venerdì 5 dicembre 2008

8 DICEMBRE 2007: UN ANNO DOPO


don Gigi: una pagina di Vangelo


Scritto da I fratelli e le sorelle della comunità di Marango

Per la nostra comunità don Gigi è un amico della prima ora. Veniva spesso da noi, portando anche le comunità nelle quali ha esercitato il suo ministero. Siamo stati tra i primi ai quali ha confidato la sua malattia. È rimasto da noi due settimane, durante l’estate, dopo pesanti cicli di chemio all’ospedale di Aviano. Poi, alla fine di agosto, ci ha chiesto di essere accolto per un periodo più lungo. Sapevamo tutti che veniva per prepararsi all’ultimo combattimento, con la disarmante semplicità di un bambino che ama la vita, e con essa tutti i doni del Signore. Ci siamo sentiti partecipi di una grande grazia e resi testimoni di un evento di salvezza. Sì, nei tre mesi in cui Gigi è stato da noi, amico e fratello, è stata scritta una grande pagina di Vangelo. Gigi, operaio, prete e pastore in una comunità divenuta una sola cosa con lui, è giunto in mezzo a noi nella nudità di un povero, nudità che destabilizza tutte le nostre certezze e umilia tutte le nostre sicurezze. Da tempo non lavorava più. E anche il ministero pastorale, come comunemente lo si intende, era ormai quasi interamente dietro di lui: non poteva fare quasi più nulla, anche se, fino all’ultimo giorno, ha portato nella verità del suo cuore tutti quelli che il Signore gli aveva affidato. Non aveva con sé molti libri quando è venuto da noi. Non ha portato con sé nemmeno cose che, in qualche modo, lo rassicurassero che tutto era come prima e che niente, in fondo, poteva succedergli di irreparabile. Non ha portato cose, perché lui era un povero, anche nell’anima, e la sua vera ricchezza era invisibile agli occhi del mondo.
Gigi, nel tempo in cui è vissuto con noi, non aveva più ruolo. Per molti era, al più, un prete malato, con una vita ormai quasi tutta dietro di sé, forse anche sprecata, per via di quel suo essersi fatto operaio. La malattia l’ha reso inutile del tutto; pietra di scarto. In questa radicale inutilità, il Signore ha scritto con lui, e per mezzo di lui, una straordinaria pagina di vita e di Vangelo. Ed è questa la testimonianza che la nostra comunità ora gli rende.
Gigi era messo fuori ruolo – anche se ha voluto celebrare l’Eucarestia con la sua gente fino a domenica 18 novembre – ma la sua estrema indigenza, la sua progressiva precarietà, è diventata terreno fecondo che gli ha permesso di accogliere, con una straordinaria apertura del cuore, tutti coloro che, sempre più numerosi, venivano a trovarlo. Fino all’ultimo giorno. Sempre con un disarmante sorriso. Gigi ci ha dato testimonianza di una Chiesa di fratelli, fatta di volti, di storie che si incontrano e si accompagnano in una reciproca fedeltà, facendo spazio a tutti, trovando per tutti un posto e una parola. Come Gesù. Anche la sua scelta di prete operaio è stata la scelta, come Gesù a Nazareth, di essere in tutto “come loro”, come i più piccoli, in nome della pura fedeltà al Vangelo. Grazie, don Gigi, perché ci hai fatto percepire che una Chiesa così è possibile, che è ancora possibile vivere semplicemente dell’Evangelo, in una comunità universale di fratelli. Questa testimonianza ce l’hai data, in modo incredibile, il giorno solenne della celebrazione del sacramento dell’Unzione. Quel giorno tutta la Chiesa era riempita dal profumo e dalla tenerezza di Cristo. E non c’erano solo credenti a gioire di quel profumo soave.
