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Da Il Corriere della Sera:
La lunga sfida tra il letterato e gli esponenti del Carroccio
Duello tra Zanzotto e i leghisti «Loro, una peste». «Livoroso»
Zaia attacca il poeta «cantore» del Veneto: ci vorrebbe ancora poveri
MILANO — «È come una peste, quella... ». Intervistato dall’«Infedele» di Gad Lerner, Andrea Zanzotto dice sulla Lega quel che pensa da sempre: «Vuol convincere ogni paese che è meglio di quello vicino». Un'insofferenza per il partito di Bossi che è meglio argomentata nel libro-conversazione di Marzio Breda, «In questo progresso scorsoio» (Garzanti). Eppure, il più limpido cantore del paesaggio veneto, del suo dialetto e delle sue voci potrebbe essere un padre nobile del Carroccio, la voce lirica che ancora manca all’esplicito disegno culturale di Umberto Bossi. Ma lui non ne vuole sapere. Accusa la Lega di complicità nello scempio del territorio, e soprattutto di catalizzare sentimenti che, in fondo, non appartengono alla tradizione veneta: «Aggressività, umori rancorosi, intolleranze e spietatezze mai viste, secondo la logica di sbrogliare la crisi sociale — che si fa sempre più acuta — etnicizzandola» dice a Breda. Ancor peggio, Zanzotto ritiene che la memoria sia minacciata proprio «dalla falsa difesa delle radici, dell'identità che è basata sul fraintendimento e dall'ignoranza che generano per contrapposizione i fondamentalismi localistici». Flavio Tosi, il sindaco di Verona, in studio da Lerner, ha liquidato Zanzotto: «Grandissimo artista. Ma la sua è l’opinione di uno dei quattro milioni di elettori veneti». E ieri non è voluto tornare sull’argomento se non osservando che della peste «la Lega fortunatamente ha la forza virale dal punto di vista elettorale». Chi parla è invece Luca Zaia, il ministro all'Agricoltura, che oltretutto vive a un tiro di schioppo dalla Pieve di Soligo del maestro di «Galateo in bosco»: «Che dire? Io penso che sia uno dei più grandi letterati del nostro tempo. Sul suo livore nei nostri confronti, ho una teoria. Zanzotto avrebbe voluto che i veneti rimanessero per sempre quelli che erano. Poveri, magari ignoranti. Anche se è un figlio del popolo, il suo è un atteggiamento da aristocratico. È la storia dei padroni che non tollerano l'affrancamento dei mezzadri». Insomma: «A dispetto del suo socialismo, il problema è che la Lega rappresenta il riscatto sociale del popolo. E questo a lui non va bene». Inoltre, secondo Zaia, «Zanzotto è uno dei rari esempi di artisti privi di legami con la loro popolazione. Pavese, Fenoglio, erano osteria, erano terra viva. Lo stesso Rigoni Stern aveva un rapporto ben diverso con Asiago. Lui, no. Non siam degni». Ma non è vero che nel Carroccio, soprattutto in Veneto, c’è una rabbia per certi versi incomprensibile? Secondo Gian Paolo Gobbo, sindaco di Treviso, oltre che segretario della Lega veneta, i problemi sono nati con «il razzismo savoiardo e il fascismo. La secolarizzazione della Repubblica veneta ha negato una storia millenaria, e questo noi siamo riusciti a spiegarlo finalmente a tutti». La rabbia veneta, «se esiste, è il volersi veder riconosciuta un’identità che è il contrario di quella regressiva che dipingono». Gobbo — che peraltro si dichiara a sua volta estimatore di Zanzotto («Per lui vorrei il Nobel») — ricorda che la Serenissima «ha permesso all’Europa di porre i fondamenti dei diritti umani, arrivavano qui da ogni landa perché altrove, chi parlava di filosofia o di religione o chi sezionava i cadaveri, veniva bruciato». Il sindaco si scalda: «Nel 1502 ci siamo alleati con il turco contro il papa, qui venivano gli armeni, gli ebrei, tutti. Questo è stato negato dallo Stato, questa storia di libertà e di orgoglio. Ora ce lo stiamo riprendendo ». Conclude Gobbo: «Oggi come ieri, non si è veneti per nascita o per etnia: lo si diventa con l’adesione a un modello che è stato un faro per secoli».
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Che la forza sia con voi!
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