mercoledì 26 agosto 2009

CIAO TED


Molti biografi, storici ed in particolare storici della politica concordano che, tra tutti i Kennedy impegnatisi nella politica americana, probabilmente l'unico dotato di autentico talento era Ted Kennedy, indiscusso leader del Partito Democratico, per decenni senatore. La sua ascesa politica fu interrotta da un brutto incidente nel quale morì la sua segretaria. Malato da tempo, ha partecipato - laddove le sue condizioni glielo consentivano - alla trionfale campagna elettorale di Obama. Giusto qualche giorno fa la sua ultima lettera con la quale chiedeva di intervenire sulle regole che stabiliscono la successione al seggio senatoriale in caso di "posto vacante". Ed ieri se n'è andato. Giusto due settimane dopo la morte della sorella e suocera dell'attuale governatore della California (repubblicano).
Ecco come ne dà notizia, oggi, l'edizione on line de Il Corriere:
E' morto a 77 anni seguito di una lunga malattia il senatore democratico americano Edward Kennedy (meglio noto come Ted) fratello dell'ex presidente degli Stati Uniti John Kennedy e del candidato alla presidenza Bob entrambi morti assassinati. «Abbiamo perso il centro insostituibile della nostra famiglia e della luce gioiosa della nostra vita, ma l'ispirazione della sua fede, ottimismo e perseveranza vivrà nei nostri cuori per sempre», si legge in un comunicato della famiglia citato dalla Cnn. «Ringraziamo tutti coloro che gli hanno dato assistenza nell'ultimo anno, e tutti quelli che lo hanno accompagnato nella sua incessante marcia per il progresso verso la giustizia».
MALATO DA TEMPO - Ted Kennedy era malato da tempo di un tumore al cervello. Da giorni si rincorrevano voci circa un drastico peggioramento delle sue condizioni, alimentate anche dalla sua assenza al funerale della sorella Eunice Shriver Kennedy, due settimane fa. Kennedy aveva inoltre scritto una disperata lettera ai vertici del suo Stato, il Massachusetts, chiedendo di essere sostituito nel suo ruolo di senatore a Washington il prima possibile, senza aspettare l’elezione suppletiva necessaria per legge. Il senatore, infaticabile sostenitore di Barack Obama, temeva infatti che la sua assenza nuocesse al partito al momento di votare la tanto discussa riforma sanitaria.




