giovedì 5 marzo 2009

LAICITA


Ho pensato a lungo se pubblicare o meno il testo integrale dell'intervento che Francesco Rutelli ha fatto al Congresso del Partito Radicale. Poi, sabato scorso, durante un bell'incontro a Marcon in cui, finalmente, abbiamo discusso di Politica, ho sentito una affermazione che mi ha colpito molto: "la laicità non è la separatezza tra le istituzioni democratiche e la gerarchia cattolica quanto piuttosto la separatezza tra le istituzioni democratiche e tutte le forme di totalitarismo". Oggi ripensando a quella frase, ho sciolto le riserve e ho deciso di pubblicarlo.


Da diversi anni non partecipo a un appuntamento come questo, del Partito radicale. E, per farlo, per accettare l’invito che ho ricevuto da Marco Pannella ho scelto forse il momento più difficile.Il momento in cui una campagna politica che voi avete condotto per molto tempo in solitudine – quella per l’eutanasia, e comunque per regolare le volontà dell’individuo nel tratto finale dell’esistenza – è diventata uno dei punti più rilevanti dell’agenda politica e legislativa.Non è la prima volta - e non sarà l’ultima, certamente – che questo si verifica: la capacità dei radicali di proporre, imporre (non di rado, disperdere) delle questioni inaspettate, eterodosse, anticipatrici, critiche, è una costante per quello che Pannella giustamente ricorda essere ormai il più antico tra i partiti politici italiani, fondato più di mezzo secolo fa nel cinema Cola di Rienzo a Roma.Non sono però venuto, oggi, a darvi ragione. In verità, più che per contraddirvi, sono venuto per portare le mie ragioni, le mie convinzioni, e alcuni argomenti. So che non sarà facile.Prima di questi argomenti vorrei affrontare qui quello che per alcuni è motivo di ostilità e avversione nei miei confronti. E, per molti tra loro, non in malafede, a mio avviso. Parlo dello scandalo di un ex-radicale; di Rutelli che è stato a 26 anni segretario nazionale del PR e che per un decennio è stato militante a tempo pieno di quel partito – prima che chiudesse i battenti come forza nazionale e invitasse noi militanti a scegliere un nuovo approdo nella politica italiana. Da allora sono passati altri vent’anni; e se poco ci si occupa, in generale, di vedere dove fossero allora importanti dirigenti politici (che erano comunisti, o fascisti, o anche estremisti) che oggi sono a destra o a sinistra, nel mio caso questo tuttora pesa, e rileva. Penso sia giusto. Perché non ho avuto passioni piccole allora, e non ne ho piccole oggi. Non vi parlerò del mio essere cristiano. Perché è il mio essere cristiano, e non appartiene ad altri, anche se certo non è da nascondere nell’agorà, nella comunità. Vorrei parlarvi della distanza delle motivazioni e dei giudizi, delle differenze nelle scelte, in questi vent’anni. Chi c’era allora, nel partito radicale del 1979 o dell’82, ricorda qual è stata la battaglia cui noi dedicammo le più grandi energie, l’entusiasmo e la forza che avevamo, inclusi decine di giorni di scioperi della fame; decine di migliaia, collettivamente. Fu la campagna contro lo sterminio provocato dalla fame nel mondo. Io sono arrivato dopo il referendum sul divorzio, la grande battaglia che voleva porre fine all’indissolubilità del matrimonio nell’ordinamento civile; ho vissuto una parte di quella sull’aborto, e posso testimoniare il sentimento presente in molti, sull’aborto come sofferenza sempre e comunque; e sull’obiettivo di una legge per ridurre il male, e la vergogna, di centinaia di migliaia di interruzioni di gravidanza clandestine all’anno. Ma i miei anni – quasi nessuno lo ricorda oggi - furono soprattutto gli anni di una battaglia pazzesca. Di una sconfitta, malgrado tanti riconoscimenti ipocriti. Di una rimozione sostanziale, nei decenni successivi. Ho ritrovato ieri sera, sulla strada per venire qui, questo giornale che facevo allora – Alternativa Nonviolenta, realizzato con ragazzi che oggi sono chi in Parlamento, chi al TG1, chi al “Giornale”, chi in altre professioni – dove si