mercoledì 30 settembre 2009

INARRESTABILI?

Mentre il sondaggio effettuato da GPG dice che

Una corsa inarrestabile. Un successo clamoroso. Dopo l'exploit del Carroccio alle Europee (10,2%), continua nei sondaggi l'ascesa del movimento di Umberto Bossi. In Padania e anche nelle Regioni centrali. Secondo la rilevazione effettuata da GPG il 16 settembre, in Veneto la Lega è salita al 34,5%, nettamente il primo partito: +6,1% rispetto a giugno e +1,5 sul dato di fine agosto. In Liguria il Senatùr ha raggiunto il 13% (+3,1 e +2). In Emilia Romagna il balzo del Carroccio è sorprendente: 15,5% (+4,4 e +1). In Lombardia i padani sono oramai a un passo dal Popolo della Libertà, arrivando al 28% (+5,3 e +2) contro il 30%. Dati choc anche in Piemonte: sondaggio del 21 settembre, la Lega si attesta al 20,5% con un incremento del 4,8 rispetto alle Europee e del 2% nei confronti del 29 agosto. Ma non finisce qui. In Umbria il Carroccio vola al 5,5% (+1,9), nella Marche all'8,5% (+3) e in Toscana (nella rossa Toscana) al 6,5% (+2,2).
(notizia tratta da http://www.affaritaliani.it/)
ecco cosa scrive oggi il sempre ottimo Massimo Franco ne Il Corriere:
Le primarie ora diventano un problema
C'è sempre il pericolo di soprav­valutare lo psicodramma di un Pd che litiga sulle cosiddette «regole». Eppure, lo scontro di ieri fra il segretario Dario Franceschini ed il probabile successore, Pier Luigi Bersani, dice qualcosa di più. Fa emergere un conflitto sordo fra i «due partiti»: quello degli iscritti e quello delle primarie. Il leader uscente ac­carezza un «bagno di popolo» per rovesciare o al­meno bilanciare l’affermazione di Bersani nei «cir­coli ». I sostenitori dell’ex ministro, invece, preferi­rebbero che le primarie si limitassero a consacrare una vittoria data già per avvenuta: quella che evo­ca il braccio destro di Bersani, Filippo Penati, chie­dendo le dimissioni di Franceschini.
La sua uscita è stata corretta dal segretario in pectore e da Massimo D’Alema per placare un se­gretario furibondo. Ma solo in parte: nel senso che Bersani vuole rivedere il meccanismo delle pri­marie. L’episodio rivela le tensioni nel Pd; e con­ferma che di fronte ad un congresso «vero», gli eredi di Prodi e Veltroni rischiano di litigare fino alla rottura. Soprattutto, riemerge l’ambiguità di votazioni «aperte» che funzionavano finché si trat­tava di consacrare il candidato del centrosinistra a palazzo Chigi. Diven­tano invece un’inco­gnita quando si trat­ta di eleggere «solo» il segretario, perché il possibile premier dovrà soddisfare gli alleati.
Il risultato è uno scontro cattivo e in­sieme apparente­mente oscuro; e se­gnato da una sfidu­cia reciproca profon­da. Di colpo, quelle primarie presentate come la sublimazione della democrazia, vengono guarda­te come un rito che Franceschini potrebbe mani­polare. «Dobbiamo garantire», spiega con cando­re Rosi Bindi, alleata di Bersani, «che le primarie si svolgano in modo corretto, senza vantaggi pre­costituiti ». Ad incanaglire la faida contribuiscono, stavolta contro Bersani, anche i risultati delle ele­zioni di domenica in Germania.
Il fronte interno contrario al candidato sostenu­to da Massimo D’Alema sfrutta il disastro della Spd tedesca per bocciare la sua strategia di sini­stra; e per rimettere in discussione l’adesione al gruppo socialista a Strasburgo. Il senso dell’offen­siva è chiaro: stiamo per eleggere un segretario che ci porterà alla sconfitta perché persegue un’identità ed un progetto vecchi, già bocciati in tutta Europa. Si tratta di un tentativo in extremis di invertire l’affermazione di un Bersani che ha ot­tenuto circa i due terzi dei «sì» congressuali. Ed in prima linea si presentano personaggi diversi co­me Walter Veltroni e Francesco Rutelli.
Entrambi sostengono che il Pd si prepara a tor­nare «un partito socialista classico»; e che paghe­rà un prezzo politico alto. Contano di certo vecchi e nuovi rancori; ambizioni personali; e le tossine depositate nel gruppo dirigente dal fallimento del governo Prodi e dai risultati prima delle politiche del 2008 e delle europee del luglio scorso. Ma al fondo rimane la sensazione che esistano due Pd, difficilmente conciliabili; e che Bersani rischi di es­sere visto dai quasi sicuri perdenti del prossimo congresso come leader di «un» partito, quello de­gli iscritti, e non dell’intero Pd. Anche se bisogne­rebbe domandarsi perché questa ambiguità di fon­do, sempre esistita, rischi di diventare lacerante solo adesso.
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Non c'è che dire: come sappiamo farci male (da soli) noi del centrosinistra...
Che la forza sia con voi!



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