lunedì 29 giugno 2009

SPERANZE



Buon lunedì....


1) L'ho già scritto e lo ripeto: vi sono programmi, film, documentari che meriterebbero di essere diffusi nelle scuole di tutta Italia e non mandati in onda, dalla televisione pubblica a tarda ora. Ieri sera, ad esempio, Rai 3 ha trasmesso Guido che sfidò le Brigate Rosse, film del 2007 (e mai visto nelle sale cinematografiche da cui la durissima presa di posizione del regista, Giuseppe Ferrara, che si appellò anche al presidente Napolitano) che racconta la vita di Guido Rossa (nel film interpretato d auno straordinario Massimo Ghini), bellunese trapiantato a Genova, alpinista e operaio metalmeccanico, sindacalista e assassinato (il 24 gennaio del 1979) dalla colonna ligure delle Brigate Rosse perché reo di aver denunciato un collega di lavoro (condannato poi a poco più di 4 anni e suicidatosi in carcere) che distribuiva volantini ineggianti ai terroristi.


E' un film - denuncia di straordinario impatto emotivo, costruito su documenti dell'epoca. Semplicemente emozionante la ricostruzione di cosa avvenne dopo l'omicidio: uno sicopero generale con Enrico Berlinguer (allora segretario del PCI) che denunciò il clima di solitudine in cui Rossa si trovò dopo la denuncia. E la scenba dell'arrivo dell'allora Presidente della Repubblica, sandro Pertini, alla camera ardente, il gesto di posare sul petto di Rossa la medaglia al valor civile, la carezza sul volto ricomposto del sindacalista. Alla fine del film, prima dei titoli di coda, poche frasi che dopo aver ricordato le 491 vittime del terrorismo rosso sostiene che "il terrorismo è stato il responsabile della virata a destra del nostro Paese": frase su cui vale la pena riflettere. E molto.






2) Ma bisogna riflettere anche su questo: Rita Clementi ha 47 anni, 3 figli, ed è una delle scienziate scientifiche italiane più importanti in virtù delle sue ricerche in campo oncologico. Ha scritto al Presidente della Repubblica (lettera pubblicata oggi da Il Corriere) per comunicargli l'intenzione/decisione di andarsene da questo Paese che la costringe ad essere, ancora, precaria:
Caro presidente Napolitano, chi le scrive è una non più giovane ricercatrice precaria che ha deciso di andarsene dal suo Paese portando con sé tre figli nella speranza che un’altra nazione possa garantire loro una vita migliore di quanto lo Stato italiano abbia garantito al­la loro madre. Vado via con rab­bia, con la sensazione che la mia abnegazione e la mia dedi­zione non siano servite a nulla. Vado via con l’intento di chie­dere la cittadinanza dello Stato che vorrà ospitarmi, rinuncian­do ad essere italiana.
Signor presidente, la ricerca in questo Paese è ammalata. La cronaca parla chiaro, ma oltre alla cronaca ci sono tantissime realtà che non vengono denun­ciate per paura di ritorsione perché, spesso, chi fa ricerca da precario, se denuncia è auto­maticamente espulso dal «siste­ma » indipendentemente dai ri­sultati ottenuti. Chi fa ricerca da precario non può «solo» contare sui risultati che ottie­ne, poiché in Italia la benevo­lenza dei propri referenti è una variabile indipendente dalla qualità del lavoro. Chi fa ricer­ca da precario deve fare i conti con il rinnovo della borsa o del contratto che gli consentirà di mantenersi senza pesare sulla propria famiglia. Non può per­mettersi ricorsi costosi e che molto spesso finiscono nel nul­la. E poi, perché dovrebbe adi­re le vie legali se docenti dichia­rati colpevoli sino all’ultimo grado di giudizio per aver con­dotto concorsi universitari vio­lando le norme non sono mai stati rimossi e hanno continua­to a essere eletti (dai loro colle­ghi!) commissari in nuovi con­corsi?
Io, laureata nel 1990 in Medi­cina e Chirurgia all’Università di Pavia, con due specialità, in Pediatria e in Genetica medica, conseguite nella medesima Uni­versità, nel 2004 ho avuto l’onore di pubblicare con pri­mo nome un articolo sul New England Journal of Medicine i risultati della mia scoperta e cioè che alcune forme di linfo­ma maligno possono avere un’origine genetica e che è dun­que possibile ereditare dai geni­tori la predisposizione a svilup­pare questa forma tumorale. Ta­le scoperta è stata fatta oggetto di brevetto poi lasciato decade­re non essendo stato ritenuto abbastanza interessante dalle istituzioni presso cui lavoravo. Di contro, illustri gruppi di ri­cerca stranieri hanno conferma­to la mia tesi che è diventata ora parte integrante dei loro progetti: ma, si sa, nemo profe­ta in Patria.
Ottenere questi risultati mi è costato impegno e sacrifici: mettevo i bambini a dormire e di notte tornavo in laboratorio, non c’erano sabati o domeni­che...
Lavoravo, come tutti i precari, senza versamenti pen­sionistici, ferie, malattia. Ho avuto contratti di tutti i tipi: borse di studio, co-co-co, con­tratti di consulenza... Come ul­timo un contratto a progetto presso l’Istituto di Genetica me­dica dell’Università di Pavia, fi­nanziato dal Policlinico San Matteo di Pavia.
Sia chiaro: nessuno mi impo­neva questi orari. Ero spinta dal mio senso del dovere e dal­la forte motivazione di aiutare chi era ammalato. Nel febbraio 2005 mi sono vista costretta a interrompere la ricerca: mi era stato detto che non avrei avuto un futuro. Ho interrotto una ri­cerca che molti hanno giudica­to promettente, e che avrebbe potuto aggiungere una tessera al puzzle che in tutto il mondo si sta cercando di completare e che potrebbe aiutarci a sconfig­gere il cancro.
Desidero evidenziare pro­prio questo: il sistema antimeri­tocratico danneggia non solo il singolo ricercatore precario, ma soprattutto le persone che vivono in questa Nazione. Una «buona ricerca» può solo aiuta­re a crescere; per questo moti­vo numerosi Stati europei ed extraeuropei, pur in periodo di profonda crisi economica, han­no ritenuto di aumentare i fi­nanziamenti per la ricerca.
È sufficiente, anche in Italia, incrementare gli stanziamenti? Purtroppo no. Se il malcostu­me non verrà interrotto, se chi è colpevole non sarà rimosso, se non si faranno emergere i migliori, gli onesti, dare più soldi avrebbe come unica con­seguenza quella di potenziare le lobby che usano le Universi­tà e gli enti di ricerca come feu­do privato e che così facendo distruggono la ricerca.Con molta amarezza, signor presidente, la saluto.
Rita Clementi
3) E' da molto che non parlo delle mie letture. Lo faccio oggi con una lettura "leggera". Si tratta dell'ultimo romanzo di Giorgio Faletti, Io sono Dio (Baldini Castoldi Dalai). Ho amato moltissimo la sua opera prima (Io uccido, 4 milioni di copie vendute), meno la seconda (Fuori da un evidente destino). Ma ora credo che davvero Faletti abbia raggiunto la sua masisma maturità espressiva: scrittura veloce alternata a momenti più riflessivi, una trama costruita su continui flashback che, poco a poco, disvelano l'ossatura della vicenda, personaggi che irrompono sulla scena con pochissime descrizioni perché costruiti man mano che le pagine si accavallano. Insomma: un gran bel romanzo.
Che la forza sia con voi!



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