lunedì 9 febbraio 2009

RIFLETTENDO

In un suo vecchio libro (Il secondo diario minimo), Umberto Eco si dilettava ad inventare discipline del sapere assolutamente improponibili ma che avrebbero potuto persino assurgere al rango di materia universitaria. Tra queste ricordo la tetrapiloctomia, vala a dire "l'arte del dividere il capello in quattro". A me pare che, al di là del pesantissimo e preoccupantissimo conflitto istituzionale (su cui tornerò più avanti) apertosi tra la Presidenza della Repubblica e quella del Consiglio dei Ministri, sul cosiddetto "caso Eluana" ci si sia "limitati" a discutere di particolari (la conformità della casa di cura, la legittimità della sentenza, il diritto individuale) ma non della questione vera e propria, e cioè il significato che - ciascuno - attribuisce al concetto di "vita". Per ragioni assolutamente personali in questi ultimi giorni sto ragionando sul fatto che la vita di ognuno è un insieme di relazioni: verbali, empatiche, emozionali. Non conta il saper o meno verbalizzare tali relazioni, è fondamentale però viverle. A ben pensare è esattamente questo che divide la vita animale da quella sottospecie che è la vita umana: nella capacità di gestire, metabolizzare, vivere, interiorizzare queste relazioni. Può Eluana vivere questa esperienza? Mi spiace ma non lo credo. E, se amplio questa mia non convinzione, ne devo necessariamente concludere che, ad oggi, Eluana Englaro non sta vivendo. Certo: ha riflessi dai tratti umani (deglutisce, tossisce, ha il ciclo mestruale) ma la scienza medica ci spiega che questi riflessi - essendo del tutto involontari - non presuppongono stato di coscienza alcuno. Cinque anni fa, una persona per me carissima e fondamentale nella mia vita, venne improvvisamente colpita da un aneurisma cerebrale. Quando il neurochirirurgo spiegò che, se fosse sopravvissuta alle successive 48 ore, quella persona sarebbe rimasta un vegetale tali e tanti erano i danni provocati al suo cervello, mi sono seriamente e profondamente posto il problema se, in quel caso, fosse ancora vita ciò che mi legava a quella persona. E, amaramente, ho concluso che no, quello stato tutto avrebbe potuto essere tranne che vita. Ho visto, anni fa, una persona in stato vegetativo permanente: l'ho seguita nel suo innarestabile delcino e avvicinamento alla morte. Mi spiace ma quella persona non sono riuscito mai a considerarla ancora in vita per lo meno in vita umana. Perché vita è accarezzare un volto e riceverne da questi un sorriso. E' parlare, ricevendone in cambio segni di risposta. E' sorridere. E' piangere. Ecco perché io credo, fermissimamente credo alla libertà che deve essere data a ciascuno di scegliere se e quando ciò che lui ritiene essere vita sta finendo e, conseguentemente, essere in grado di poter esprimere, serenamente, la propria volontà. E', io credo, un diritto inviolabile dell'individuo, è una libertà personale cui nessun governo, nessuna legge può opporvisi. Perché poi, alla fine, rischia di rimanere sullo sfondo il dramma quotidiano di un genitore che vede, nell'entrare e uscire da una stanza di ospedale, il tempo che scorre e che teme, profondamente teme, di non sopravvivere al proprio figlio.

