martedì 31 luglio 2007

PER UNA MOBILITA SOSTENIBILE

Metto insieme alcune notizie e ricordi fra loro solo in apparenza slegati. La prima: come già accaduto in precedenza, anche quest'anno le barbabietole destinate agli zuccherifici soprattutto emiliani viaggeranno non su gomma ma su rotaia. Non più, dunque, file interminabili di mezzi pesanti ma lunghi convogli ferroviari. Secondo alcuni, nelle prossime settimane, viaggeranno lungo le nostre strade circa il 15% di mezzi pesanti in meno. Si sono levate le proteste di quanti abitano lungo la linea ferroviaria interessata al trasporto e che chiedono una migliore gestione degli orari di transito onde non disturbare il legittimo riposo notturno. La seconda: ieri si è cominciato a discutere, nell'apposita commissione, del progetto di messa in sicurezza della SP 81 che attraversa la zona di Cà Rubaldi. Un intervento reso necessario dalla prossima apertura del nuovo casello autostradale (in realtà esso coincide con l'arretramento della barriera di Marghera - Villabona) Borbiago - Oriago. Si tratta di un progetto ancora in fase preliminare ma che va ad incidere in maniera significativa nel tessuto urbano di Cà Rubaldi, una delle poche zone verdi che ancora sopravvivono nel nostro territorio. La terza: lunedì, ma non è certo una novità, solita, lunghissima, coda in tangenziale, soprattutto nei pressi dell'innesto con la A21. Mentre ero in coda osservavo le centinaia di TIR tutti in fila, coi motori accesi. Moltissimi stranieri, tanti solo di passaggio. Perché metto insieme queste tre cose? Faccio un piccolo passo indietro. La scorsa Pasqua sono stato in Austria. E' singolare non cogliere più il senso di "frontiera" nell'entrare in un Paese che è altro dal tuo. La strada che da Villach ti permette di entrare in Austria confina con la linea ferroviaria che era occupata da lunghi convogli carichi di camion. Quando sono arrivato a destinazione ho chiesto al sindaco del posto il perché di quei convogli ferroviari. Mi ha spiegato che è prassi normale nel suo paese che i mezzi pesanti, soprattutto quelli a lunga percorrenza, anzichè transitare lungo le strade, vengano fatti "salire" in treno e trasportati da una parte all'altra. Mettendo insieme questi elementi mi viene da chiedermi: ma quando anche qui da noi sarà possibile parlare di una autentica mobilità sostenibile senza correre il rischio di venire tacciati per reazionari, conservatori, nemici dell'economia? Cosa ci impedisce di adottare anche qui da noi strumenti che negli altri paesi sono oramai diventati consuetudine? Quanti migliaia di chilometri di rete ferroviaria giacciono oramai praticamente in disuso quando potrebbero essere riutilizzati a questo scopo? Non credo sia una semplice questione di costi: quanto maggiore fosse la richiesta, tanto i costi diminuirebbero. Non credo sia nemmeno una questione di logistica. Sarebbe sufficiente - laddove necessario - che i comuni si consorziassero per creare zone industriali sufficientemente grandi per permettere interventi di questo tipo. Credo piuttosto sia una questione di "semplicità di ragionamento". E' come se qualcuno fosse spaventato dalle soluzioni semplici, da quelle che chiedono solo un pò di fantasia per essere realizzate; affascinato com'è dalle soluzioni complesse, difficili (che sia perché così ha l'alibi di lasciare le cose come stanno?).

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giovedì 26 luglio 2007

BENVENUTI

Signor giudice/Le stelle sono chiare/Per chi le può vedere/Magari stando al mare

Signor giudice /Chissà chissà che sole/Si copra per favore/Che le può fare male
Immaginiamo che avrà/Cose più grandi di noi/Forse una moglie/Troppo giovane
E ci scusiamo con lei/D'importunarla così/Ma ci capisca/In fondo siamo uomini così così
Abbiamo donne abbiamo amici così così /Leggiamo poco leggiamo libri così così
E nelle foto veniamo sempre così così

/.../

Noi siamo tanti siam qua, già la chiamiamo papà/Di quei papà
Che non si conoscono/ Quel giorno quando verrà giudichi senza pietà/Ci vergognamo tanto d'essere uomini/così così