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lunedì 24 agosto 2009

BENTORNATI

Avrei voluto raccontarvi molte cose. Ad esempio salutare anche da questo spazio Nanda Pivano, socmparsa alcuni giorni fa. Oppure di un cartello visto a Rovigno, nei pressi dei parcheggi riservati ai disabili in cui si leggeva: "visto che hai preso il mio posto, vuoi prendere anche la mia invalidità?". Oppure di una sensazione "a pelle" per carità e cioè che tra Slovenia e Croazia la tensione c'è ed è palpabile, ad esempio, dalla lunga attesa che subisci alla frontiera slovena dove solerti fuinzionari controllano i tuoi documenti all'inverosimile laddove invece, in Croazia, fili via tranquillo. Oppure dell'ormai imminente scadenza congressuale del Partito Democratico. Oppure di Luca Badoer o della disfatta assoluta che abbiam beccato ai mondiali di atletica.
Poi invece leggi un editoriale che Giuseppe D'Avanzo affida alla "sua" sovversiva "La Repubblica" e a te non resta che riflettere:
Si è insediato ieri alla direzione del Giornale della famiglia Berlusconi, Vittorio Feltri, un tipo che - a quanto dice di se stesso - "non ha la stoffa del cortigiano". Lo dimostra subito. Feltri scatena, fin dal primo editoriale, un violentissimo, sbalorditivo assalto a Silvio Berlusconi, suo editore e capo del governo. Per dimostrare che, nel lavoro che lo attende, non sarà né ugola obbediente né sgherro libellista, il neo-direttore sceglie un astuto espediente. Le canta a nuora perché suocera intenda. O, fuor di metafora, ad Agnelli (morto) perché Berlusconi (vivo) capisca e si prepari. Feltri si dice stupefatto per "quanto sta avvenendo sul fronte fiscale". Trasecola per quel che si dice abbia combinato in vita Gianni Agnelli che "avrebbe esportato o costituito capitali all'estero sui quali non sarebbero state pagate le tasse". Decide di liberarsi una buona volta di quell'inutile fardello che è il garantismo, favola buona soltanto per il Capo e gli amici del Capo, e picchia duro, durissimo. Questo "furfante" di un Agnelli, scrive Feltri, "ha sottratto soldi al fisco", e quindi "ha procurato un danno allo Stato", "ai cittadini che le tasse le pagano"; ha saccheggiato "per montagne di quattrini neri" le casse di società quotate in Borsa, "derubando gli azionisti". E allora, si chiede, è più grave "rubare al popolo o toccare il sedere a una ragazza cui va a genio di farselo toccare"? Conclude quel diavolo di un Feltri: "Ne riparleremo". E' l'impegno che Feltri assume dinanzi ai suoi lettori e la minaccia che il neo-direttore del Giornale riserva, nel primo giorno, al suo povero editore. Feltri non è ingenuo e non è uno sprovveduto. E' un professionista tostissimo e soprattutto ha memoria lunga. E statene certi - questo annuncia il suo editoriale - parlerà presto di quel "furfante" del suo editore. Gli getterà in faccia, senza sconti, le 64 società off-shore "All Iberian" che Berlusconi si è creato all'estero, governandole direttamente e con mano ferma.
Gli ricorderà, e lo ricorderà ai suoi lettori, come lungo i sentieri del "group B very discreet della Fininvest" siano transitati quasi mille miliardi di lire di fondi neri, sottratti al fisco con danno di chi paga le tasse; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come "i politici costano molto... ed è in discussione la legge Mammì"). E ancora, la proprietà abusiva di Tele+ (violava le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le "fiamme gialle" ); il controllo illegale dell'86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; le risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma che hanno messo nelle mani del capo del governo la Mondadori; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato e in spregio dei risparmiatori, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. In attesa di sapere se Agnelli sia stato o meno un "furfante", Feltri, che non è un maramaldo, ricorderà quanto sia furfantissimo il suo editore, come al fondo della fortuna di Berlusconi ci siano evasione fiscale e falso in bilancio, corruzione della politica, della Guardia di Finanza, di giudici e testimoni; manipolazione, a danno degli azionisti, delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa. E, giurateci, quel diavolo di Feltri non si fermerà qui. Ricorderà le diciassette leggi ad personam che hanno salvato il suo editore da condanne penali, protetto i suoi affari, alimentato i profitti delle sue imprese. Ricorderà, con il suo linguaggio concreto e asciutto, quanto quell'uomo che ci governa sia, oltre che "un furfante", un gran bugiardo. Rammenterà ai lettori del Giornale quando Berlusconi disse: "Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conoscevo neppure l'esistenza" (Ansa, 23 novembre 1999, ore 15,17). O quando giurò sulla testa dei figli: "All Iberian? Galassia off-shore della Fininvest? Assolute falsità". La trama dell'offensiva di Feltri contro il suo editore già fa capolino. Presto leggeremo un altro editoriale, altri editoriali all'acido muriatico. Nel solco delle menzogne diffuse dal premier che evade le tasse, Feltri ricorderà che è stato Berlusconi a mentire agli italiani negando di frequentare o di aver frequentato minorenni, giurando sulla testa dei figli di condurre una vita morigerata da buon padre di famiglia, prossima alla "santità", per intero dedicata alla fatica di governare il Paese. Feltri concluderà che un uomo, un "furfante" che trucca bilanci, deruba i contribuenti e le casse dello Stato, si cucina legge immunitarie perché governa il Paese e per di più mente senza vergogna sull'origine della sua fortuna e sulla sua vita privata, diventata pubblica, non può essere affidabile quando parla del destino dell'Italia, qualsiasi cosa dica o prometta.
Che la forza sia con voi!



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giovedì 13 agosto 2009

GABBIE ELETTORALI?