Quanto a quello che è avvenuto tra Napolitano e Berlusconi, ne Il Corriere di sabato vi era spiegato che la lettera "riservata" con cui Napolitano esprimeva i propri dubbi di legittimità costituzionale, era stata chiesta - quale parere preventivo - da Gianni Letta. E dunque tale e tanto motivo di imbarazzo da parte del governo francamente non l'ho capito. Ho apprezzato, invece, la lunga intervista che Maurizio Sacconi ha rilasciato, sempre ieri, ad Aldo Cazzullo: Sacconi, favorevole al ripristino dell'alimentazione ad Eluana, ha motivato le proprie ragioni - sulle quali sono comunque in dissenso - in maniera assolutamente civile, limpida e profonda.
Ed ecco, infine, l'editoriale odierno di Angelo Panebianco:
Il conflitto fra i difensori del «diritto alla libertà di scelta» e i difensori della «sacralità della vita» è degenerato nel modo in cui sappiamo. La violenza dello scontro ha coinvolto le istituzioni al massimo livello e ha spaccato il Paese. Due partiti nemici (si badi: ho detto nemici, non avversari) si fronteggiano e nessuno sa come andrà a finire. Come sempre in questi casi, è scattato, nei due campi, l'ordine di mobilitazione generale, la militarizzazione delle coscienze è in corso, e la consegna, per le opposte schiere, è di non fare prigionieri. Eppure, nonostante la violenza del conflitto, e la polarizzazione che l'accompagna, non è così facile (come vorrebbe farci credere la propaganda dei due contrapposti partiti) spazzare via i dubbi che le persone di buon senso, quali che siano le loro convinzioni morali, devono per forza nutrire di fronte a una vicenda come quella di Eluana. Anche se non è detto che i protagonisti ne abbiano piena contezza, l'intrattabilità politica del tema trova una eco nei «trasversalismi » e in certe contorsioni che si manifestano in queste ore nell'arena pubblica.
Se il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, sceglie di non seguire il leader dello schieramento cui appartiene, aprendo così una frattura difficilmente ricomponibile, ecco che Antonio Di Pietro, l'arcinemico di Berlusconi, dichiara di dare libertà di coscienza ai suoi parlamentari sul provvedimento del governo, ammettendo così implicitamente il proprio accordo con la scelta del premier di tenere in vita Eluana. E si noti che anche alcuni settori del Pd sono orientati a votare a favore. Ormai le cose si sono spinte troppo in là, è troppo tardi per fermare il processo che si è messo in moto ma è giusto per lo meno dare testimonianza del fatto che, oltre ai due partiti che si scontrano, ne esiste anche un terzo, per lo più silenzioso, e che, comunque vada la vicenda, è già stato sconfitto. È il partito di chi pensa che la Politica, la Democrazia, il Diritto, e tutte le altre più o meno utili astrazioni che siamo soliti invocare per imporre faticosamente un minimo di ordine nella vita associata dovrebbero essere tenute fuori dalla porta al di là della quale sono in gioco, come in questo caso, le questioni ultime dell'esistenza. È il partito di chi pensa che occorrerebbe coltivare, nella riservatezza e nella discrezione, una zona grigia, protetta da una necessaria ipocrisia, nella quale le decisioni sul caso singolo (sempre diverso, almeno per qualche aspetto, da qualunque altro caso singolo) restano affidate alla sensibilità e alla pietas del medico che ha in cura il malato e ai sentimenti delle persone che lo amano. Che è quanto si è sempre fatto, checché ne dicano certi sepolcri imbiancati. È il partito di chi pensa che quelle situazioni debbano essere sottratte al clamore delle «battaglie di principio». Condivido quanto ha detto Emanuele Severino (sul Corriere di ieri): a scontrarsi sono due forme di violenza. I due partiti millantano certezze assolute che, su questa terra almeno, a nessuno è dato di possedere.
Fa francamente effetto (e non è un bell'effetto) vedere, nei telegiornali, le opposte fazioni mobilitate e schierate, a Udine e in altri luoghi, l'una a difesa della vita di Eluana e l'altra a difesa del suo diritto a morire. Credo che, in queste ore, nessuno incarni lo spirito dei due partiti contrapposti meglio di Marco Pannella e di Giuliano Ferrara, due uomini stimabilissimi per il coraggio, la passione e l'onestà intellettuale con cui difendono le cose in cui credono. Schierati sugli opposti lati della barricata Pannella e Ferrara hanno tuttavia una cosa in comune: credono entrambi che tocchi alla legge, e alla democrazia che fa le leggi, il compito di imporre la soluzione. Per il diritto del singolo a scegliere, sempre e comunque (Pannella). Per l'intangibilità della vita, sempre e comunque (Ferrara). Anche se la differenza è che, per Ferrara, l'intervento del Parlamento dovrebbe essere la risposta di emergenza a una sentenza emessa in assenza di legge. Spiacente ma sono in disaccordo con entrambi. Deploro fortemente la giuridicizzazione (e l'inevitabile politicizzazione che l'accompagna) di questioni come questa. La legge è uno strumento che gli uomini hanno inventato per ridurre l'arbitrio, per trattare in modo il più possibile simile casi simili. Le «buone» leggi (non sempre le leggi sono buone) rappresentano effettivamente un utile strumento, ancorché imperfetto, per favorire uguali trattamenti e affermare principi universalistici in molte situazioni.
Ma non credo affatto che una legge possa davvero regolare le questioni-limite di cui qui parliamo. Data l'estrema variabilità dei casi, e le profonde, irriducibili, differenze fra le persone, una legge che offre una buona soluzione per un caso può risolversi in una intollerabile forma di violenza in un altro caso. D'altra parte, dire leggi significa dire tribunali. Proprio il caso di Eluana mostra quanta fragilità, quante incongruenze, quante contorsioni, siano contenute nelle sentenze dei tribunali su vicende come la sua. Lo stesso discorso vale per la democrazia. Con tutte le sue brutture e volgarità, è pur sempre la migliore forma di governo, dal momento che consente di risolvere le controversie senza spargimenti di sangue, con il voto anziché con le armi. Da qui però ad affidarle le decisioni sulla vita e sulla morte ce ne corre, o ce ne dovrebbe correre assai. Parlamenti e tribunali, insomma, dovrebbero essere tenuti lontani da queste cose, a conveniente distanza di sicurezza. Certo, i progressi della medicina modificano continuamente le situazioni e la politica subisce un'inevitabile pressione a intervenire. E può anche accadere, in qualche caso, che un Parlamento riesca a sfornare una legge (ci credo poco, ma l'eventualità non può essere scartata a priori) che rappresenti un buon punto di equilibrio fra opposte, e forse ugualmente rispettabili, esigenze. Se non c'è verso di tenere le grinfie dello Stato, ancorché democratico, lontano dalle questioni estreme, che almeno si evitino gli eccessi. La politicizzazione della morte è il misfatto più grave che una democrazia possa commettere.



