre esponenti politici che il prossimo 14 ottobre correranno per assumere la leadership del non ancora nato Partito Democratico. Almeno fino ad oggi giacché vi è la candidatura sub judice di Emma Bonino e Marco Pannella. In ordine rigorosamente alfabetico: Rosy Bindi, Enrico Letta, Walter Veltroni. Il sindaco di Roma, dalla sua, ha pure il ticket con Dario Franceschini : entrambi furono fra i primi a sostenere con forza la necessità di procedere a passi spediti verso la riunificazione di forze politiche progressiste e riformiste. Due personalità che provengono da esperienze diverse ma che dalla loro hanno grande pragmatismo e capacità di infondere entusiasmo (come per'altro si è visto all'indomani del discorso di Torino con cui Veltroni accettò la candidatura). Che poi è quel di cui tutti abbiamo bisogno dopo mesi di grandi depressioni politiche! Dunque tre candidati per il momento. E fin qui c’è da essere ottimisti per questi segnali di vitalità che scuotono la sempre asfittica politica nostrana. Poi però vien da chiedersi: candidati a cosa? A guidare un partito che ancora non c’è. Un partito di cui ancora non si conosce il programma. Esso mi appare (purtroppo: giacché - e lo dico subito a sgombrare facili equivoci - io da sempre mi sono schierato a favore del PD) come una scatola vuota in attesa di qualcuno che inizi a riempirla di contenuti. Speriamo che questi contenuti caratterizzino la campagna elettorale di ciascun candidato. Non vorrei, infatti, che la scelta degli elettori si basasse solo sulle logiche di appartenenza - o peggio sulle lotte intestine ai due maggiori partiti - anziché su quale fra i candidati interpreti meglio l’idea che ciascuno di noi ha della società, di questo nostro Paese. Una cosa positiva comunque la stiamo vedendo: e cioé che attraverso queste candidatura si sta palesando, finalmente, quel ricambio generazionale che sembrava impossibile da realizzare nella nostra società. Un ricambio generazionale che deve necessariamente puntare ad un cambiamento reale nel modo di fare politica, nel modo di porsi di fronte ai tanti affanni di cui soffre il Paese nella consapevolezza che, mai come oggi, vi è il dovere morale di proporre visioni strategiche proiettate sul futuro e non sull'immediato. Penso anche che una prima verifica di quanto sia concreta la novità del nascente PD sarà rappresentata dalla reale volontà di modificare l'attuale legge elettorale. Se a fronte delle tante dichiarazioni di intenti che vengono da più parti, dovessimo scoprire che in realtà nessuno vuole rimettere in discussione i privilegi garantiti da collegi sicuri ove corrono candidati scelti dalle segreterie nazionali anziché espressione del territorio, allora vorrà dire che davvero il PD sta nascendo molto male. E francamente a me le "liste bloccate" con cui voteremo il 14 ottobre non sembrano un buon punto di partenza.

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