mercoledì 29 aprile 2009

HUGO


La ballata del Pratt perduto



Di Antonio D’Orrico


Hugo Pratt riservava sempre delle sorprese. Un esempio. Quando morì, nell’agosto del 1995, uscirono i necrologi di rito sul Corriere. Due erano singolari. Il primo era a firma del ministro della cultura, all’epoca si trattava dello storico dell’arte Antonio Paolucci. A suo modo, un documento storico. Perché si trattava del primo riconoscimento ufficiale, ed espresso al massimo livello istituzionale (il Ministero della Cultura), del fatto che Corto Maltese e gli altri fumetti di Pratt erano un bene culturale della Nazione. I francesi l’avevano capito da un pezzo, dalle nostre parti invece si continuava a far finta di nulla.
L’altro necrologio non era meno sorprendente. Esprimeva ufficialmente il cordoglio della Massoneria per la morte di uno dei suoi fratelli più illustri. Ricordo che in quell’occasione feci una piccola inchiesta. Gli amici intimi di Pratt non sapevano della sua adesione al Grande Oriente. Ma quando domandai loro se erano sorpresi dalla notizia, mi risposero tutti allo stesso modo: sì, erano sorpresi, no, anzi, a pensarci bene non erano sorpresi perché da Hugo ti potevi aspettare di tutto.
L’EROE CHE UNÌ L’ITALIA
Avevo pensato finora che quei due necrologi (la superlaurea ad honorem rilasciata dal ministro della Cultura, e l’estremo saluto massonico che confermava l’inafferrabilità esoterica dell’uomo) fossero gli ultimi colpi di scena nella vita spettacolare di Hugo Pratt. Mi sbagliavo. L’ultima delle sue sorprese (ma sarà il caso di dire, all’inglese e a scopo cautelativo, last but non least) è questo libro, Sandokan (Rizzoli Lizard) che racconta, in puro stile Pratt, la prima parte delle Tigri di Mompracem di Emilio Salgari, l’avventura con cui debuttò l’eroe che ha unito l’Italia almeno quanto Garibaldi (se non di più). Una storia mai pubblicata, assolutamente inedita. Il Vate indiscusso del romanzo d’avventura italiano (Salgari) riveduto e corretto (e forse anche scorretto) dal Vate (la parola l’avrebbe fatto sghignazzare) del romanzo (disegnato) d’avventura italiano. Se fosse stato ancora ministro il prof. Paolucci avrebbe organizzato un festeggiamento adeguato: perché è un avvenimento culturale di primissimo ordine ed è anche una bella storia. Anzi due belle storie. La prima è quella delle Tigri di Mompracem secondo Pratt e Mino Milani (lo scrittore che curò la sceneggiatura). La seconda è la storia di come questo libro sia scomparso per quarant’anni, sia stato dato nel tempo per disperso, bruciato, distrutto, mai esistito (una delle solite balle di Hugo), rubato, cestinato, contrabbandato nel caveau di qualche grande collezionista di fumetti, dimenticato in un cassetto, buttato e quindi annegato nelle acque del Lambro (che fine ingloriosa per le tigri di Mompracem!), nascosto dallo stesso Pratt così bene dall’essersi scordato il nascondiglio sicuro che aveva escogitato...
Le ipotesi avanzate nel corso di quarant’anni sono state tante. I fatti sono andati così. Come ce li racconta Alfredo Castelli, lo sceneggiatore di Martin Mystère, autore del ritrovamento e, anche, della bella prefazione al Sandokan di Pratt.
Tutto cominciò, per Castelli, nel 1971 quando prese a collaborare al Corriere dei Piccoli dove Pratt lavorava già dai primi anni Sessanta spesso in coppia con Mino Milani. I due, tra l’altro, avevano pubblicato sul Corrierino una non dimenticata versione dell’Isola del tesoro di Stevenson. Pratt, ricorda Castelli, era sempre in giro per il mondo ma quando tornava in Italia passava sempre dalla redazione in via Scarsellini. Lì aveva un ufficio, in coabitazione con altri due illustratori, Aldo Di Gennaro e Mario Uggeri, ed era molto legato a Giancarlo Francesconi, il caporedattore. Francesconi e Pratt, ricorda Castelli, avevano fatto un viaggio in auto nel nord dell’Europa che per anni fornì a entrambi «spunti per narrazioni dalla vericidità quantomeno dubbia».
