lunedì 8 settembre 2008

DEL DIRITTO ALLA MORTE


Qual è il limite, invalicabile, che segna il confine tra ciò che è di competenza delle leggi dello Stato e la libertà individuale di ciascuno? Se ciascuno è "padrone"/titolare della propria esistenza non può, forse, essere anche libero di decidere quando questa esistenza non ha più ragione di essere? E se questa volontà è stata espressa "in salute", non può forse chi ne è depositario farla valere anche se il proprio caro non è più in grado di manifestarla?Da 16 anni Eluana Englaro, una bellissima ragazza lombarda, giace in stato comativo. Incapace di parlare, muoversi, nutrirsi. Suo padre da anni ha avviato una civilissima battaglia legale affinché gli venga riconosciuta la possibilità di esaudire la volontà della figlia che, più volte, aveva manifestato la volontà - laddove fosse caduta per l'appunto in uno stato vegetativo - di essere lasciata morire. Mi rendo conto che, a discutere di queste cose, si affrontano temi profondi, che toccano le più intime convinzioni di ciascuno e che affrontano temi etici di grandissimo valore ma anche di altrettante, incommensurabile, difficoltà: cos'è la vita? cos'è il libero arbitrio? dove le libertà individuali finiscono con l'essere inviolabili?
E però, personalmente, sono (e l'ho detto anche in altri post) assolutamente favorevole alla sentenza con cui la Corte d'Appello Civile di Milano ha autorizzato il padre, suo tutore, a far interrompere il trattamento di alimentazione e idratazione forzati che mantenevano in vita Eluana, ridotta in stato vegetativo a causa di un incidente avvenuto il 18 gennaio 1992. E dunque mi lasciano assolutamente perplesso le riflessioni con cui Roberto Formigoni commenta la volontà della Regione Lombardia di disattendere a questa sentenza spiegando che il servizio sanitario nazionale da' compito alla Regione di assistere, curare, tentare di guarire, non esiste l'obbligo alle Regioni di dare la morte interrompendo quella che non e' una prestazione intrusiva, ma e' idratazione e cura delle persone. Sono convinto sul piano personale e sul piano delle leggi, che assistere le persone sia un dovere. E' però, mi chiedo, assistere delle persone anche quando non c'é più speranza non si configura, forse, come accanimento terapeutico? Dunque si sta profilando una battaglia in punta di diritto in un conflitto di attribuzione di competenze e poteri tra autorità politica e autorità giudiziaria. E però rimane il fatto della volontà espressa più e più volte dalla giovane lombarda. E' giusto ignorarla?
Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri di Milano, afferma invece che è una vicenda drammatica che va avanti da troppo tempo: ribadisco allora che è legittima la richiesta di padre di porre fine ad una vita che non c’è più.
Che la forza sia con voi e....A s'udëi!!!

Etichette:

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page