martedì 18 dicembre 2007

LA SETE


Ecco un'altra notizia che, purtroppo, non troverete nei quotidiani né potrete ascoltare nei telegiornali. In Brasile, esiste un fiume - il rio San Francisco - che, coi suoi 2700 kilometri, è il terzo fiume dell'intera nazione. Un immenso serbatoio d'acqua che riesce ancora (nonostante di anno in anno la sua portata sia in costante diminuzione) a dissetare 15 milioni di persone, sparse in 5 regioni del nordest brasiliano. Ebbene: il governo del presidente Lula (eletto grazie al voto determinante dei ceti più poveri del Brasile) sostiene un progetto che prevede la deviazione del corso di questo fiume. Ufficialmente, l'obiettivo dichiarato è quello di poter affrontare la siccità nella regione del Pernambuco. In realtà contro questo progetto si sono schierate moltissime associazioni e movimenti come, ad esempio, il Movimento dei lavoratori senza terra e la Commissione Pastorale della Terra. Costoro denunciano che in realtà i benefici di questa deviazione non andranno alle popolazioni quanto piuttosto serviranno ad irrigare gli enormi latifondi che ancora sono presenti in Brasile. Al loro fianco si è schierato un vescovo di 61 anni e di origine italiana, monsignor Luiz Flavio Cappio, che da oramai 3 settimane ha iniziato uno sciopero della fame. E che, per questa idea, è convinto di lasciarsi morire.

Che la forza sia con voi

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1 Commenti:

Blogger Nico Narsi ha detto...

Bel post, davvero.
Ad onor del vero, comunque, ne ha parlato anche la stampa, nei giorni scorsi. Mi ricordavo di averne letto qualcosa sul Corriere; ho cercato, ed ecco qui:
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Corriere della Sera, 13 dicembre 2007

Don Cappio: «mangerò solo quando il piano verrà cancellato e l'esercito se ne andrà»

Brasile, il digiuno del vescovo ferma Lula
Sospeso da un tribunale di Bahia il progetto di deviazione del fiume São Francisco



SOBRADINHO (Brasile) — Un vescovo smagrito nel saio francescano, un fiume da difendere e una lotta quasi impossibile. «Ma io vado avanti, affinché il presidente Lula e il Vaticano sappiano di che tempra sono fatti i Cappio, piemontesi veri». Sorridono Gianfranco, Rita e Rosamaria e passano al fratello un bicchiere con acqua, un pizzico di sale e due cucchiaini di zucchero. È l’unico alimento che Don Luiz Flavio Cappio, 61 anni, figlio di emigranti vercellesi, ingerisce da sedici giorni, qui in una cappella nel mezzo del sertão, il deserto del Brasile. È il più clamoroso sciopero della fame mai fatto da un prelato e il segno dell’imbarazzo è il silenzio. «Dal nunzio apostolico e da Roma nemmeno una telefonata», dice. «Non sono d’accordo con me? È probabile, non lo sono nemmeno i miei familiari. Eppure loro sono qui ad aiutarmi».

Sono anni che Don Luiz lotta contro un sogno perseguito da molti governi del Brasile, sottrarre acqua al corso del fiume São Francisco, un gigante da 3.000 chilometri, per irrigare una vasta regione semiarida e povera. È la terra dove è nato Lula, ed è proprio l’ex emigrante che vuole lasciare al Brasile la grande opera per antonomasia, due bracci che ricevono acqua dal fiume, e un sistema di canali per coprire un’area dove vivono 12 milioni di abitanti. Il progetto è stato approvato, finanziato e ha avuto l’ok di impatto ambientale. Il governo sostiene che l’acqua tolta al corso principale non supera l’1,4 per cento della portata e in cambio i vantaggi saranno enormi. Per il benessere delle famiglie e l’economia locale. Il vescovo è alla seconda protesta. Due anni fa tornò a mangiare dopo undici giorni. Preoccupato, Lula promise una pausa di riflessione sul progetto e l’inizio del dialogo. «Una presa in giro —spiega —. Non abbiamo mai discusso nulla e il governo è andato avanti. Appena è arrivato l’esercito e hanno iniziato a sbancare la terra ho deciso di ricominciare. E di andare avanti, fino alle estreme conseguenze». Poi è il politico a parlare: «Il progetto è bello solo nell’ottica degli imprenditori, dell’agrobusiness e della cosiddetta economia globalizzata.

L’acqua servirà ad irrigare i grandi latifondi e dal deserto sorgeranno frutta e vino. Alla gente non resterà nulla. Se volessero, potrebbero tirar fuori l’acqua che già esiste, costruire un acquedotto. Lula è una grande delusione, per me e tutti i movimenti sociali del Brasile che lo hanno appoggiato». Alla cappella di San Francesco, scelta come sede della protesta vicino al lago artificiale di Sobradinho, si affollano tutto il giorno volontari e militanti. Ci sono bandiere rosse e computer per informare il mondo. Il vescovo alterna preghiere a conversazioni con la gente e conferenze stampa, ma ogni due ore viene sottratto dai familiari. Deve riposare. Sta abbastanza bene, ha perso solo quattro chili. Niente staff medico, solo un amico che gli misura la pressione. Dice che la conferenza episcopale brasiliana è con lui, e poco importa per le alte gerarchie. Insistiamo sulla contraddizione: un religioso non può suicidarsi, la Chiesa non può appoggiarlo. «La morte individuale è un dettaglio, un moralismo. In teologia il vescovo è il pastore che dà la vita per il suo gregge, non è padrone della sua vita. Io non posso tradire la mia missione, sono al fianco di una società marginalizzata da secoli, il Nordest brasiliano è una valle di lacrime e dolore». Ma poi la ributta in politica. «La mia lotta sta facendo risvegliare i movimenti sociali, addormentati da quando Lula è al potere».

È una sfida, sì, la risposta a una delusione. «Il presidente ha alzato le spalle quando gli hanno detto che avevo ripreso il digiuno. Sta diventando una moda, ha detto. Non credo Lula, non può diventare moda una cosa così dura, tremenda. Te lo assicuro con il mio corpo». Martedì è arrivata una sentenza della giustizia dello stato di Bahia, che sospende i lavori sul fiume. «Non mi basta. Il governo federale può ribaltarla. Io torno a mangiare solo quando si verificheranno due condizioni: il progetto viene cancellato per sempre e l’esercito se ne va da qui». Il fratello Gianfranco è ottimista, e tragico allo stesso tempo: «Roma deve saperlo: il Brasile non può festeggiare il Natale con il cadavere di un vescovo cattolico morto per il suo popolo». Don Luiz parla italiano, ma ha paura di infilarci troppe parole in dialetto piemontese e desiste subito. Quando prese gli ordini, la prima cosa che volle fare suo padre fu portarlo al paese di origine, Occhieppo Superiore, oggi provincia di Biella, e fargli celebrare una messa. Torniamo a parlare di Roma. C’è sempre l’obbedienza ai superiori nelle regole ecclesiastiche, perché non tentano di farla smettere? «A un vescovo si danno consigli, non ordini. Possono chiedere, ma non l’hanno fatto. E poi tra il Papa e un vescovo non ci sono intermediari». E se chiamasse proprio il Papa chiedendole di smettere? Don Luiz si ferma un attimo. «Non succederà mai, non discutiamo sui sogni».

Rocco Cotroneo

20 dicembre 2007 alle ore 09:11  

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