mercoledì 1 dicembre 2010

DUBBI

Da Europa (edizione di martedì)

Crolla il Pd veneto, non ci sto


Quarantacinque giorni fa mi sono dimesso da vice segretario del Partito democratico veneto. L’ho fatto in modo aperto e onesto, dopo aver ripetutamente posto alcune questioni all’interno degli organismi deputati. L’ho fatto per mettere in luce, non una questione personale, bensì per creare l’occasione per dibattere sullo stato del partito, prima che sia troppo tardi.
Nell’aprile 2008, all’indomani della nascita del Pd, 812.406 elettori ci dettero la fiducia accordandoci il voto. Nell’aprile 2010, in occasione delle elezioni regionali, pur con il traino dei candidati e delle preferenze, abbiamo raccolto solo 436.309 voti. Abbiamo dimezzato il nostro corpo elettorale in poco meno di due anni e oggi, dal momento che in Veneto siamo 5 milioni, si può dire che nemmeno un cittadino ogni dieci è elettore del Pd.
Mentre i più autorevoli osservatori del centrosinistra del Veneto, come il filosofo Umberto Curi, si affrettavano a sottolineare la verità e la gravità delle ragioni da me sollevate, il gruppo dirigente veneto ha trattato la questione come se fosse una rinuncia personale. Nello stesso modo è stata trattata la fuoriuscita di Diego Bottacin dal partito, consigliere regionale in carica, cofondatore del Pd veneto e segretario della Margherita, quando era il primo partito del centrosinistra in Veneto. Come pure vige un silenzio assordante, da parte della dirigenza veneta, rispetto ai de profundis che uno dei fondatori più autorevoli del Pd, Massimo Cacciari, ci dedica quotidianamente.
La pratica di mistificare o peggio occultare la realtà è foriera di bruschi e dolorosi risvegli. Non credo che la metà del nostro corpo elettorale sia stata inghiottita dalle nebbie padane e sono propenso invece a pensare che questa sparizione di massa sia attribuibile alla distanza che il partito ha marcato con la società veneta. Una distanza drammatica frutto della scelta di rinunciare al profilo riformatore della politica italiana e alla vocazione di modernizzare un paese che osserva il tramonto della seconda repubblica, più povero, lacerato e deluso.
Una distanza legata al ripiegamento nel conservatorismo di sinistra che ci porta a essere poco credibili in Veneto quando affermiamo la necessità di batterci per un nuovo modello di sviluppo, per l’autonomia dei corpi intermedi, per un nuovo patto fiscale, per la modernizzazione della pubblica amministrazione attraverso la contrazione della spesa e il riconoscimento del merito e molte altre questioni. Eppure il nostro paese avrebbe bisogno di poter intravedere un’alternativa credibile, capace di parlare al cuore di una regione difficile come il Veneto. Una Regione ferita nel corpo e nell’anima. Segnata profondamente dalla violenza delle acque, che ha rotto gli argini dei fiumi in 20 punti, ne ha lesionati 300. Migliaia di abitazioni sono pesantemente danneggiate e otre tremila imprese non sono ad oggi in grado di riprendere la produzione. Una Regione che è anche ferita nell’anima da una crisi economica feroce che ha portato ad utilizzare nei primi dieci mesi del 2010, oltre 120 milioni di ore di cassa integrazione, contro la media delle 15 che si utilizzavano annualmente prima del 2008. Una Regione che sconta 400 crisi aziendali annue contro le 100 che si gestivano in via ordinaria.
Una Regione che, con 150 mila lavoratori in carico agli ammortizzatori sociali (14 ogni 100) sta pagando un costo umano e sociale enorme. Una Regione in balia della Lega nord, un partito che ogni giorno, in ogni sede, manifesta la volontà di appropriarsi delle istituzioni. Quelle pubbliche e anche quelle private, come le fondazioni bancarie. E lascia invece inevase le grandi questioni che sono legate al nostro futuro e a quello dei nostri figli, segnando quotidianamente l’incapacità di pensare a un nuovo modello di sviluppo, a una nuova politica del territorio, alla riorganizzazione del sistema socio sanitario e a una nuova generazione di infrastrutture fisiche e dei saperi.
Mentre tutto ciò accade, una parte del partito non vede o finge di non vedere e in molti casi si permette il lusso di affidare le responsabilità con la selezione all’incontrario, senza tenere conto del consenso, del merito, della competenza, della sensibilità e dell’esperienza. Così che il malato grave si trova spesso in cura del medico inesperto o incapace.
La responsabilità del movimento democratico è perciò quella di riuscire a fare qualcosa prima che sia troppo tardi e prima che gli elettori certifichino con il loro non voto, l’insignificanza del Pd. Ogni tanto qualche amico mi spiega che bisogna attendere, avere pazienza, non essere intemperanti e continuare a sperare. Continuare a sperare si deve e si può.
Tuttavia la speranza che intendo io, se mi posso permettere di dirlo con le parole di Bonoeffer, non è l’attesa inoperosa di chi aspetta che le cose volgano naturalmente al meglio, bensì la scelta e la determinazione di passare all’azione.

Prima che sia troppo tardi, ammesso che non sia già troppo tardi.



Andrea Causin

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1 Commenti:

Blogger PD Mira ha detto...

Bonhoeffer

1 dicembre 2010 alle ore 16:35  

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