Quello delle alleanza sarà uno dei punti cardine del dibattito congressuale che accompagnerà il Partito Demcratico alle primarie di ottobre. Credo che questo sia uno dei temi cruciali per il futuro del partito: anche gli ultimi risultati elettorali dimostrano che - nemmeno con un Presidente del Consiglio in evidente difficoltà - il centrosinistra riesce a mettere in campo proposte e nomi in grado di assicurarsi la maggioranza in questo Paese. Che fare? Dati alla mano in Veneto (dove nella primavera del 2010 si voterà per le Regionali) l'accordo con la sola UDC non appare, sulla carta, determinante per vincere le elezioni. Tanto più che il Presidente Galan ha, dalla sua, una serie di risultati che - diciamocelo con chiarezza suvvia - sono significativi: credo, infatti, che ai veneti interessi di più la realizzazione del Passante o del MOSE piuttosto che la colpevolissima inerzia della maggioranza nella approvazione dello Statuto. Per di più i rapporti all'interno del centrodestra sono complicatissimi: con una Lega Nord così forte, infatti, il PDL non è più, a me pare, in condizione di dettare la linea da seguire. Se a questo ci aggiungiamo l'interessante (almeno per me) dibattito seguito al libro - intervista dello stesso Galan, il quadro che emerge è quello di un centrodestra piuttosto frammentato. Tanto più che le dinamiche elettorali sono talmente fluttuanti d arendere pressoché impossibile pensare ad un modello di alleanza uguali in tutta Italia: basti pensare al "caso Trentino" o a quei comuni che hanno sperimentato alleanza "variabili".
E' questo, io credo, il punto forte del ragionamento cxhe il presidente del Porto di venezia, paolo Costa, ha affidato ad una lettera pubblicata dai principali quotidiani italiani. Scrive Costa:
Alla ricerca di una «alleanza compatibile con il programma» occorre invece un atto di vera autonomia regionale che ci liberi dal vincolo di dover rispettare gli steccati nazionali: Pdl-Lega, da un lato, e Pd-IdV e Sinistra radicale, dall' altro. Con il Pdl al 29%, la Lega al 28% e il Pd al 20%, secondo il dato della regione restituitoci dalle europee, il perno di ogni futura alleanza per il Veneto può essere teoricamente costituito da ogni coppia dei tre partiti maggiori: Pdl-Lega, Pd-Lega, ma anche Pdl-Pd. È qui che entra in ballo il merito delle politiche da portare avanti nell' interesse del Veneto.
E ancora:
Il Veneto di domani non ha bisogno di essere tirato un giorno verso un riformismo di stampo europeo e il giorno dopo sulla strada opposta del protezionismo localista, intrinsecamente separatista.
Infine:
Il Veneto deve al contrario coltivare le alleanze politiche e territoriali che portino prima di tutto il Paese a darsi quella strategia di modernizzazione di stampo europeo che è nelle corde riformiste del miglior Pdl e del miglior Pd. Questo non postula alcun abbandono del bipolarismo e della democrazia dell' alternanza, anche se potrebbe richiedere un passaggio da «grande coalizione» alla tedesca. Solo che per «salvare (il meglio della politica de) il soldato Galan» il discrimine deve passare tra i «ponti abbassati» della modernizzazione ancorata ai valori europei contro i «muri eretti» dalla miopia localista o dallo sciacallaggio antipolitico.
A me sembra un ragionamentoi ineccepibile.
Che la forza sia con voi!

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mercoledì 12 agosto 2009

AUDIENCE?

Dall'edizione odierna del TGCOM:
Faceva uccidere per alzare audience
Sta facendo scalpore in Brasile l'accusa lanciata dalla polizia contro un presentatore televisivo il quale avrebbe ordinato una serie di omicidi per aumentare la propria popolarità sul piccolo schermo. Wallace Souza ricopre anche l'incarico di deputato ed è un ex agente di polizia. L'uomo ha respinto ogni accusa, sostenendo che l'inchiesta sarebbe stata orchestrata dai suoi rivali per calunniarlo.
Le autorità brasiliane hanno inoltre accusato Souza di traffico di droga nello stato di Amazonas. "L'ordine di giustiziare qualcuno è sempre partito dal deputato e dal figlio, che poi avvertiva le troupe televisive perché arrivassero sul posto prima della polizia", ha detto all'Associated Press il capo dell'intelligence di polizia locale, Thomaz Vasconcelos. L'uccisione di trafficanti di droga "sembra sia stata ordinata per liberarsi dei suoi rivali e aumentare l'audience del suo show televisivo", ha aggiunto Vasconcelos. L'uomo è sotto inchiesta per complicità in cinque omicidi. "Io sono quello che ha lanciato inchieste parlamentari sulla criminalità organizzata, sul sistema carcerario, sui traffici di droga tra la polizia e sulla pedofilia", ha ribattuto Souza all'Ap. Il suo avvocato, Francisco Balieiro, ha sostenuto che non ci sarebbe "nessun elemento di prova per tali accuse". Tuttavia, Vasconcelos ha precisato che le accuse sono state mosse dopo aver raccolto la testimonianza di diversi ex dipendenti e addetti alla sicurezza di Souza.
Che la forza sia con voi!

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martedì 11 agosto 2009

IN NOME DELLA LEGGE?



Dal TGcom:



