venerdì 23 gennaio 2009

RIFLESSIONI

Dalla settimanale news letter della Comunità Monastica di Marango:

Cinquant'anni fa, il 25 gennaio 1959, Papa Giovanni XXIII annunciava improvvisamente, nella Basilica di S. Paolo fuori le mura, ad una folla stupita e del tutto impreparata a pensare che nella Chiesa potesse mai accadere qualcosa di nuovo, la sua decisione di indire un Concilio. Lo scopo di questa assemblea generale di tutti i vescovi del mondo era quello di ripensare all'unità della Chiesa e alla sua missione nel mondo, alleggerendola di tutti quegli orpelli e di quelle sovrastrutture che, nel tempo, ne avevano offuscato l'immagine, impedendole, talvolta, di comunicare, con leggerezza di spirito, la buona notizia del Vangelo. Gli oppositori di Papa Giovanni confidavano invece in un Concilio "che riassumesse tutte le condanne - condanna del comunismo, del liberalismo, dell'evoluzionismo, del neomodernismo, del socialismo. Mentre il Pontefice impone un Concilio di tipo nuovo, che non pronunzia nessun anatema. E costringe a ripensare il modo in cui dire il Vangelo agli uomini contemporanei, interrompendo una routine nella quale ci si era appisolati” (Simonetta Fiori, in Repubblica, 21 gennaio 2009, p. 41).Oggi, molti segnali ci fanno capire che ci siamo di nuovo addormentati. Se penso all'avventura della mia vita, al tentativo di mettere in piedi un'esperienza monastica riconducibile semplicemente alla essenzialità della vita cristiana, devo dire che tutto questo è avvenuto sulla spinta del Concilio e nel desiderio di vivere e comunicare solo il Vangelo. Mi rendo conto, tuttavia, che questo è sempre più difficile. Non è sufficiente, infatti, aver iniziato qualcosa per poter affermare che quella cosa è veramente una novità dello Spirito. Spesso ciò che nasce, nasce già vecchio. Benedetto, il padre dei monaci d'Occidente, scrive nel Prologo della sua Regola che si entra in monastero "per ritornare, attraverso la fatica laboriosa dell'obbedienza, a Colui dal quale ti eri allontanato cedendo alla pigrizia della disobbedienza”. Questa lontananza la riscontro anche in me e nella mia comunità. C'è un lungo percorso da compiere per ritrovare la sorgente. Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, i discepoli di cui ci parla il Vangelo di questa domenica, chiamati dal Signore, capiranno il senso della loro vocazione solo al termine del cammino, nel dono dello Sprito e nell'esperienza del martirio, non senza essere passati prima attraverso la durezza del loro cuore e il dramma di ripetuti tradimenti.Oggi, anche le nostre Chiese, almeno in Occidente, sembra che abbiano perso la capacità di annunciare, con mitezza e forza, la radicale novità del Vangelo, in un mondo profondamente cambiato in questi ultimi quarant'anni. C'è lo sforzo di qualche documento e l'impegno umile e fedele di molti, che spesso non trovano l'appoggio convinto e fiducioso dei loro pastori. Poche parole, in effetti, si spendono in pubblico e in privato per sostenere preti, religiosi e laici, impegnati con gli stranieri, con gli zingari, con le realtà più marginali della società. E anche qualche vescovo coraggioso viene lasciato solo vedi l'arcivescovo di Milano. Spesso si preferisce il palcoscenico mediatico all'ambone, il linguaggio erudito della sapienza mondana alla parola scandalosa della croce. Abitiamo sontuosi palazzi e non ci sporchiamo più i piedi con la polvere delle strade, cercando la compagnia degli uomini perduti.Gesù proclamava il Vangelo di Dio con un linguaggio asciutto e scarno. La sua predicazione viene riassunta dall'evangelista Marco in pochissime parole: Il tempo è compiuto.Come a dire che non abbiamo più tempo. C'è un'urgenza assoluta. Tutto ci sta cadendo addosso, perché è ormai giunto il tempo della fine.Il Regno di Dio si è avvicinato.Il Dio tre volte santo, indicibile e inaccessibile, ha squarciato il cielo e si è curvato su di noi, ha posto la sua dimora in mezzo a noi, ci ha mostrato il suo volto. Lui è qui.Convertitevi e credete nel Vangelo.La novità, che tutti noi attendiamo, e che sovente cerchiamo nelle cose del mondo e nella speranza posta nella triplice idolatria dell'avere, del potere e dell'apparire, è ora a portata di mano. Ci è donata. Essa sta tutta nella disponibilità alla conversione del cuore, la quale, a sua volta, è resa possibile solo dall'accoglienza della nuda parola del Vangelo. Si potrebbe tradurre: "Convertitevicredendo al Vangelo”. A noi, intenti ciascuno al proprio