martedì 7 dicembre 2010

XENOFOBIA

Già nel Medioevo bastava poco: uno sguardo, un tic, una mania e subito si veniva etichettati, processati e - magari - bruciati. Poi viene la stagione delle grandi pestilenze e allora dagli agli untori quasi sempre individuati come foresti, stranieri. Sul primo tema ho avuto modo di studiare un bellissimo saggio curato dalla mai abbastanza compianta Marisa Milani (che fu mia docente nel corso di Lingua e letteratura delle tradizioni popolari all'Università di Padova): Streghe e diavoli nei processi del s. Uffizio di Venezia (1554-1587)  [1998, Bassano del Grappa, Tassotti editore]; sul secondo v'è una pregevolissima riedizione -ahimè alquanto costosa, 90 euro ma è pur sempre la ripubblicazione di un'opera "vecchia" di 180 anni - (a cura della milanese Casa del Manzoni) della celeberrima opera del Ripamonti La peste di Milano del 1630. Ed oggi continua la persecuzione. Quanto accaduto a Brembate Sopra mi pare assolutamente significativo: è bastata una traduzione sbagliata perché si scatenasse ancora una volta la caccia all'untore, al diverso da noi. Certo: poi accade che a Lamezia Terme un altro immigrato uccida 7 persone ed è facile a chiunque, anche a quanti si professano non razzisti, trarre facili conclusioni. E poi magari ci mette pure la Giustizia che prima condanna all'ergastolo i colpevoli di un trucidissimo duplice omicidio per poi ridurgli sensibilmente la pena tanto da far esclamare al governatore veneto Zaia: ma che giustizia è questa?. Eppure anche in questo caso non mancano esempi che fanno riflettere. Il primo viene proprio dal sindaco - leghista - del paese della piccola Yara, Diego Locatelli, che alla prima comparsa dei soliti manifesti che inneggiavano alla vendetta commenta sono sicuro che la comunità saprà reagire con calma e razionalità, anche se ovviamente la speranza di tutti noi è che questa storia finisca bene", ha dichiarato il primo cittadino di Brembate, Diego Locatelli.
La seconda (e ce lo racconta Il Corriere della Sera oggi) viene da Teresina Natalino che in quell'incidente ha perduto il marito Fortunato Bernardi. Al parroco di Lamezia, Teresina ha detto - rivolgendosi all'immigrato - io lo perdono perché anche mio marito, se fosse vivo, avrebbe fatto la stessa cosa; perché sapete, per tutta la vita, noi due siamo stati educatori e prima ai nostri figli e poi a tutti gli alunni delle scuole abbiamo insegnato la legalità, la giustizia, la non violenza.
Ecco la logia che sorprende, che rivoluzione. Ma, soprattutto, ecco la logica che educa, che ammaestra, che insegna: perdono. Che si accompagna - ovvio! - al desiderio che la giustizia umana faccia il suo corso e che chi ha sbagliato venga condannato. Ma anche qui Teresina, con parole che rasentano il concetto più alto e nobile di santità - dice quello che m'importa veramente è che il ragazzo marocchino (attraverso il carcere ndr) capisca, che si renda conto, che impari qualcosa da tutto il male che ha fatto. Non conta la pena. Conta l'educazione.
Che la forza sia con voi!


 P.S.Spero che almeno stavolta non ci siano errori ;)

Etichette:

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page