giovedì 31 luglio 2008

MARZIA ovvero DELL'AMORE


Debbo dire che i lettori (e soprattutto le lettrici) di questo blog sono particolarmente attenti e non solo agli svarioni che, purtroppo, talvolta capitano. Ma anche alle più piccole novità. E' così bastato che, nella manchette, sostituissi Dante a Montale e subito diverse persone me ne hanno chiesto il motivo. Ho più volte ammesso il mio smisurato amore per La Comedia (questo il titolo originario, l'aggettivo Divina fu usato per la prima volta da Boccaccio) dantesca. Un amore non nato a scuola (orrida usanza quella di "imporre" letture alle giovani menti; lasciate che spazino liberi alla ricerca di ciò che più li aggrada e pian piano arriveranno anche a letture cosiddette impegnate), iniziato con una infatuazione universitaria (vi fu un momento in cui pensai addirittura di laurearmi in Filologia dantesca) ma autenticamente sbocciato in età adulta. E come tutti gli amori "adulti" di fatto diventato inossidabile, imperituro, vittorioso su tutto e tutti. E dell'intera e somma opera dantesca proprio quei versi mi sono particolarmente cari. Intanto per l'audacia di Dante che piazza a guardia del Purgatorio Catone l'Uticense, vale a dire uomo che al massimo avrebbe dovuto stare nel Limbo, nel luogo ove - cioè - dimoravano quanti non conobbero Cristo non per volontà ma per ragioni contingenti. Poi perché, nelle parole di Dante, Catone è "uomo vero", sanguigno: quand'egli vede arrivare due figure dall'inferno e dirigersi verso il Purgatorio si incazza. Ma proprio di brutto perfino ipotizzando che vi fosse stato una sorta di "colpo di stato":

Son le leggi d'abisso così rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie grotte?
(e a recitarlo l'intonazione deve crescere proprio su quel dannati onde valorizzare quasi il disgusto del vecchio Cato) .

Certo: i miei più dotti lettori mi ricorderanno Erich Auerbach e il suo Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale ma a me piace pensarlo (Catone non Auerbach) incacchiato di brutto per questo arrivo. Virgilio che non solo è sanguigno quanto e forse più di Catone ma pure vanitoso (chissà perché ne ho questa idea) e si aspettava di venir immantinente riconosciuto (d'altra parte, secondo me, Virgilio immaginava che lo conoscessero in tutto l'inferno, il purgatorio e pure nel paradiso!) dal più agguerrito avversario di Gaio Giulio Cesare, inizia a blandirlo, a parlargli un poco come fanno certi genitori con figli particolarmente duri di comprendonio. E gli dice due cose fondamentali.
La prima è che, mentre Dante è vivo, lui giunge, per richiesta femminile (ah, le donne e il loro potere su noi uomini!un potere talmente grande da farci andare dall'Inferno fin quasi in Paradiso!), proprio dal Limbo. E chi c'é con lui? Marzia, la donna amatissima dall'Uticense. E udito il nome dell'amata, Catone risponde:


«Marzia piacque tanto a li occhi miei
mentre ch'i' fu' di là», diss'elli allora,
«che quante grazie volse da me, fei.


Ebbene, come ho già detto altre volte secondo me (ma solo secondo me, c'est vrai) questa è la dichiarazione d'amore più bella che un uomo possa fare alla propria compagna. Un amore assoluto, totalizzante che ti spinge ad esaudire qualunque suo desiderio.

La seconda riguarda i motivi che spingono Dante a questa ascensione coi versi che ho riportato nella manchette. Qual è, dunque, la libertà che Dante cerca e che ha incuriosito così tanto chi mi ha scritto? Non è la libertà dal peccato, condizione prettamente umana per'altro. No: è una libertà al fine più importante di qualunque altra libertà. Perché è la libertà del pensiero, della giustizia, (e sembra una contraddizione) della coscienza e della conoscenza. Ecco perché amo così tanto Dante. Perché al di là del suo pragmatismo, al di là del suo essere vagabondo errante nel mondo medievale, egli rivendica con forza e genuinità la libertà della conoscenza e del sapere. Perché solo chi conosce e sa, può dirsi davvero uomo libero e amare la libertà al punto (come accade a Catone) da rinunciare alla vita:


"O frati", dissi "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
(Inferno, canto XXVI)

Che la forza sia con voi!


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3 Commenti:

Blogger Nico Narsi ha detto...

Tra Catone "il giovane" (Cato Minor) l'Uticense (95 a.C.– 46 a.C.), e Virgilio (69 a.C. - 18 a.C.) non ci sono "quasi due secoli di distanza",come scrivi, anzi, al contrario, distando solo una generazione, i due poterono conoscersi a Roma: forse ti sei confuso con Catone "il vecchio" (Cato Maior), il Censore (234 a.C. - 149 a.C.)...

31 luglio 2008 alle ore 10:16  
Blogger Il sito di Davide ha detto...

Ecco, lo sapevo! E questo davvero giustifica la mia assoluta idiosincrasia nei confronti dell'antichità. Grazie Nico per la precisazione. Spero che, comunque, al di là del grossolano errore tu abbia apprezzato lo spirito del post!
Che la forza sia con te...

31 luglio 2008 alle ore 10:36  
Anonymous Anonimo ha detto...

Lettrici???!!!

31 luglio 2008 alle ore 13:34  

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