San Suu Kyi, condanna a domiciliari




La dissidente birmana Aung San Suu Kyi è stata giudicata colpevole di aver violato la legge sulla sicurezza, e la corte birmana ha emesso la sentenza che la condanna a tre anni di reclusione. La condanna è stata però commutata dalla giunta militare al potere a 18 mesi di arresti domiciliari. A 7 anni di lavori forzati è stato invece condannato il pacifista americano John Yettaw che a maggio aveva raggiunto a nuoto l'abitazione di Aung San Suu Kyi.
Più pesante il verdetto a carico del co-imputato di Suu Kyi, il 54enne statunitense John Yettaw, in tutto sette anni di lavori forzati: tre ancora per violazione delle leggi sulla sicurezza, altrettanti per immigrazione illegale nel Paese asiatico, e infine uno per violazione delle norme municipali sull'attività natatoria. Fu infatti a nuoto che lo scorso maggio il bizzarro personaggio raggiunse la villetta dell'assegnataria del premio Nobel per la Pace 1991, una modesta villetta in riva a un lago artificiale, alla periferia della vecchia capitale birmana Yangon, già nota come Rangoon.Suu Kyi lo ospitò per due notti a casa propria, secondo il regime in tal modo infrangendo i termini sulla base dei quali le erano stati concessi gli arresti domiciliari, condizione nella quale la 63enne numero uno della Lnd, la Lega Nazionale per la Democrazia, ha trascorso la maggior parte degli ultimi diciotto anni. Entrambi furono così arrestati. Da allora Yettaw, che soffre di diabete, è stato più volte ricoverato in ospedale, l'ultima una settimana fa, in preda a convulsioni di tipo epilettico; lunedì comunque era stato dimesso e tradotto nuovamente in carcere.
La Ue protesta L'Unione europea, con un comunicato della presidenza, ha condannato il verdetto di colpevolezza emesso contro Aung San Suu Kyi annunciando che "risponderà con sanzioni supplementari verso i responsabili della condanna". Secondo l'Europa, "il processo contro San Suu Kyi è ingiustificato e va contro il diritto nazionale e internazionale", e per questo la Ue chiede "l'immediato rilascio della leader dell'opposizione birmana".
Che la forza sia con voi!

Manca poco meno di un mese al 3° anniversario della sua liberazione dopo che era stata estradata in Italia da un carcere statunitense di massima sicurezza dove avrebbe dovuto scontare una pena a 43 anni di reclusione semplicemente perché...comunista.

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lunedì 10 agosto 2009

COLORI

Storie Giochi (senza discriminazioni) sulla riviera di Barcola
Il bambino che ignora il colore della pelle
Dalla scogliera di Trieste, tra una folla abitudinaria e tranquilla, una piccola lezione sull’identità e sull’amicizia

Sulla riviera di Barcola, a Trieste. Si fa per dire, riviera; una sottile striscia di scogli, spiaggia libera che costeggia la strada principale di accesso alla città, acqua subito profonda, sulla riva tamerici spumose come onde, un orizzonte marino vasto e aperto, che nell’infanzia dava il senso dell’immensità oceanica, in un’educazione sentimentale in cui s’imparava una volta per tutte il legame fra l’eros e il mare. Quella gente in costume da bagno, non in uno stabilimento né su una vera spiag­gia, ma alle porte della città e quasi già in città, dà un’impressione di vita persuasa e goduta.

Trieste non è solo crocevia tra est e ovest, come recita la sua didascalia, ma pure fra nord e sud, fra la malinconia scandinava di certi tramonti d’inverno e la vitalità meridionale dell’estate. In fon­do al golfo, dove le acque italiane divengo­no slovene e poi croate, si vedono il Duo­mo di Pirano, la plurisecolare orma del le­one di S. Marco nell’Istria, e più avanti Punta Salvore, col suo faro e i suoi pini nel vento. La popolazione che da maggio a otto­bre, e soprattutto in agosto, arriva ogni giorno su quella scogliera di Barcola è abi­tudinaria; per tacita convenzione, ognuno di noi ha il suo posto sulla riva, generica­mente rispettato dai vicini, con cui s’in­trattengono rapporti garbati ma senza prendersi né dare confidenza. Ogni tanto aleggia, annunciata sui giornali, la minac­cia di divieti, piani regolatori, costruzioni di stabilimenti a pagamento o di porticcio­li turistici, minaccia finora ogni volta sven­tata da pugnaci lettere inviate alla stampa e alle autorità dagli uomini di penna, nu­merosi e assidui fra quei bagnanti, e da proteste che arrivano da triestini residen­ti da anni a New York o ad Adelaide ma non dimentichi di quella scogliera. Le au­torità, a dire il vero, dimostrano di com­prendere che quella libertà di «tocio» os­sia di tuffo è un bene pubblico, una buo­na qualità di vita collettiva, e si preoccupa­no delle docce gratuite e delle tamerici.

Qualche anno fa la scogliera era salita alla ribalta delle cronache grazie a un annega­to, il cui corpo riportato a riva e coperto da un lenzuolo era rimasto a lungo in mezzo ai bagnanti che avevano continua­to a prendere il sole accanto a lui, in quel­la familiare indifferenza della vita per la morte che la grande e rovente luce del­l’estate rende ancora più spietata. Pochi gli schiamazzi, rari i disturbi alla quiete pubblica. Giorni fa, una madre ha redarguito il figlio, un bambino di quat­tro o cinque anni che giocava con un’in­cantevole coetanea — nera come l’eba­no, evidentemente adottata dai genitori, due tedeschi che si erano sistemati un po’ più lontano — sparando con una pi­stola ad acqua e scavalcando di corsa i corpi distesi al sole, per lui non ancora desiderabili o conturbanti. Sgridato, il bambino protestava, dicendo che allora bisognava rimproverare pure la bambi­na. «Quale bambina?», chiese la madre, che non la vedeva perché si era nascosta dietro un albero. «Quella che parla che non si capisce niente», rispose lui, evi­dentemente colpito dal fatto che la picco­la chiamasse le cose in modo per lui in­comprensibile, un po’ arrabbiato di sco­prire che esse potessero avere altri nomi.