legge: “sembra folle, ma si può fare: un decreto di vita”. Ancora: “il terreno dell’indifferenza era il tappeto umano degli sterminati. Un mare di corpi massacrati, largo, ogni anno, centinaia di chilometri. Ma senza pietà che li riguardasse”.Scrisse Leonardo Sciascia che “come il personaggio di De Filippo appariva maniacale ai familiari e agli amici nella ‘paura numero uno’ della guerra-fame, credo che così appaia ai più Pannella quando parla della fame nel mondo. Come se la fame nel mondo fosse una sua invenzione”. E invece, come disse Emma Bonino, “noi radicali abbiamo scelto questo tema, non come uno dei tanti, ma come il tema del nostro tempo e della nostra epoca”.Quella fu la prima battaglia di umanesimo laico che io abbia potuto intendere compiutamente come tale. Non posso riflettere in pochi minuti sul perché fu intrapresa, come fu condotta, che risultati ottenne, perché alla fine fu abbandonata. Posso riprendere, però, il filo che ha mosso molte persone – anch’io tra quelle – ad accettare che l’agenda delle idee ricevute fosse stravolta da quell’intuizione. Fu una sorta di tormento – a sua volta tormentato da molti dubbi sull’efficacia di ciò che facevamo- per l’esclusione, il silenzio, l’indifferenza nei confronti del valore concreto della vita umana, che usciva dalle letture politicamente, ideologicamente, pragmaticamente corrette. E’ su questo che io voglio interpellarvi oggi, perché credo che tuttora tra i motivi basilari per cui si forma un partito politico democratico debba essere la difesa della dignità della vita umana. Credo appartenga a questo orizzonte di valori la comune battaglia per abolire la pena di morte nel mondo: senza i radicali italiani non avrebbe mai raggiunto i risultati che ha ottenuto in questi anni.In un quarto di secolo, però, moltissimo è cambiato: la mia è la prima generazione che passa dall’antropologia della “naturalità della morte” alle rivoluzioni tecnologiche legate alle scienze della vita. Perciò penso che se il problema basilare della politica è lo stesso di sempre, non ha senso riproporlo come se il mondo fosse lo stesso.Vi porto alcuni esempi, per riflettere; non certo per emettere sentenze.Guardiamo agli interrogativi legati alla clonazione, alla fabbricazione di ibridi, alle cosiddette chimere; alle potenzialità scientifiche rivoluzionarie, associate ad interrogativi ancora più grandi, delle manipolazioni del DNA umano (incluse le discriminazioni legate agli aspetti commerciali); o, ancora, la diffusione massiva di droghe e sostanze chimiche psicotrope – altro che gli spinelli di venti o trent’anni fa! – che sta portando la generazione dei miei figli verso conseguenze psicologiche, sanitarie e sociali incalcolabili. Sono esempi disomogenei, diversissimi tra loro; ma mi aiutano a dirvi quel che penso: che i fautori di un umanesimo laico contemporaneo debbano schierarsi a difesa delle vite più fragili e più minacciate, e non di un illusorio liberismo bioetico, a causa del quale prevedo che noi saremo posti drammaticamente sotto inchiesta, sotto accusa, negli anni a venire.La campagna contro lo sterminio per fame, dunque, fu una sconfitta. Credo sia stata questa battaglia completamente controvento, e questa sconfitta, a rafforzare in me ciò che forse i radicali più mi hanno insegnato. A stare a schiena dritta in minoranza. E, tuttavia, a non rinunciare, mai, all’ambizione della maggioranza. Conservo gelosamente – se posso aprire questa parentesi personale – anche un altro valore che la militanza radicale ha rafforzato in me, e che prendo dall’espressione di un altro grande drammaturgo italiano: il piacere dell’onestà. E vi dò atto che questo è un motivo di identità ed orgoglio per i dirigenti radicali che sono in questa sala. C’è qualcosa che, viceversa, non mi avete insegnato: l’arte della perseveranza nel lavoro con l’alleato. E, già che ci sono, neppure mi avete sempre insegnato l’autenticità e la pienezza della considerazione e del rispetto verso l’altro da noi. Quanto ne ho – forse