La parola del Vangelo, soprattutto dei vangeli della Passione e della Risurrezione, sono stati il tuo viatico quotidiano in questi cento giorni trascorsi tra noi. La parola del Vangelo è stata per te una Parola che – come ripetevi – ti dava forza, anche umanamente. L’incontro era fissato ogni mattino, dopo colazione, e durava a lungo, culminando con l’Eucarestia, Parola fatta carne per noi, vita di Dio interamente donata all’uomo. Avevi sempre più bisogno di questo momento, che era il più importante della tua giornata, preceduto e accompagnato da lungo silenzio. Ci hai fatto capire che non ci sono altre parole più importanti: quella del Vangelo è la lingua madre, la lingua che impariamo sulle ginocchia della Chiesa. Tu hai vissuto, trasmesso e insegnato, solo la lingua del Vangelo. Una giovane adolescente ti ha scritto, solo pochi giorni fa: “Ci mancano le tue prediche interminabili, ma tutte piene di senso”. Ricordaci sempre, Gigi, che tutte le nostre parole, o sono eco della parola del Vangelo, o sono nulla. Sono un peccato di presunzione e offendono i poveri.
Carissimo Gigi, la tua spogliazione totale, ti ha rivestito interamente di Cristo. È assieme a te che abbiamo letto queste parole, piangendo di commozione per la potenza che esse esprimono: “Siamo convinti che Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù, e ci porrà accanto a Lui insieme con voi”. E tu stesso, accogliendomi in uno degli ultimi giorni, mi hai sussurrato il testo di San Paolo: “Anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo…”, e io ho concluso per te la frase: “Quello interiore – cioè Cristo in noi – si rinnova di giorno in giorno”. Le tue ultime parole all’amico don Gianni sono state queste: “Siamo giunti alla fine, ma risorgeremo”. Questo è il tuo testamento, il tuo dono per tutti: il dono di una fede semplice e incrollabile.
Carissimo Gigi, ti accompagni in questo ultimo viaggio la corona del Rosario che stringi tra le mani, la preghiera di tutti i piccoli e dei poveri che hai amato, preghiera che ti ha sostenuto in questi mesi. La Bibbia, che ora sta sul tuo cuore come un peso dolce e leggero, aperta sul Magnificat, il canto dei servi del Signore e dei liberati dal giogo di ogni oppressione. La stola sacerdotale, posta ai tuoi piedi, come segno di un ministero fatto solo per lavare i piedi ai fratelli. Un quaderno di Esodo, messoti lì furtivamente da tuo nipote Davide, come testimonianza della tua intelligente ricerca e della tua apertura al dialogo con tutti. Il profumo di un fiore, piccolo e umile segno della vita che tu hai tanto amato. Ti accompagnerà l’amore dolcissimo e puro che la tua comunità di Passarella ti ha dato, e ti sta dando, come risposta all’amore di fratello e di padre che tu le hai mostrato con unicità di dono e di impegno.
E noi tutti, che ti siamo stati amici fin dall’inizio, quando negli anni della speranza del Concilio progettavamo e sognavamo una Chiesa fatta Vangelo, vogliamo solo dirti grazie per la tua trasparente e fedele testimonianza.