Non gli era passato per la mente di iden­tificarla con il colore della sua pelle, che pure spiccava nettamente anche accanto all’abbronzatura dei bagnanti; quella diffe­renza di colore, che in altre situazioni ave­va provocato e potrebbe ancora provocare separazione e segregazione feroce, era irri­levante rispetto alla differenza tra l’italia­no e il tedesco. Neppure quest’ultima, pe­raltro, aveva il potere di separarli, perché, appena riapparsa la bambina nel frattem­po debitamente ammonita (in tedesco) dai suoi genitori, i due avevano ripreso su­bito a rincorrersi e a spruzzarsi, ignari di aver tenuto una bella lezione sulla diversi­tà e sull’identità, temi del resto cari anche ai convegni cultural-balneari così frequen­ti sulle spiagge estive, almeno quelle un po’ più eleganti della scogliera di Barcola.
Claudio Magris (ed. online Il Corriere della Sera)


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sabato 8 agosto 2009

ADDIO RAGNO


ROMA - Riccardo Cassin, una delle leggende dell’alpinismo mondiale, è morto nella sua casa di Pian di Resinelli, vicino Lecco. Di origine friulana (era nato a San Vito al Tagliamento), Cassin aveva cento anni, compiuti lo scorso 2 gennaio. Una passione, quella per la montagna, che lo aveva portato fin da giovane a misurarsi con le vette più impegnative, prima sulle Dolomiti e sulle Alpi, poi sui massicci del Karakorum, del Nepal e dell’Alaska.
LE SUE IMPRESE - E’ stato uno dei "pionieri" dell’arrampicata sportiva del Novecento, trait d’union tra l’alpinismo romantico di fine Ottocento e quello tutto tecnico e teso alla sfida continua della metà del secolo scorso. Tra le varie ascese, di Cassin si ricordano le arrampicate sulle Cime di Lavaredo, sul Monte Civetta, poi del Monte Bianco (una delle imprese più importanti). Nel dopoguerra, dopo l’inspiegabile e clamorosa esclusione dalla spedizione per il K2 con Ardito Desio, Cassin nel 1958 guida quella che porterà sulla vetta del Gasherbrum IV, nel Karakorum. Nel 1961 Riccardo Cassin giunge in vetta alla montagna più alta del Nord America: il Monte McKinley, in Alaska (mt 6.194). Nel 1975 nuova sfida in Asia: è conquistata la parete Sud della quarta montagna più alta del mondo, il Lhotse (mt 8.516), in Nepal. Riccardo Cassin era presidente onorario della sezione Club Alpino Italiano di Lecco, del gruppo Ragni, E’ stato anche decorato con quattro medaglie d’oro al valore atletico, nel dicembre del 1971 gli poi è stata conferita l’onorificenza di Commendatore della Repubblica e nel 1976 la cittadinanza onoraria di Lecco. E’ stato nominato dall’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro Grande Ufficiale della Repubblica.

Che la forza sia con voi!


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venerdì 7 agosto 2009

VECIO SCARPON

Dante e Verga? Basta. Mi son de Trieste

Lettera aperta al ministro Gelmini di Claudio Magris

(Da Il Corriere della Sera, data odierna)

