venerdì 6 marzo 2009

DA RIVALUTARE????


Da Il Corriere della Sera, edizione odierna



«Bruciai voti ma sulle tasse avevo ragione»
Prodi: non sappiamo più creare una classe dirigente, una volta veniva da cellule e parrocchie
di Fabio Cavalera

«Tassazione? Questa parola così tanto demonizzata...». Romano Prodi se ne stava zitto da parecchio tempo. Dopo la debacle governativa il pensionamento politico e mai più un commento sul nuovo corso dell’Italia. Ma come poteva negarsi agli studenti e ai professori italiani della prestigiosa Oxford che, a quasi un anno di distanza dal suo addio a Palazzo Chigi, lo hanno voluto (mercoledì pomeriggio e tutto ieri) alla Taylor Institution per sentirlo ragionare, sì, di Europa e di Cina ma pure e in principal modo di Italia? Romano Prodi ha rotto il ghiaccio e, senza mai nominare Berlusconi o D’Alema, Fini o Veltroni, Bossi o Franceschini ha esposto il suo pensiero ed esternato il suo stato d’animo nei confronti di ex compagni di cordata e di eterni avversari. «Il nostro Paese ha diverse emergenze. Fra queste una è evidente: non sappiamo più selezionare una valida classe dirigente». Nostalgia del passato? No, semmai una constatazione: «Pensiamola come vogliamo però parrocchie e cellule erano una scuola di formazione severa, attenta, efficace. Oggi, quando ascolto un giovane che si presenta con la formula magica del votatemi perché sono estraneo a tutto rimango molto perplesso. E’ il vuoto». Lui, Romano Prodi non è più il leader del centro- sinistra ma sembra richiamare gli "eredi" alle battaglie storiche. Quella sul controllo del media e delle televisioni: «L’antitrust è la base della democrazia. Occorrono una disciplina e un controllo pubblico molto più forti sugli assetti proprietari. L’Italia è un’anomalia mondiale».
La crisi economica offre al «professor Romano Prodi, economista prestato alla politica» (questa è la formula del secondo dibattito tenuto a Oxford), sul piatto d’argento, l’opportunità di sciogliere la lingua. Il sistema Italia è uscito un po’ meno ammaccato dal terremoto finanziario. Sia per ingenuo e sano provincialismo («Se andavate a Sassuolo a parlare di subprime vi prendevano a frustate») sia per lungimiranza delle banche che hanno evitato di concedere mutui senza adeguate coperture di garanzia. Ma i tempi sono comunque terribili e la via d’uscita è lontana. Qualcosa andrà pur fatto. «Per vent’anni la parola d’ordine è stata: lasciamo che il mercato si autoregolamenti. Chi non la pensava così era fuori dal giro degli economisti che contano. E ora? Ora che siamo al fallimento si tornerà a riflettere sul welfare e sulle tasse». Le svalutazioni delle monete nazionali non sono più una medicina somministrabile e allora si devono battere altre strade. Ritorna lo Stato. Con le tasse?
«Dio solo sa quanti voti ho bruciato e quanti amici mi hanno voltato le spalle per avere sempre affrontato con coerenza un tema tanto delicato. L’abbiamo demonizzata, la tassazione, come se fosse un tabù o il male supremo. Adesso ne dobbiamo tornare a discutere. Un governo saggio non ha paura sia di mettere sul tavolo la lotta all’evasione sia di adottare intelligenti politiche di riequilibrio. L’equità fiscale è un collante necessario in un Paese serio. E da qui si passerà».

L’Italia è schiacciata dal debito causato dalle «follie degli anni Ottanta»: settanta miliardi di euro da pagare ogni dodici mesi per interessi. Se ne esce «o facendo le formichine per un decennio ma la politica rende difficile questa strategia oppure attraverso la tassazione. Con equità, ripeto, e con la penalizzazione di chi non paga». L’Italia ha molte diversità che vanno affrontate (il Mezzogiorno è una grande sfida che se non viene vinta ci lascerà indietro nei nuovi equilibri globali). Eppure, abbiamo le carte in regola per svolgere anche in ambito internazionale un ruolo importante di mediazione. «La strada maestra è l’Alleanza Atlantica ma appiattirsi su Washington o su Mosca è perdente. Abbiamo da dire molto nel Mediterraneo, nei Balcani, nell’Europa dell’Est. Dobbiamo cercare la nostra autonomia che ci dà autorevolezza. Il mondo non è più unipolare». Io, ha rivendicato Prodi, l’ho dimostrato ritirando le truppe dall’Irak. «E Bush quando mi incontrò al G8 a San Pietroburgo mi strinse la mano: mi sarei meravigliato se tu non lo avessi fatto, hai vinto le elezioni con questa mossa». Uno studente italiano di Oxford alla fine lo ha avvicinato: possiamo cambiare l’Italia? La ricetta di Prodi è questa: «Non ascoltate chi urla, la storia offrirà presto l’occasione».

Che la forza sia con voi!


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