/..../

Signor giudice noi siamo quel che siamo/Ma l'ala di un gabbiano può far volar lontano
Signor giudice qui il tempo scorre piano/Ma noi che l'adoriamo col tempo ci giochiamo
L'ombra sul muro non è una regola/Però ci fai l'amore per abitudine
Lei certamente farà quello che è giusto/Per noi che ci fidiamo e continuiamo
A vivere così così così

/.../

(Roberto Vecchioni, Signor Giudice)


Qualcuno la chiama la “mania dei blog”. Qualche altro vi legge addirittura non meglio precisati disegni “sovversivi” nel mettere a disposizione uno spazio virtuale vissuto come luogo di incontro, di confronto e di discussione. Questi “signori giudici” che hanno sempre la verità in tasca, l’assoluta certezza di non sbagliare mai, l’intima convinzione di esser sempre dalla parte della ragione, mi fanno venire in mente Eugenio Montale il quale, ricevendo il Premio Nobel per la poesia, disse: “sono qui per aver scritto poesie: un prodotto assolutamente inutile ma, per fortuna, quasi mai nocivo”. Cosa può esserci di nocivo, infausto, pericoloso in un blog? Francamente, frequentandone da tempo alcuni, ancora non l’ho capito. Forse che sia il timore di scoprire che, spesso, proprio nelle discussioni che animano i vari post ci si possa accorgere di come le distanze e le differenze tra persone che hanno cultura, esperienze, appartenenze tra loro diversissime non sono così lontane come sembra? E siccome mi diverte troppo l'idea che esistano piazze virtuali di questo tipo, ho deciso di costruirne una anche io. E questa piazza me la sono immaginata come dovrebbero essere tutte le piazze del mondo: circondata da tanti alberi che facciano ombra a chi vuol riposarsi in attesa del calar del sole. E poi piena di tanti spazi verdi a disposizione di tutti quei saltimbanchi della vita che vogliano mettere in scena le nostre diverse umanità. E c'è pure un chiosco, sì un piccolo chiosco – là sulla destra – a vendere gelati e cocomeri, con qualche tavolino e poche sedie dove discutere e ragionare mangiando qualcosa. Una piazza dove può entrare solo chi si sente (o vorrebbe sentirsi) ancora un pò bambino con la voglia eterna di stupirsi per un nonnulla (anche per una piazza che non c'è) e la gioia grande di incontrare gente nuova. E se qualcuno non ci vuol entrare, son fatti suoi... Agli altri, a coloro che si avvicinano per la prima volta a questo spazio do il mio benvenuto e l’augurio che possano trovarsi a casa loro. Io, per me, farò di tutto per essere un padrone di casa assolutamente ospitale....

E se poi qualcuno tornerà stia tranquillo: ci sarà sempre qualcosa di fresco da bere.

Che il viaggio inizi dunque....Buona lettura.

Davide


Ho letto millanta storie di cavalieri erranti, di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza. Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia, ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia; proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto: vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso l'ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso, e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello, ma un rifiuto non l'accetto, forza sellami il cavallo ! Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante, colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte, com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...

(Francesco Guccini, Don Chisciotte)


mercoledì 25 luglio 2007

TRE PER UNO?