Signor ministro, mi permetto di scriverLe per suggerirLe l'opportunità di ispirare pure la politica del Ministero da Lei diretto, ovvero l'Istruzione — a ogni livello, dalla scuola elementare all'università — e la cultura del nostro Paese, ai criteri che ispirano la proposta della Lega di rivedere l'art. 12 della Costituzione, ridimensionando il Tricolore quale simbolo dell'unità del Paese, affiancandogli bandiere e inni regionali. Programma peraltro moderato, visto che già l'unità regionale assomiglia troppo a quella dell'Italia che si vuole disgregare.Ci sono le province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di un’identità ancor più compatta e pura. Penso ad esempio che a Trieste l'Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.Ma bandiere e inni sono soltanto simbo­li, sia pur importanti, validi solo se esprimo­no un'autentica realtà culturale del Paese. È dunque opportuno che il Ministero da Lei diretto si adoperi per promuovere un'istru­zione e una cultura capaci di creare una ve­ra, compatta, pura, identità locale.La letteratura dovrebbe ad esempio esse­re insegnata soltanto su base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere assolutamente sostitui­ti dalla conoscenza approfondita del Moro­so de la nona di Giacinto Gallina e questo vale per ogni regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve esse­re insegnata secondo questo criterio; l'ope­ra di Galileo, doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve essere esclusa da quelli vigenti in Lombar­dia e in Sicilia. Tutt'al più la sua fisica po­trebbe costituire materia di studio anche in altre regioni, ma debitamente tradotta; ad esempio, a Udine, nel friulano dei miei avi. Le ronde, costituite notoriamente da pro­fondi studiosi di storia locale, potrebbero essere adibite al controllo e alla requisizio­ne dei libri indebitamente presenti in una provincia, ad esempio eventuali esemplari del Cantico delle creature di San Francesco illecitamente infiltrati in una biblioteca sco­lastica di Alessandria o di Caserta.Per quel che riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’en­triamo con il Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno be­ne a casa loro, ma noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».Come ho già detto, non solo l’Italia, ma già la regione, la provincia e il comune rap­presentano una unità coatta e prevaricatri­ce, un brutto retaggio dei giacobini e di quei mazziniani, garibaldini e liberali che hanno fatto l'Italia. Bisogna rivalutare il rio­ne, cellula dell'identità. Io, per esempio, so­no cresciuto nel rione triestino di Via del Ronco e nel quartiere che lo comprende; perché dovrei leggere Saba, che andava inve­ce sempre in Viale XX Settembre o in Via San Nicolò e oltretutto scriveva in italiano? Neanche Giotti e Marin vanno bene, perché è vero che scrivono in dialetto, ma pretendo­no di parlare a tutti; cantano l’amore, la fra­ternità, la luce della sera, l’ombra della mor­te e non «quel buso in mia contrada»; si ri­volgono a tutti — non solo agli italiani, che sarebbe già troppo, ma a tutti. Insomma, so­no rinnegati.Ma non occorre che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio distruggere quello che resta dell’unità d’Ita­lia. Finora abbiamo creduto che il senso pro­fondo di quell’unità non fosse in alcuna con­traddizione con l'amore altrettanto profon­do che ognuno di noi porta alla propria cit­tà, al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è pro­fondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa, a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente pro­fondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi innu­merevoli, diversi e incantevoli volti che con­corrono a formare la sua realtà. Ci riconosce­vamo in quella frase di Dante in cui egli dice che, a furia di bere l'acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, ag­giungendo però che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare. Sbagliava? Oggi certo sembrano più attuali altri suoi versi: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!». Con osservanza

Che la forza sia con voi!




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giovedì 6 agosto 2009

SULLA LAICITA

Domandina, domandina (come cantava Roberto Vecchioni alcuni anni fa) chi ha scritto ieri, sul suo blog, questo post?

