venerdì 24 ottobre 2008

RIFLESSIONI

Da La Stampa, di Massimo Gramellini:

Se vincessi cento milioni di euro al Superenalotto come quel fortunello di Catania, giuro che non saprei cosa farne. Ho desideri che costano meno. Così mi sono rivolto a un amico per chiedere consigli, nell’eventualità. Lui mi ha risposto quanto segue: «Cinquanta milioni li dai subito in beneficenza: una catena di ospedali in Kenya a tuo nome e ti sei ripulito la coscienza per l’eternità. Te ne restano comunque altri cinquanta per sporcartela con vizi e stravizi. Siamo un Paese cattolico, no? Sempre in bilico fra senso di colpa e voglia di peccare. Nei sondaggi della coscienza facciamo i veltroniani, ansiosi di cultura e valori immateriali, ma nella realtà della pratica c’è un piccolo premier ingordo in ciascuno di noi. Villoni, macchinoni, donnoni. E non pensare di nascondere la tua ricchezza: impazziresti. Perché in Italia non conta avere, ma far sapere agli altri di avere. Non sentirti orribile, se li vincesse un altro farebbe di peggio. Chi sputerebbe sul tavolo del capufficio un attimo prima di licenziarsi. Chi si comprerebbe l’azienda per il solo gusto di licenziare il capufficio. E chi guarderebbe negli occhi il coniuge sopportato da secoli per mancanza di vie d’uscita: "Sai che c’è, cocco (cocca)? È fi-ni-ta". Il denaro è un moltiplicatore del tuo ego. Ne esalta pregi e difetti. E poiché i difetti sono sempre più numerosi, con cento milioni di euro diventeresti quasi sicuramente un tizio arrogante e insopportabile. La libertà dal bisogno si tradurrebbe soprattutto nella libertà dal bisogno di piacere agli altri, che ti ha indotto fin qui a frenare gli istinti peggiori».«Insomma», ha concluso il mio amico, «vincere cento milioni di euro è abbastanza una meraviglia, cioè uno schifo. Fortuna che non li hai vinti tu e che in ogni caso ci sono poi le banche a mostrarti il modo migliore per perderli tutti, il più in fretta possibile».
E da Il Corriere, Alberto Ronchey:
Ma certo appare sempre insidioso e imprevedibile, malgrado qualsiasi nuova precauzione dei regolamenti borsistici, quel costume temerario che deriva da pulsioni forse insopprimibili nella psicologia degli affari, tra l'avidità e il panico. Anzi, ora le conseguenze del fenomeno risultano peggiori con l'automatismo del program trading computerizzato, acceleratore che massimizza le tendenze al rialzo e al ribasso, mentre non pochi possessori del «gran denaro» comprano e vendono senza sapere di cosa propriamente si tratti, suggestionati da una temporanea quotazione o da consulenti avventurosi. Sbagliare perdendo denaro, s'intende, può accadere anche a modesti risparmiatori guidati male da qualche servizio bancario. Ma qui si tratta d'un persistente vizio finanziario, caratterizzato sempre più spesso dall'inclinazione all'azzardo. Per tutti rimane il danno rovinoso innescato dalla finanza detta creativa, dai suoi artifici tecnici e dai suoi più spericolati clienti, che ora grava sull'economia internazionale. Sull'argomento viene ricordata proprio in questi giorni una celebre massima di John Galbraith: «È bene che ogni tanto i soldi vengano separati dagli imbecilli». Ma pagano i tanti che imbecilli non sono.


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