POLITICA INDUSTRIALE
Difficile non considerare Sergio Marchionne ingeneroso nel dimenticare che il destino della Fabbrica Italiana Automobili Torino è dipeso dai moltissimi incentivi che diversi governi hanno concesso nei decenni. E però nel contempo stupisce che la politica italiana abbia volutamente omesso di commentare ciò che è stato - io credo - il nodo centrale del ragionamento che l'amministratore delegato della Fiat ha fatto l'altro giorno da Fabio Fazio. C'è una domanda a cui ancora oggi la politica italiana non riesce a rispondere: può l'Italia essere il "paese giusto" dove un'idea imprenditoriale possa svilupparsi al punto da diventare multinazionale? Oppure il destino di questo nostro Paese è quello di diventare solo sede di succursali di aziende che in altri paesi hanno la loro sede centrale? Altrimenti detto: quante aziende italiane possono davvero dirsi multinazionali? Perché i dati e le riflessioni di Marchionne sono difficilmente controvertibili. Ha ragione quando afferma che l'Italia non è competitiva. Ha ragione quando afferma che in Italia abbiamo un basso tasso di produttività. Ha persino ragione quando afferma che in Italia vi è la necessità di una nuova politica del costo del lavoro. Perché il salario netto che un operaio percepisce è molto, ma molto, più basso di quello lordo e ciò perché viene gravato d auna quantità enorme di tasse. Per'altro (lo afferma Il Corriere della Sera di oggi) come possiamo pensare che sia possibile oggi che la politica si occupi (finalmente!) di industria, di lavoro se in un anno le Camere hanno approvato soltanto 10 leggi? Se dal 1 gennaio Montecitorio si è riunito 126 volte ed il Senato 92? In quale luogo maggioranza e opposizione dovrebbero confrontarsi per cominciare a ragionare sul futuro di questo Paese? Marchionne sarà pure stato ingeneroso nei confronti del Sistema Italia ma come ha dichiarato Casini le sue parole possono essere più o meno simpatiche ma non fanno una piega.
Che la forza sia con voi!
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