lunedì 10 marzo 2008

IN MEMORIA

Mi han detto che il tempo guarisce, che - alla fine - le ore, i giorni, le settimane, i mesi e gli anni costruiscono sopra le ferite, cicatrici spesse che nessuna lama può più riaprire. Mi han detto che alla fine rimarrà solo il ricordo, magari sfocato. Mi han detto che alla fine comunque avrò ancora voglia di guardare il giorno che verrà. Balle! Tutte balle!
Tre anni sono passati. Cosa sono 36 mesi? Nulla, un battito di ciglia commisurato all'età del mondo. Il tutto per il mio cuore.
Tre anni dall'ultimo abbraccio. Dall'ultima carezza. Da un ultimo, fugace, bacio su una fronte fredda e sudata. Tre anni da quei tubi dismessi per dare vita ad altri. Ad altri cuori che palpitino. Ad altri occhi che luccichino d'amore o si unimidiscono di lacrime.
Tre anni da una lettera furtivamente messati accanto.
Tre anni da una strizzata d'occhio.
Tre anni da una casa divenuta fredda.
E sono ancora qui. A chiedere "perché?". A non rassegnarmi che quello fosse stato l'ultimo bacio, l'ultimo abbraccio, l'ultima carezza, l'ultimo ciao.
E ieri, in cui abbiam ricordato questi maledetti 36 mesi, sono entrato in Chiesa. Mi sono seduto, come faccio sempre, nell'ultima fila: è lì che mi siedo sempre. Forse, chissà, è una maniera per ricordarmi dei tanti che in Chiesa non entrano perché hanno i piedi sporchi, il cuore oppresso o semplicemente perché hanno i pugni chiusi di rabbia e l'anima greve di solitudine. Pensavo che tutto fosse passato. In fondo erano già tre anni da quel giorno, da quel legno steso per terra. Il crocefisso era coperto, un telo viola a ricordarci che lì è l'Uomo che muore per mano di altri uomini, il costato trafitto e mani e piedi inchiodati. Mi sono seduto. Ho chiuso gli occhi. E le lacrime sono scese. Ancora. Come quel giorno di tre anni fa.
Ciao mamma...io sono quel che tu eri.



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