Dunque anche in Italia la pillola abortiva è in ospedale. Serve a tutelare la donna da una maternità non voluta. La prassi prevede una somministrazione ospedaliera. L'agenzia europea la considera sicura. Sulla Ru-486 si è subito scatenata la polemica nella quale destra e chiesa cattolica ufficiale si trovano insieme.Di tutto, ovviamente, si può discutere. Ma ancora una volta colpisce la celerità con cui dal Vaticano si invoca la scomunica. Incuranti del parere dei più esperti studiosi, contro la valutazione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, sordi davanti all'esperienza dei comitati scientifici più qualificati, i vertici vaticani emettono pronunciamenti allarmistici e ideologici. La "chiesa delle scomuniche" ancora una volta scende in campo come nemica delle donne, come nemica dell'autodeterminazione. Alla prova dei fatti, quando si tratta di discendere dai principi assoluti alla realtà, la gerarchia cattolica non perde mai l'occasione di collocarsi dalla parte sbagliata. Ci riesce sempre, prontamente e puntualmente, come se se lo prefiggesse per far dispetto al genere umano.Ma chi in questa chiesa romana cattolica vaticana ufficiale riesce a passare indenne da condanne e da scomuniche? Ma, signori del vaticano, la chiesa-popolo di Dio è un'altra cosa…e sa scegliere con voi o senza di voi.
Se avete indovinato, bravi! Altrimenti ve lo dico io...a scriverlo è un arzillo (davvero molto ve lo posso assicurare) signore piemontese di 70 anni. Si chiama Franco Barbero. Anzi: don Franco Barbero perché un sacerdote (che sostiene la candidatura di Ignazio Marino).
E questo è un brano di una lunga lettera (pubblicata da Repubblicai) di un altro sacerdote, genovese. don Paolo Farinella e indirizzata al cardinale Bagnasco:
Agli occhi della nostra gente voi, vescovi taciturni, siete corresponsabili e complici, sia che tacciate sia che, ancora più grave, tentiate di sminuire la portata delle responsabilità personali. Il popolo ha codificato questo reato con il detto: è tanto ladro chi ruba quanto chi para il sacco. Perché parate il sacco a Berlusconi e alla sua sconcia maggioranza? Perché non alzate la voce per dire che il nostro popolo è un popolo drogato dalla tv, al 50% di proprietà personale e per l'altro 50% sotto l'influenza diretta del presidente del consiglio? Perché non dite una parola sul conflitto d'interessi che sta schiacciando la legalità e i fondamentali etici del nostro Paese? Perché continuate a fornicare con un uomo immorale che predica i valori cattolici della famiglia e poi divorzia, si risposa, divorzia ancora e si circonda di minorenni per sollazzare la sua senile svirilità? Perché non dite che con uomini simili non avete nulla da spartire come credenti, come pastori e come garanti della morale cattolica? Perché non lo avete sconfessato quando ha respinto gli immigrati, consegnandoli a morte certa? Non è lo stesso uomo che ha fatto un decreto per salvare ad ogni costo la vita vegetale di Eluana Englaro? Non siete voi gli stessi che difendete la vita "dal suo sorgere fino al suo concludersi naturale"? La vita dei neri vale meno di quella di una bianca? Fino a questo punto siete stati contaminati dall'eresia della Lega e del berlusconismo? Perché non dite che i cattolici che lo sostengono in qualsiasi modo, sono corresponsabili e complici dei suoi delitti che anche l'etica naturale condanna? Come sono lontani i tempi di Sant'Ambrogio che nel 390 impedì a Teodosio di entrare nel duomo di Milano perché "anche l'imperatore é nella Chiesa, non al disopra della Chiesa". Voi onorate un vitello d'oro. Io e, mi creda, molti altri credenti pensiamo che lei e i vescovi avete perduto la vostra autorità e avete rinnegato il vostro magistero perché agite per interesse e non per verità. Per opportunismo, non per vangelo. Un governo dissipatore e una maggioranza, schiavi di un padrone che dispone di ingenti capitali provenienti da "mammona iniquitatis", si è reso disposto a saldarvi qualsiasi richiesta economica in base al principio che ogni uomo e istituzione hanno il loro prezzo. La promessa prevede il vostro silenzio che - è il caso di dirlo - è un silenzio d'oro? Quando il vostro silenzio non regge l'evidenza dell'ignominia dei fatti, voi, da esperti, pesate le parole e parlate a suocera perché nuora intenda, ma senza disturbarla troppo: "troncare, sopire ... sopire, troncare".
E allora, per favore....in questo dibattito precongressuale non usiamo l' "arma" della laicità come elemento di divisione, di separatezza. In fondo ha ragione l'Anna Maria (Miraglia, assessora a Venezia) che, durante uno dei nostri incontri, è sbottata dicendo: sulla laicità noi cattolici non accettiamo lezioni de nessuno! Basta avere la capacità di reggere lo sforzo di conoscerci un poco meglio.
Che la forza sia con voi!



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mercoledì 5 agosto 2009

SE MAN DE LADRO NON PRENDE, CANTON DE CASA RENDE

E se non sapete la traduzione, pazienza. Il divin dialetto veneto (ma occorrerebbe parlare di dialetti giacchè le sfumature e le inflessioni variano anche per pochi chilometri) è, al pari di tutti gli altri dialetti, lingua. E lingua fino in fondo.
Comunque, leggendo l'articolo pubblicato da TGCOM tutto sarà più chiaro:
Quando si dice che l'occasione fa l'uomo ladro. Nel caso che stiamo per raccontare la protagonista è una turista milanese di 48 anni che ha trovato una borsa con dentro portafogli e carta di credito. Invece di restituirla è andata in gioielleria a comprarsi un anello. Contenta del suo operato ci è tornata per acquistarne uno di maggior valore, ma è stata scoperta e denunciata dai carabinieri. E' successo a Marina di Bibbona (Livorno).
La donna, secondo quanto ricostruito dai carabinieri, aveva acquistato l'anello, per un valore di 500 euro, in una gioielleria del centro di Cecina (Livorno), il 31 luglio scorso, lo stesso giorno in cui una cinquantenne aveva denunciato ai militari il furto della sua borsa all'interna dela biblioteca comunale. I successivi accertamenti hanno permesso di ricostruire la vicenda, con la turista milanese che aveva scarabocchiato una firma poco leggibile sulla ricevuta di pagamento della carta.Il 4 agosto però la milanese ha commesso un grave errore: è tornata nella stessa gioielleria per acquistare un anello di maggiore valore. Il titolare del negozio, nel fattempo avvisato dai carabinieri ai quali aveva confermato l'acquisto dei giorni precedenti, ha informato il 112 e la donna è stata sorpresa nel negozio e denunciata per i reati di sostituzione di persona, ricettazione aggravata, truffa e illecito utilizzo di carta di credito. La milanese ha infatti ammesso di avere preso la borsa dopo averla trovata incustodita nella biblioteca cecinese e che l'anello doveva essere un regalo per una persona cara.

