venerdì 28 marzo 2008

SULLA 194



Ieri sera mi sono "infiltrato" all'interno di un interessante dibattito, organizzato dalla Sinistra Arcobaleno, sulla legge 194. Per molti a questo numero è associata la parola "aborto". In realtà il titolo della legge (datata 22 maggio 1978) recita Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza. Si badi bene: il primo concetto che appare non è quello dell'aborto ma quello della tutela della maternità. Al riguardo, credo, che piuttosto che di tanto in tanto sollevare la questione sulla revisione della 194, sia fondamentale attuare tutto l'impianto di questa legge, anche le norme (previste dall'art. 5) che sono state pensate proprio per tutelare la maternità. Ho ascoltato con grande attenzione i molteplici interventi. Certo, in alcuni ho trovato delle "generalizzazioni" nei confronti del mondo cattolico che personalmente rifiuto. Vorrei ricordare che i due referendum (per molti versi epocali) che hanno letteralmente mutato la nostra società, quello del divorzio prima e dell'aborto poi, sono stati vinti grazie al voto determinante di molti, moltissimi cattolici. E che non sono mancati tanti sacerdoti che invocavano la libertà di coscienza. Alcuni di costoro erano teologi promettenti che vennero (fra questi ve n'è uno che per anni ha esercitato il proprio ministero sacerdotale in una parrocchia vicinissima a Mira) poi "puniti" e "costretti" a fare solo i parroci e per di più in comunità piccole e disagiate. Al di là di questo, dal dibattito di ieri sera sono emerse alcune considerazioni che mi pare estremamente utile girarvi. Innanzitutto la 194 è stata definita come "un compromesso altissimo tra forze laiche e cattoliche". Poi si è insistito sulla riduzione drastica del numero di aborti che nel giro di 20 anni si sono dimezzati. Interessante è stato anche il chiedersi se l'aborto sia una questione prettamente femminile. Se cioè, nella scelta di abortire, l'autodeterminazione della donna sia, in un certo senso, una scelta soltanto personale e che non riguardi la dimensione della coppia. E' stato spesso sottolineato come l'aborto rappresenti per la donna "una scelta dolorosa" indipendentemente dalle ragioni che l'hanno spinta ad assumerla. Mi è piaciuto molto anche la definizione di vita che è emersa durante il dibattito. Essa è "una forma di relazione".
Perché ne parlo, oggi? Io credo che un Partito debba necessariamente basarsi sul consenso (è la più elementare norma democratica). Ma che non tutto debba ridursi a mero consenso. E che, soprattutto, nel nome del consenso si tacciano questioni etiche per paura di spaccature e/o scontri. In realtà esistono delle sfide intellettuali, culturali, politiche (nella accezione più alta e nobile) che non possono non diventare oggetto di riflessione e discussione. Perché un partito è (o dovrebbe essere) luogo in cui si fa sintesi delle diversità. E che dovrebbero diventare prassi anche nel "mio" PD. Diventa fondamentale riconoscere che la qualità più importante di questo nostro Paese è (dovrebbe essere?) quella di essere uno stato laico, uno Stato che rispetti le libere coscienze dei propri membri. Io (maschio), ad esempio, ho un sistema valoriale che esclude a priori l'idea dell'aborto. Per me la vita è certamente la più alta e nobile forma di relazione che spinge l'individuo ad aprirsi all'altro. E però mai potrei imporre questo mio valore a chi ha un sistema valoriale diverso dal mio. Sono queste considerazioni che, ad esempio, mi hanno spinto a sostenere il referendum sulla procreazione assistita. E che mi spingono anche oggi a difendere la legge 194. Una legge che, ripeto, fin dal titolo parla di tutela sociale della maternità.

Che la forza sia con voi...

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