Da un uomo solo al comando (pericolo paventato da molti) siamo già arrivati a quota tre. Tre esponenti politici che il prossimo 14 ottobre correranno per assumere la leadership del non ancora nato Partito Democratico. Almeno fino ad oggi giacché vi è la candidatura sub judice di Emma Bonino e Marco Pannella. In ordine rigorosamente alfabetico: Rosy Bindi, Enrico Letta, Walter Veltroni. Il sindaco di Roma, dalla sua, ha pure il ticket con Dario Franceschini : entrambi furono fra i primi a sostenere con forza la necessità di procedere a passi spediti verso la riunificazione di forze politiche progressiste e riformiste. Due personalità che provengono da esperienze diverse ma che dalla loro hanno grande pragmatismo e capacità di infondere entusiasmo (come per'altro si è visto all'indomani del discorso di Torino con cui Veltroni accettò la candidatura). Che poi è quel di cui tutti abbiamo bisogno dopo mesi di grandi depressioni politiche! Dunque tre candidati per il momento. E fin qui c’è da essere ottimisti per questi segnali di vitalità che scuotono la sempre asfittica politica nostrana. Poi però vien da chiedersi: candidati a cosa? A guidare un partito che ancora non c’è. Un partito di cui ancora non si conosce il programma. Esso mi appare (purtroppo: giacché - e lo dico subito a sgombrare facili equivoci - io da sempre mi sono schierato a favore del PD) come una scatola vuota in attesa di qualcuno che inizi a riempirla di contenuti. Speriamo che questi contenuti caratterizzino la campagna elettorale di ciascun candidato. Non vorrei, infatti, che la scelta degli elettori si basasse solo sulle logiche di appartenenza - o peggio sulle lotte intestine ai due maggiori partiti - anziché su quale fra i candidati interpreti meglio l’idea che ciascuno di noi ha della società, di questo nostro Paese. Una cosa positiva comunque la stiamo vedendo: e cioé che attraverso queste candidatura si sta palesando, finalmente, quel ricambio generazionale che sembrava impossibile da realizzare nella nostra società. Un ricambio generazionale che deve necessariamente puntare ad un cambiamento reale nel modo di fare politica, nel modo di porsi di fronte ai tanti affanni di cui soffre il Paese nella consapevolezza che, mai come oggi, vi è il dovere morale di proporre visioni strategiche proiettate sul futuro e non sull'immediato. Penso anche che una prima verifica di quanto sia concreta la novità del nascente PD sarà rappresentata dalla reale volontà di modificare l'attuale legge elettorale. Se a fronte delle tante dichiarazioni di intenti che vengono da più parti, dovessimo scoprire che in realtà nessuno vuole rimettere in discussione i privilegi garantiti da collegi sicuri ove corrono candidati scelti dalle segreterie nazionali anziché espressione del territorio, allora vorrà dire che davvero il PD sta nascendo molto male. E francamente a me le "liste bloccate" con cui voteremo il 14 ottobre non sembrano un buon punto di partenza.

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lunedì 23 luglio 2007

METTI UNA SERA DIVERSA...

Sabato scorso sono stato invitato ad uno spettacolo teatrale organizzato dall’associazione GLI AMICI DEL CAPITEO a Borbiago. Si tratta di un gruppo di persone che da anni si preoccupano di organizzare iniziative a favore dei loro concittadini Con pochi mezzi ma con tanta passione, disponibilità e spirito di sacrificio riescono ad allestire un calendario di iniziative sempre molto apprezzate L’altra sera circa 150 persone hanno assistito ad uno spettacolo di cabaret: decine di schetch per nulla volgari a dimostrazione di quanto la comicità non abbisogna di altro – per emergere – che di qualità, capacità di leggere la realtà che ci crconda, intuizione a cogliere i tanti tic e vizi nostrani. Quello dell’altra sera è un appuntamento che si ripete oramai ogni anno permettendo a chi lo voglia di trascorrere un paio d’ore in allegria e serenità. Ma non ci sono solo loro. Penso alle molteplici attività organizzate dal GRUPPO RICREATIVO - CULTURALE di Oriago o dall'associazione LA MALCONTENTA che allestisce, ogni anno, una vera stagione teatrale capace di raccogliere moltissimi consensi. Ne parlo perché credo che non esista una cultura “alta” ed una “nazional popolare” quanto piuttosto tante, diverse, espressioni culturali ciascuna delle quali deve trovare spazio e “dignità di esistenza” all’interno dell’offerta culturale del nostro comune. Il problema è quello di “fare rete” tra queste diverse iniziative con l’obiettivo di creare un cartellone unitario in cui le iniziative culturali promosse dall’Amministrazione Comunale e quelle organizzate, spesso autonomamente, dalle tante associazioni presenti sul territorio siano tra loro collegate per offrire una diversità di appuntamenti senza soluzione di continuità. Accanto a questo occorrerebbe lavorare per trovare nuovi luoghi di aggregazione che possano ospitare queste iniziative. Purtroppo nel nostro comune le piazze non sempre sono in grado di ospitare le strutture (anche minimali) necessarie per accogliere queste iniziative.