pochissimo, non so - è il frutto dei miei vent’anni da non radicale.Io porto rispetto e considerazione verso le persone che qui dentro e fuori di qui giudicano un tema di umanità – e non di disumanità – consentire che una persona possa concludere in base alla propria volontà e senza sofferenze insopportabili il percorso della propria esistenza.Non posso invece farmi una ragione del fatto che vengano considerate retrograde, prossime all’apologia della tortura, se non mosse esclusivamente dalla volontà di assecondare la gerarchia cattolica, o da convenienze politicanti, le persone che pensano l’opposto.E’ probabile che oggi nella nostra società la mia opinione sia minoranza. Questo mi induce a riflettere di più, non di meno. Mi spinge a diventare uno degli avvocati della “Casa dei risvegli” di Bologna, piuttosto che di una normativa che permetta di “staccare la spina” in modo meno complicato. Fulvio De Nigris, un uomo di sinistra che dirige quel centro per la ricerca sul coma, mi ha scritto: “ci vorrebbe un vero testamento di vita anche nella convivenza con la malattia”.Io penso sia giusto difendere la vita imperfetta; non certo con cure, né alimentazione e idratazione che procurino più danni che sollievo a un organismo che ormai le rifiuti: per questo ho proposto che sia l’alleanza tra medico e paziente a dover decidere. In ultima istanza, la scienza e la coscienza del medico, che –solo – è in grado di valutare se nuove acquisizioni possano ribaltare anche l’idea delle cure e delle sofferenze future che si era formato chi abbia redatto un “testamento biologico”. Le vite imperfette, le vite abbandonate, le vite deformate hanno il diritto di sapere che la comunità si occupa primariamente di loro. Questo è un fondamento di un possibile umanesimo laico, in un paese nel quale sembra ci stiamo progressivamente assuefacendo all’idea che faccia parte dell’orizzonte sociale il fatto che un ragazzo dia fuoco a un barbone su una panchina delle nostre città. Credo in ciò che ha detto un uomo di teatro che è anche un poeta, Alessandro Bergonzoni: credo in “un bel forse davanti al limite”.Ho terminato. Tutto sommato, da quando non abbiamo militato insieme, voi vi siete mostrati più stabili di me. Non perché io mi sia spostato di posizione politica: sempre un democratico – liberale, ambientalista, riformista - per quanto terribilmente moderato, secondo molti! Voi siete rimasti radicali, il che nelle elezioni politiche vi ha consentito di allearvi una volta con Berlusconi, una volta con l’Unione, una volta con nessuno; e una volta – questa, e con il mio parere favorevole – di far parte delle liste del PD. Eppure, siete bravi: ad altri si chiede conto delle proprie rinnovate esperienze, a voi si dà atto di questa tolemaica stabilità.Per venire al mio primo Congresso radicale feci un breve viaggio alla volta di Firenze. Novembre 1975; avevo 21 anni. Nella domenica conclusiva, avrebbe dovuto parlare Pierpaolo Pasolini. Io l’avevo incontrato pochi giorni prima sulle scale della sua palazzina dell’EUR, che era la stessa della mia ragazza di allora. Gli chiesi, timidamente, se davvero sarebbe venuto a Firenze per il Congresso radicale. Mi disse di si. Ma non venne; sarebbe stato ammazzato all’Idroscalo di Ostia; ricordo che il suo discorso fu portato da Gianni Borgna e Goffredo Bettini. Questo viaggio di oggi è meno denso di interrogativi rispetto a quello del ragazzo di 34 anni fa. Ma non vuole essere meno denso nel dialogo. Se la politica è l’arte del possibile, è il dialogo il luogo della crescita della libertà. Per questo sono stato felice – nella divergenza e nel dissenso – di potervi dire quello che penso, questa sera. E ve ne ringrazio.
Che la forza sia con voi!



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1 Commenti:

Blogger Andrea Buoso ha detto...

Continuo a chiedermi perché lo prendano così in giro, da sinistra.
Anzi, forse l'ho capito fin troppo bene.

6 marzo 2009 alle ore 13:13  

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