Nonostante fosse prolisso di racconti (più o meno veridici), Pratt ammutoliva e cercava di cambiare discorso ogni volta che Francesconi, Milani o Mario Oriani (il direttore) gli chiedevano: «Allora, l’hai finito? ». Era il Sandokan che Pratt doveva finire, la sua versione delle Tigri di Mompracem. La sceneggiatura di Milani era pronta da tempo. «Pratt aveva iniziato a disegnarlo nel 1969», ricorda oggi Milani, «ed era partito con grande entusiasmo: il mondo salgariano faceva parte del corredo letterario di entrambi. Lavorare con Hugo era un piacere. Ci intendevamo perfettamente e quindi non servivano lunghe descrizioni della vignetta. Erano sufficienti semplici indicazioni come “Notte, tempesta tropicale squassa un capanno sulla rupe”, e questo gli bastava per creare una scena piena di emozione. Inoltre era velocissimo. Solo che dopo un inizio con fuochi artificiali, d’improvviso i tempi di produzione cominciarono a dilatarsi spaventosamente ».
PERCHÉ NON FU PUBBLICATO
Cosa era successo? Perché Pratt si era distratto? Si era disamorato di Salgari? Castelli ha un’ipotesi. Era accaduto che Corto Maltese aveva cominciato ad avanzare le sue giuste pretese di eroe prattiano per eccellenza e antonomasia. La prima avventura del «gentiluomo di fortuna», Una ballata del mare salato, Pratt l’aveva pubblicata nel 1967. Avrebbe dovuto essere la prima e l’ultima e, infatti, Pratt si era poi dedicato alle storie per il Corrierino. Ma proprio mentre lavorava a Sandokan dalla Francia gli chiesero altre storie di Corto. Fu la svolta nella carriera di Pratt, la gloria: «Hugo e il suo alter ego di carta diventano stelle di prima grandezza e il povero Sandokan passa in secondo piano».
Ormai, quando Pratt passa dal Corrierino (ribattezzato, intanto, Corriere dei Ragazzi), nessuno gli chiede più se ha finito Sandokan. Castelli, diventato nel frattempo redattore, propone di salvare il salvabile e pubblicare, come racconto a sè, Sandokan senza aspettare la seconda parte. Gli danno il via e lui prepara le “copiette”, così si chiamavano in gergo, da mandare in stampa. Lavorandoci sopra, Castelli nota alcune cose interessanti: 1) che la poltrona con lo schienale rotondo su cui siede Sandokan sin dalla sua prima, folgorante, apparizione è quasi identica a quella, successiva, del Corto Maltese “francese”; 2) che, eliminati i baffi, Yanez, il miglior amico di Sandokan, somiglia a Corto Maltese e un po’ allo stesso Pratt da giovane; 3) che Marianna, la Perla di Labuan, la lady amata dal Principe, era uguale a Anne Frognier, la seconda moglie di Pratt.
Hugo Pratt, veneziano nato casualmente a Rimini nel 1927 e morto in Svizzera nel 1995Convivendo per giorni con il Sandokan di Pratt Castelli scopre un’altra cosa. Importante. «Pratt è stato il primo a dare a Sandokan la faccia di Sandokan. Sandokan era sempre stato ritratto come un indiano vagamente occidentalizzato (con la consacrazione finale in tv con Kabir Bedi). Ma Sandokan non era indiano, era malese e Pratt così lo disegna, con i tratti e l’acconciatura di un principe malese. Dare a Sandokan connotati indoeuropei era una scelta tranquillizzante per i lettori di questa parte del mondo. Mentre dargli, come era filologicamente esatto, i suoi tratti malesi, estremamente orientali, ne faceva, agli occhi di quegli stessi lettori, una figura tutt’altro che tranquillizzante, anzi decisamente inquietante». Era un Sandokan mai visto quello di Pratt. Mai visto anche nel senso che poi non andò mai in stampa né per il Corrierino, né per altri. Il progetto fu sospeso. Archiviato in un bustone giallognolo. Il Corrierino fu ribattezzato CorrierBoy che è come chiamare Samantha una ragazzina dall’italianissimo nome di Maria. Con un nome simile non c’era più posto per il Sandokan di Pratt. E nemmeno per Castelli che intristito per le storie (P2 e dintorni) che affliggevano allora la galassia Corriere, si dimise da redattore e andò a lavorare da Sergio Bonelli, nella galassia Tex Willer. Qui, ogni tanto, rivedeva Pratt, amico di Bonelli. Un giorno Hugo gli chiese che fine avessero fatto le tavole di Sandokan. Castelli cominciò a cercarle. Chiamò un amico all’archivio del Corriere. «Qui hanno bruciato molto materiale per fare spazio», gli disse l’archivista. Magari le tavole erano state portate via prima del falò, si disse Castelli e si rivolse ai mercanti di originali. Buco nell’acqua.