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sabato 21 luglio 2007

MEMORIE




Oggi tuttavia non si può soltanto piangere, è tempo di imparare qualcosa


9 ottobre 1963, ore 22,39

Il rumore della morte a cosa rassomigliava? Al rombo di tuono udito fino a poche ore prima? Oppure il suono appariva già nuovo, già diverso anche se ancora inconfondibile? E mentre, la televisione – una delle poche, forse l’unica – raccontava di una partita di calcio, cosa gridavano, cosa bestemmiavano? E cosa bevevano tra una cicca e l’altra? Forse un bianco frizzante, uno di quei prosecco che vengono dalla Valdobbiadene? O forse un vino rosso, forte, sanguigno come quei volti segnati di fatica? E i cappelli – sì i cappelli – dov’erano? Appesi ai muri oppure tenuti, saldi, sulle ginocchia? E avranno intuito che quel suono sordo non era tuono ma già avvisaglia di violenza che lassù, lungo il pendio dei monti, aveva già fatto opera compiuta di distruzione? Forse, chissà, avranno compreso all’ultimo che quel suono sordo non era rumore di tuono: no, perché quello si interrompe, si spezza, non è continuo. Questo invece era infinito, senza sosta, instancabile ed inesauribile. Forse allora avranno capito. Ma era già troppo tardi.


22 luglio 2007, ore 9

Insieme ad un gruppo di fidati amici arriviamo sul Vajont. Pur essendo un appassionato di montagna (così come di immersioni subacquee ma questo è un altro discorso) non vi ero mai stato: per me quel nome era soltanto una indicazione che trovi poco dopo Longarone, sulla destra, lungo la via che ti porta verso le Dolomiti ampezzane e le loro vette che talvolta, con l’amico Silvano, scaliamo in solitudine. Per arrivare alla diga percorri una strada recente che conserva molto poco dei ricordi di infanzia di Mauro Corona che ancora vive ad Erto, poco sopra la diga. Quel che accadde quella notte lo comprendi quando consideri la differente altezza prima e dopo la diga. Nomen omen: il prima è quasi colmo da ciò che precipitò dal monte TOC quando, fradicio di pioggia e senza salde radici a contenerne l'azione di scivolamento, cedette di colpo. Il dopo è un baratro scosceso. Tra il prima e il dopo solo la diga. Appena arrivi ti assale immediatamente un senso di pesantezza, di dolore anche se tanti anni sono passati da quel maledetto giorno che molti – ne sono certo – avranno vissuto attraverso la straordinaria ricostruzione che ne ha fatto Marco Paolini. Tra me e quella tragedia c'è un legame. In un’altra stagione della mia vita, infatti, ho fatto per 10 anni il giornalista in un quotidiano locale. Il mio caporedattore, Toni Sirena, altri non era che il figlio di Clementina (ma per tutti era semplicemente Tina) Merlin, la giornalista de L’Unità (nel film - diretto da Renzo Martinelli - che ne è stato tratto era interpretata da Laura Morante) che, prima e unica, aveva avuto il coraggio di denunciare, inascoltata, il rischio rappresentato da quella diga. E, soprattutto, che per quelle denuncia era stata addirittura arrestata e processata per direttissima (consiglio il sito dell’associazione www.tinamerlin.it). Ma c’è un’altra persona (a volte sono strane le connessioni che legano un ricordo all’altro) cui ho pensato in quei minuti di veglia silenziosa, vicino alla chiesetta che ricorda i morti di quella strage. Ed è l’onorevole Tina Anselmi, che conosceva benissimo il lavoro della sua omonima. Una sera la Anselmi era ospite di alcuni suoi amici a Mira. Ci andai per intervistarla. Una intervista è sempre difficile: se cominci male, non riesci a raddrizzarla più. Ed io non sapevo da dove partire. Toni mi aveva dato una lettera affinché gliela consegnassi. “Ad intervista conclusa” si raccomandò: era l’invito a partecipare alla nascita della fondazione Tina Merlin. Decisi di contravvenire all’ordine del mio capo. Quando gliela consegnai, spiegandole chi fosse il destinatario, credo di aver visto negli occhi dell’allora presidentessa della commissione parlamentare sulla P2 un velo di commozione. Due persone diversissime (la Anselmi democratica-cristiana, la Merlin giornalista de L’Unità) ma unite dalla esperienza della Resistenza, dal loro essere state entrambe partigiane, dal loro essere donne di montagna (di sguincio la Anselmi essendo nata a Castelfranco Veneto; di nascita la Merlin, nata a Trichiana, nel bellunese), rispettose l’una del lavoro dell’altra. Sono passati quasi 15 anni da quei giorni e oggi li ho rivissuti tutti accorgendomi che nulla avevo dimenticato.

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