mercoledì 7 ottobre 2009

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Da Il Corriere della Sera:

La lunga sfida tra il letterato e gli esponenti del Carroccio
Duello tra Zanzotto e i leghisti «Loro, una peste». «Livoroso»
Zaia attacca il poeta «cantore» del Veneto: ci vorrebbe ancora poveri
MILANO — «È come una peste, quel­la... ». Intervistato dall’«Infedele» di Gad Lerner, Andrea Zanzotto dice sulla Lega quel che pensa da sempre: «Vuol convincere ogni paese che è meglio di quello vicino». Un'insofferenza per il partito di Bossi che è meglio argomen­tata nel libro-conversazione di Marzio Breda, «In questo progresso scorsoio» (Garzanti). Eppure, il più limpido can­tore del paesaggio veneto, del suo dia­letto e delle sue voci potrebbe essere un padre nobile del Carroccio, la voce lirica che ancora manca all’esplicito di­segno culturale di Umberto Bossi. Ma lui non ne vuole sapere. Accusa la Lega di complicità nello scempio del territorio, e soprattutto di catalizzare sentimenti che, in fondo, non apparten­gono alla tradizione veneta: «Aggressi­vità, umori rancorosi, intolleranze e spietatezze mai viste, secondo la logica di sbrogliare la crisi sociale — che si fa sempre più acuta — etnicizzandola» di­ce a Breda. Ancor peggio, Zanzotto ritie­ne che la memoria sia minacciata pro­prio «dalla falsa difesa delle radici, del­l'identità che è basata sul fraintendi­mento e dall'ignoranza che generano per contrapposizione i fondamentali­smi localistici». Flavio Tosi, il sindaco di Verona, in studio da Lerner, ha liquidato Zanzotto: «Grandissimo artista. Ma la sua è l’opi­nione di uno dei quattro milioni di elet­tori veneti». E ieri non è voluto tornare sull’argomento se non osservando che della peste «la Lega fortunatamente ha la forza virale dal punto di vista elettora­le». Chi parla è invece Luca Zaia, il mini­stro all'Agricoltura, che oltretutto vive a un tiro di schioppo dalla Pieve di Soli­go del maestro di «Galateo in bosco»: «Che dire? Io penso che sia uno dei più grandi letterati del nostro tempo. Sul suo livore nei nostri confronti, ho una teoria. Zanzotto avrebbe voluto che i ve­neti rimanessero per sempre quelli che erano. Poveri, magari ignoranti. Anche se è un figlio del popolo, il suo è un at­teggiamento da aristocratico. È la storia dei padroni che non tollerano l'affranca­mento dei mezzadri». Insomma: «A di­spetto del suo socialismo, il problema è che la Lega rappresenta il riscatto socia­le del popolo. E questo a lui non va be­ne». Inoltre, secondo Zaia, «Zanzotto è uno dei rari esempi di artisti privi di le­gami con la loro popolazione. Pavese, Fenoglio, erano osteria, erano terra vi­va. Lo stesso Rigoni Stern aveva un rap­porto ben diverso con Asiago. Lui, no. Non siam degni». Ma non è vero che nel Carroccio, so­prattutto in Veneto, c’è una rabbia per certi versi incomprensibile? Secon­do Gian Paolo Gobbo, sindaco di Trevi­so, oltre che segretario della Lega vene­ta, i problemi sono nati con «il razzi­smo savoiardo e il fascismo. La secola­rizzazione della Repubblica veneta ha negato una storia millenaria, e questo noi siamo riusciti a spiegarlo finalmen­te a tutti». La rabbia veneta, «se esiste, è il volersi veder riconosciuta un’identi­tà che è il contrario di quella regressiva che dipingono». Gobbo — che peraltro si dichiara a sua volta estimatore di Zan­zotto («Per lui vorrei il Nobel») — ricorda che la Serenissima «ha permesso all’Europa di por­re i fondamenti dei diritti uma­ni, arrivavano qui da ogni lan­da perché altrove, chi parlava di filosofia o di religione o chi sezionava i cadaveri, veniva bruciato». Il sindaco si scalda: «Nel 1502 ci siamo alleati con il turco contro il papa, qui venivano gli armeni, gli ebrei, tutti. Questo è stato negato dallo Stato, questa storia di libertà e di orgoglio. Ora ce lo stiamo riprenden­do ». Conclude Gobbo: «Oggi come ieri, non si è veneti per nascita o per etnia: lo si diventa con l’adesione a un model­lo che è stato un faro per secoli».
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Che la forza sia con voi!


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