Spirito Santo, Padre dei poveri, vieni e scendi sull’intera nostra Chiesa diocesana come fuoco di una nuova Pentecoste.
LETTERA APERTA DI RICCARDO:
Mi hanno detto che sei partito, che non sanno se tornerai a farmi visita. Perché hai altro a cui pensare. No, non è che non pensi più a me, ma ora ti si apre davanti l'infinito. E quando hai davanti l'infinito, ti viene da correre, per vedere se davvero non ha fine questo infinito. Dunque, stai camminando per questa strada, alternando velocemente i passi come amavi fare con me, mio padre e mia madre, per le strade di una memorabile gita ad Assisi. O sul Ponte Vecchio di Firenze, sempre insieme a noi. Mi hanno detto che sei partito, c'è chi tenta di illudermi che sì, qualche speranzadi rivederti rimane. Che in fondo, anche se questo non accadesse, mi basterà chiudere gli occhi per rivederti. Io gli occhi li chiudo, e in effetti rivedo il tuo sorriso, carico di energia. Di quell'energia che permea in tutti i miei ricordi. Ma sai, è difficile riaprirli e abituarsi all'idea che, appunto, si tratta di ricordi. Mi hanno detto che sei partito, e ora in me si fa forte la convizione che sei partito veramente. Che non tornerai la Domenica pomeriggio per portarmi a pescare, con canne dozzinali fatte di rami e spaghi. Con le quali sapevamo benissimo che non avrebbe abboccato alcun pesce. Ma che importava: si stava insieme, andava benissimo così. Mi hanno detto che sei partito, e solo adesso, a pensarci bene, capisco che non tornerai. Mai più. E non hai idea di quanto male mi faccia quel "mai più". Mi conforta il fatto di averti accompagnato alla stazione, di essere rimasto con te fin a quando il capostazione ha fischiato la tua ora. Di averti stretto la mano quando ancora potevi vedermi, abbozzare perfino un sorriso, e averti detto "ti voglio bene". Perché lo so che lo sapevi che ti volevo bene, ma fa piacere sentirselo dire. E credo abbia fatto piacere anche a te.
Poi il capostazione ha fischiato. C'è chi lo chiama Dio, chi "Oscura Signora", resta il fatto che ho visto le porte chiudersi. Ti eri già appisolato sul tuo posto, come sempre facevi sdraiandoti sul freddo pavimento di marmo nelle caldissime estati che abbiamo trascorso assieme. Poi il treno è partito e in pochi secondi era già lontano. Tu con lui.
Mi hanno detto che sei partito, ma che non è così, perchè io sono fatto anche di te e di tutto quello che mi ha insegnato. Cazzo, quanto è vero, non ne hai idea. E scusami se ho detto "cazzo", mi avresti redarguito, lo so. Come so che il nostro è sempre stato un rapporto sincero, senza reverenze perchè tu eri lo zio e io il nipote. Perchè tu eri lo storico e io lo scrittore. Perchè tu eri un prete e io la pecorella smarrita che molti hanno visto in me (ri-scusa, ma le teste di cazzo c sono sempre). Eravamo Gigi e Ricky, più culo e camicia di quanto potesse sembrare. Eravamo? Siamo? Non lo so, non me la sento di dirti, in questo momento, che è tutto come prima. Perchè quel treno è distante, ma se fosse davvero un treno risponderesti al tuo telefonino mentre ti chiamo. Invece il telefonino è spento. E' dall'8 Dicembre che è spento e ormai ho perso la speranza che tu risponderai. Ho la sensazione, ma sono sincero è una sensazione, che tu mi stai osservando. Che ridi? Io piango come un disperato e tu ridi. Sento il tuo abbraccio, perfino tu che esclami "nipotastro che buona quella "cicoata" al vostro matrimonio". "Ma zio, era liquore al cioccolato quello!". "Ah sì! Buono lo stesso!". Ecco, mi piace ricordarti così, col sorriso comprensivo di chi ha già capito come andrà a finire. Sempre. E non come fanno i preti "normali", che ti sembrano distanti anni luce facendoti credere che Dio, Paradiso e Santi, si trovano in un'altra galassia. Tu Dio lo mettevi in mezzo alla gente. Eri un prete-operaio, uno che ha riunciato ai soldi della Curia per guadagnarseli lavorando come tutti. E dedicandoti come prete nei fine settimana, in quelle comunità che hai saputo creare da zero. E conquistare. Sempre. Sai? Credo che la Chiesa dovrebbe averli tutti così, i preti, ma non sono nessuno per prendere posizioni in merito. Perchè ora sono qui per salutarti. Non che non l'abbia fatto, ma non è mai abbastanza. Perché di solito il saluto è proporzionale all'entità del viaggio. E se quando sei partio per la Romania ti ho salutato con un abbraccio, e quando sei partito per il Brasile l'ho fatto con un abbraccio e un bacio; ora è giusto farlo in tutti i modi possibili, ma soprattutto con l'anima. Perchè il viaggio è stato lunghissimo, l'ultimo. Sai, non so davvero dove ti trovi ora,in quale luogo del tempo e dello spazio. Ma ti dico una cosa: di te ho sempre rispettato la grande intelligenza e mi conforta pensare che una simile intelligenza non possa essere stata sprecata dietro alla convinzione di un Dio che non esiste. Non eri il tipo da farti fregare un istante, figuriamoci una vita. E allora facciamo un patto sulla fiducia: Dio esiste, ma lasciami il tempo e il modo di capirlo di nuovo. Perché se è vero che Dio tutto può, poteva almeno lasciare mia madre e te in questa terra, per un po' di tempo in più. Non dico che me lo doveva, ma deve pur riconoscere il fatto che non gli ho mai rotto, con richieste assurde, bigotte, come quelle delle tribù primitive che chiedevano ai loro Dei la fecondità e la prosperità.
Non gli ho chiesto mai davvero nulla, nemmeno quando sul letto di un ospedale, mi dissero che mi rimanevano un paio di settimane di vita se le cose non miglioravano. Non gli ho chiesto nulla nemmeno allora. Mi sono rialzato con le mie gambe, sono tornato da solo alla vita. E ad aspettarmi, c'eri tu. Aspetta, non è che fossi tu, Dio?
Mi hanno detto che sei partito e che sì, tu eri Dio nella sua forma umana, in tutto quello che facevi e dicevi. Per me eri, sei e rimarrai semplicemente Gigi. Mio zio? Un prete? Uno storico? No, Gigi. Ti voglio bene, Gigi. Cazzo, non sai quanto. Ops, scusa.

Che la forza sia con voi...e spero che la terra ti sia davvero lieve.....Mi manchi, zio!

Etichette:

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page