venerdì 19 dicembre 2008

PASSANTE



Stamani sono andato, insieme al sindaco e ad una delegazione di consiglieri provinciali e regionali (con Andrea Causin, Franco Frigo fra gli altri), tecnici, onorevoli di varia estrazione politica (tra i quali il mio amico Marco Stradiotto), a compiere il "sopralluogo" del Passante di Mestre. Siamo partiti dal vecchio parcheggio del casello di Dolo distribuiti su 5 autobus (in quello, piccolino, ove mi trovavo eravamo tutti del PD ad eccezione di un consigliere regionale dell'UDC. e vi lascio immaginare le battutaccie che si è dovuto sorbire lungo il viaggio). Siamo entrati in questa nuova infrastruttura all'altezza di Quarto d'Altino e da lì, a ritroso, abbiamo percorso i 32 chilometri di questo serpente di asfalto. Giunti alla fine, in un gigantesco tunnel, ho ascoltato con attenzione gli interventi del commissario straordinario al Passante, dei presidenti delle province di Treviso e Venezia (e quello di Davide Zoggia mi è parso, fra tutti, il più lucido). Confesso che ho ricavato impressioni contrastanti da questo viaggio. Certo: non si può non rimanere stupiti dalla maestosità di questa opera. Ne si può sorvolare sul fatto che essa pare assolutamente strategica per il Veneto anche in prospettiva del "corridoio 5". Ne che si tratta di un'opera autenticamente italiana dove le aziende impegnate hanno dimostrato di cosa sono capaci. E però a me manca qualcosa. Manca una vision diversa sullo sviluppo sostenibile. Non ho potuto fare a meno di notare, nei pressi di Vetrego, un nutrito gruppo di manifestanti contro il Passante. Certo: probabilmente in questa protesta c'è molto di "campanilismo". Ma non basta. Io credo che questa infrastrutture non bastino. O forse, più semplicemente, non servano. Meglio: non servirebbero se ad esempio iniziassimo a ragionare concretamente sul trasporto merci su rotaia anziché su gomma o mediante il riuso dei canali navigabili. E invece sempre più spesso ci limitiamo a vedere solo la soluzione più "semplice": quella di infliggere ferite mortali al territorio.
E ho notato, non senza malizia sia chiaro, che la nostra "carovana" tendeva, come dire?, ad accelerare nei punti (e sono davvero tanti ancora) in cui questa strada non è ancora completata...
Se vi è sfuggito, vi consiglio di recuperare - nell'edizione odierna de Il Corriere del Veneto - il bell'articolo che Lorenzo Tomasin dedica a Manlio Cortelazzo in occasione del suo 90° compleanno. Cortelazzo è il più insigne fra gli etimologisti italiani. Razza assolutamente particolare quella degli etimologisti: persone che si appassionano alla storia e al significato delle parole. Ha insegnato a Padova dove, se non erro, è professore emerito. Cortelazzo l'ho incontrato, durante i miei studi universitari, di sguincio (ma ho seguito le lezioni del figlio, Michele, che si è via via specializzato nello studio dell'italiano contemporaneo e settoriale, in specie giovanile: argomento cui ho sostanzialmente dedicato la mia tesi di laurea) ma fra le sue opere ho spessissimo consultato il suo (scritto insieme a Paolo Zolli) Dizionario etimologico della lingua italiana. Auguri prof!
Che la forza sia con voi!

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