lavoro, si è avvicinato un giorno, in un momento non particolarmente importante della nostra vita, ma che si è rivelato poi decisivo, un uomo che ci ha detto -e che ci ripete ogni giorno-: seguimi.Sta tutta qui la vocazione cristiana. E la conversione si rivela non come il risultato di una decisione presa unilateralmente, ma come il dono e il frutto di un legame d'amore. Tra l'inizio e la fine può accadere di tutto, anche la tragedia assurda del tradimento, ma quel legame, per volontà di colui che mi ha chiamato, non si spezzerà più. "Di inizio in inizio, attraverso inizi senza fine” (Gregorio di Nissa) giungermo un giorno a nascere davvero."Nasciamo, per così dire,provvisoriamenteda qualche parte.Soltanto poco a pocoandiamo componendoin noi il luogodella nostra origine,per nascervi dopo,e ogni giornopiù definitivamente.” (Rainer Maria Rilke) Per nascere bisogna lasciare indietro le reti, e anche il padre e la madre, e fratelli e case e campi, perché la vita di un uomo non dipende dai beni che possiede. E nemmeno dalle sue sicurezze affettive. Mai come oggi, mentre entriamo in una crisi sociale ed economica che non ha ancora mostrato tutta la sua oscura violenza, sentiamo quanto sia importante la stabilità di un lavoro e la sicurezza degli affetti. Ma sappiamo anche che il nostro cuore non può vivere di solo pane o nel piccolo orizzonte dei nostri bisogni affettivi. Esso è abitato da un desiderio che niente e nessuno potrà mai colmare, se non Colui che è all'origine stessa di tutto ciò che cerchiamo e desideriamo.Vi farò pescatori di uomini.Occorre capire l'immagine. Sappiamo che cosa vuol dire andare a pescare. Qualcuno lo fa per passione, altri per necessità. Dopo averci chiamati a sè, Gesù ci chiede di farlo come obbedienza ad un compito assegnato. Pescare è una missione. Nel linguaggio simbolico della Bibbia il mare è il luogo della morte: se ci si cade dentro si muore. Pescare uomini significa strapparli dalla morte, prenderli dentro una rete di relazioni nuove, universali, non più segnate dal limite della parentela, della razza, della religione, del sesso o della semplice amicizia. La rete infatti è gettata per tutti. "Nel ministero la domanda non è : «Come portare questa gente a Gesù?», o «Come fare per far credere questa gente?», o «Come aiutare tutte queste persone?». Il ministero accade da solo. Tu e io facciamo molto poco. Io non cerco di far andare la gente in chiesa, o che si unisca all mia pregahiera o all'Eucaristia. Io non faccio che incominciare a pregare e a offrire [...] l'Eucaristia; si vedrà che cosa accadrà [...] Il ministero potrebbe agire anche quando tu ti rilassi. Il ministero è il fluire del tuo amore per Dio e per gli altri”. (Henry J. M. Nouwen, La direzione spirituale, Queriniana, Brescia 2007, p. 179-180).Vi voglio raccontare un'esperienza. La settimana scorsa, in un viaggio in treno ho conosciuto Alessandro di Roma e Cristiano di Napoli, due quarantenni sposati e preoccupati per il loro lavoro. Quando mi sono presentato, si sono stupiti che io fossi un prete e che fossi così vicino alla loro vita e ai loro problemi. Abbiamo conversato per tutto il viaggio, durato qualche ora, senza moralismi o religiosi intenti di conquista. Eravamo tre uomini in cammino. Alla fine ci siamo scambiati le e-mail. Cristiano mi ha anche regalato il suo cappello, che ora porto con orgoglio. Ecco come hanno risposto al mio saluto: "Ricambio di vero cuore, sono molto contento di averti conosciuto e di aver trascorso l'intero viaggio a parlare con te: ti ringrazio per l'augurio riguardo il lavoro e, visto che sono un credente praticante, sono sicuro che il Signore mi guiderà nelle scelte, come fino adesso ha fatto, e mi sosterrà quando ne avrò bisogno. Sarei molto contento se tra noi rimanesse, anche se solo per il momento tramite e-mail aperto questo contatto; poi più avanti, non si sa mai, potremmo anche rivederci a me farebbe molto piacere. Ciao e arrivederci a presto. Alessandro.”. "Ricambio con affetto e spero di rivederti presto. Magari sul prossimo treno che prenderò!!!Un abbraccio forte. Cristiano”.Ricevendo questi messaggi ho avuto la gioiosa certezza che tutti e tre, Alessandro, Cristiano ed io, eravamo entrati nella rete. Non in quella informatica, ma in quella gettata dal Signore. Ciò è accaduto in un fine settimana, su un treno per Roma, "una città molto grande, lunga tre giornate di cammino” (Gn 3,3).
Giorgio Scatto


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