Passano gli anni, nessuna notizia del Sandokan di Pratt. Castelli si mette il cuore in pace. Poi, quando ormai non se lo aspettava più, il miracolo. «E qui - visto che di professione sono sceneggiatore di fumetti - potrei inventare qualche racconto emozionante su come sono riuscito a recuperare il Sandokan di Pratt. Per esempio che me lo ha consegnato in una notte di tempesta un vecchio marinaio cieco mentre un fulmine squarciava il cielo. Che l’ho salvato a rischio della vita tuffandomi in un mucchio di cartaccia destinata al macero giusto un istante prima che fosse fagocitata da un’enorme macina. Che il suo nascondiglio era indicato da certi indizi in codice inseriti in un famoso romanzo il cui titolo non mi è permesso rivelare».
Le cose, invece, sono andate in maniera assai diversa. Un paio di anni fa, un editore chiede a Castelli di raccogliere in volume le storie di Omino Bufo. «È un personaggio demenziale che facevo per il Corriere dei Ragazzi. Molti lo rammentano con nostalgia a dimostrare come i ricordi di gioventù rendano bella qualunque cosa». Le storie dell’Omino sono in uno scatolone nel quale Castelli aveva buttato alla rinfusa tutte le cose che c’erano nella sua scrivania di via Scarsellini. Quello scatolone non lo ha più toccato dal 1975, gli faceva troppa tristezza. Va in cantina (chi non è mai stato nella casa di Castelli non può immaginare che razza di gigantesco castello di carte accumulate sia e che impresa, da far tremare i polsi, significhi cercare qualcosa in quel labirinto di fogli). Alla fine trova lo scatolone. Lo apre. «Insieme all’Omino Bufo, alla guida dei telefoni aziendali, alla “carta contabattute” che si usava quando i computer erano ancora di là da venire, c’era il menabò con le “copiette” della storia di Sandokan. Per anni avevo cercato gli originali del racconto senza rendermi conto che le loro perfette riproduzioni si trovavano a portata di mano».
Sfoglio assieme a Castelli la prima copia del Sandokan di Pratt e Milani finalmente diventato libro.
A me sembra artisticamente parlando assai rilevante, proprio bello. E Castelli, autorità in materia, conferma. «Penso che quello sia stato il periodo migliore di Pratt. Perché allora Pratt disegnava molto. Mi spiego, Hugo aveva un dono di sintesi straordinario. A lui bastava disegnare una linea orizzontale, un ghirigoro e un tondo ed ecco “Il sole sui Mari del Sud”. Ed era proprio “Il Sole sui Mari del Sud” come tutti lo immaginiamo. Pratt era un enorme impressionista. In Sandokan era ancora molto generoso di particolari. Per questo dico che è al suo meglio: c’è la sintesi ma c’è anche l’analisi».
Sfoglio il libro. Mi soffermo su un primo piano di Sandokan. «A chi somiglia?», mi chiede Castelli. A qualcuno, rispondo, ma non capisco a chi. Castelli mi illumina: «A Johnny Depp nella parte di Jack Sparrow in Pirati dei Caraibi. Cioè all’eroe di film fatti quarant’anni dopo Sandokan. Pratt aveva un’incredibile capacità di anticipare. Certe icone di oggi, le ha inventate lui tanti anni fa».
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Sandokan è un gioiello che segna il gran ritorno sulla scena di Pratt (Rizzoli sta riproponendo tutti i suoi albi). Alberto Ongaro (lui e Pratt cominciarono insieme a fare fumetti e fecero la storia del fumetto italiano) ha ripubblicato da Piemme Un romanzo d’avventura, un romanzo del 1971 che ha come protagonista Hugo Pratt. Sì, lui in persona. Un bellissimo romanzo che racconta la storia di un’amicizia e di una generazione. E racconta, anche, di quella volta che Hugo fece amicizia a Londra con 80 ragazze di un college americano e se le portò a Venezia a mangiare il gelato... Vero? Falso? Domande malposte. Hugo Pratt era al di là del vero e del falso.
27 aprile 2009





Che la forza sia con voi

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