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2 Commenti:

Anonymous Anonimo ha detto...

leggi questo...

"Io sono felice. Povera Eluana"
Milano, parla giovane uscito dal coma
Come Eluana anche lui è entrato nel tunnel dopo un incidente stradale: la sera di Ferragosto del 1991. Come Eluana è rimasto sospeso nell'esistenza vegetativa anni e anni. Ma i suoi genitori non si sono arresi e, un bel giorno, Massimiliano Tresoldi si è risvegliato. Il 36enne di Carugate, nell'hinterland milanese, non può ancora parlare, ma comunica attraverso l'alfabeto dei segni e la scrittura. Un giorno ha scritto: "Io sono felice. Povera Eluana".

Come racconta la "Gazzetta della Martesana", Massimiliano, dopo dieci anni di coma, si è ripreso quasi magicamente. I medici non avevano dato molte speranze alla mamma Lucrezia Povia, al papà Ernesto e ai fratelli Barbara e Gabriele.

A credere forse più di tutti in quello che per i medici è quasi un miracolo è stata la mamma. "Mio figlio capiva tutto quando era in coma - ha raccontato la donna alla "Gazzetta della Martesana" - Nessuno se lo sa spiegare, nemmeno i medici, ma lui ricorda perfettamente i discorsi che abbiamo fatto quando lui non era cosciente. Stava sdraiato con gli occhi aperti, non comunicava, ma capiva tutto: di questo noi abbiamo la certezza".

La donna fa il confronto con la vicenda di Eluana Englaro, la 38enne che da 17 anni in stato vegetativo permanente. "E' proprio per questo motivo che ritengo un comportamento vergognoso quello del papà di Eluana Englaro: non si può togliere l'alimentazione a una persona che è ancora viva e farla morire di fame. E' un'atrocità immensa. Non dobbiamo essere ipocriti: pratichiamole una puntura e uccidiamola, tanto è comunque eutanasia. Io sono contraria all'accanimento terapeutico: se vedo una persona soffrire è giusto interrompere il dolore, ma non è questo il caso: Eluana, come Max, non è tenuta in vita da un respiratore o da una macchina, semplicemente c'era un sondino gastrico per l'alimentazione. Io ho scelto, quando mio figlio era ancora in coma, consapevole dei rischi, di interrompere quell'alimentazione forzata e di tornare a imboccare con pazienza e amore Max ogni giorno. Certo, è stato un lavoro lungo, ma vederlo rifiorire e recuperare peso è stato per noi una grande ricompensa".

Max oggi è felice e, anche se non parla, si fa capire bene. Ringrazia gli amici che lo sono sempre andati a trovare. Su un foglio ha scritto ad uno di loro: "Grazie Claudio sei sempre grande", Ma sa essere anche molto severo. Ad un sacerdote ha chiarito: "Tu in me non hai mai creduto. Mia madre sì che ha faticato". Poi, un giorno, per far capire alla madre che aveva problemi di vista, ha iniziato a tenersi il capo fra le mani. E quando la donna le ha chiesto se aveva dolore, lui ha alzato il pollice. Così lei l'ha portato dall'oculista e il problema è stato risolto.

Max ama lo sport e segue i programmi sportivi in televisione. Solo di una cosa non vuole parlare: l'incidente. Ma in questi giorni segue la vicenda della sua coetanea: "Povera Eluana" ha scritto

9 febbraio 2009 alle ore 15:31  
Blogger Il sito di Davide ha detto...

Contravvenendo ad una delle regole che disciplinano la pubblicazione dei commenti, ho deciso di pubblicare questa riflessione (per'altro presente sul sito del TgCom da stamani) anonima. Lo faccio perché su questa vicenda, dove pure mi sono sempre schierato a favore di quanti invocano la "libertà di scelta", non ho certezze, ma tanti dubbi. Che ho esemplificato anche in questo ultimo post parlando di mie esperienze. Assolutamente personali. E per ciò stesso "mie".

9 febbraio 2009 alle ore 16:19  

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