Che la forzia sia con voi!





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METODO

Da La Stampa:

Va su un'isola deserta per smettere di fumare
Un uomo che fuma da oltre 40 anni fino a 30 sigarette al giorno, ha scelto di autoesiliarsi per un mese su una remota e deserta isola scozzese nella speranza di riuscire a smettere. Geoff Spice, un ex banchiere di 56 anni, trascorrerà tutto agosto a Sgarabhaigh, una piccola isola delle Ebridi esterne dove non ci sono nè elettricità nè acqua corrente. Per passare il tempo, l’incallito fumatore ha portato con sè 120 libri. Spice, che ha iniziato a fumare all’età di 13 anni, ha fumato la sua ultima sigaretta prima di salire sulla nave che nel weekend lo ha portato sull’isola ed ha lasciato il resto del pacchetto alla moglie. Dave Hill, che ha acquistato l’isola quattro anni fa e la gestisce come una riserva naturale, ha dichiarato alla Bbc: «Se passate davanti all’isola ad agosto, suonate il claxon della vostra nave e salutate Geoff, ma non avvicinatevi, smettere di fumare è una cosa seria».
Che la forza sia con voi!



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martedì 4 agosto 2009

CANDIDATURE





Da http://www.fullio.it/, il blog di Andrea Causin:








Care democratiche e cari democratici,
ieri (venerdi, ndr) alle 18.00 ho depositato a Padova, presso la sede regionale del Partito, la mia candidatura alla segreteria Regionale del Partito Democratico del Veneto.
Moltissimi amici, militanti, amministratori e dirigenti del PD Veneto in questi giorni mi hanno chiesto la disponibilità ad affrontare questa sfida.


Donne e uomini che sono approdati nell’esperienza politica del Partito Democratico con percorsi e storie diverse. Storie antiche e storie recenti.

Donne e uomini che hanno saputo ritrovarsi nel faticoso e necessario lavoro di confronto sui contenuti, nella visione di un partito che supera le vecchie appartenenze e si propone come unico e autentico soggetto riformista per il Paese e per il Veneto.

Donne e uomini che hanno saputo ritrovarsi in una candidatura, la mia.

Quella di un uomo che ha la sua storia.

Vivo questa richiesta con un duplice sentimento, di orgoglio e di responsabilità.

La responsabilità di chi è consapevole dei propri limiti e che sa che possono essere superati solo nella prospettiva di vivere questa esperienza nella piena condivisione e affidamento agli altri.

Una responsabilità che assumo mettendo a disposizione prima di tutto la mia vicenda umana.
Nella prospettiva di assumere un compito nuovo, penso al percorso che mi ha portato qui.

Penso alla famiglia in cui sono cresciuto, un ambiente dove ho imparato la dedizione al lavoro, il valore della lealtà, il rispetto per gli altri e l’attenzione ai più deboli.

Penso alla mia giovane famiglia, che condivide e sostiene il mio impegno e che vive un destino condiviso e la speranza con tantissime altre famiglie del Veneto.

Penso alla mia esperienza formativa, ai docenti e ai compagni di scuola che ancora oggi sono preziosi compagni di vita.

Penso agli anni passati in azienda, dove ho lavorato nel settore del credito alle imprese e deve ho conosciuto centinaia e centinaia di artigiani, imprenditori, commercianti che hanno fatto della propria vita l’arte di intraprendere.

Penso al mio impegno nelle ACLI, una grande organizzazione del lavoro dove mi hanno insegnato che “stare dalla parte della gente” non è un’idea astratta. Richiede passione, studio ma anche capacità di organizzare servizi e risposte concrete.

Penso soprattutto alla mia passione politica maturata, com’è è accaduto per molti altri giovani della mia età, nei primi anni novanta. Gli anni di tangentopoli, delle stragi di Capaci e di Via d’Amelio.
Gli anni in cui crollava il sistema dei partiti che avevano fatto crescere la nostra giovane e fragile democrazia. Gli anni in cui era più semplice rifugiarsi nel privato, negli affetti, nello studio, nella professione.
Oggi, con la stessa passione, accetto la sfida di candidarmi alla Segreteria Regionale del Partito Democratico, nella consapevolezza che il congresso è un tempo straordinario.

Un tempo in cui non ci sono nemici, ma semplicemente degli “avversari” che portano una sensibilità differente, una sensibilità indispensabile e preziosa per continuare a costruire questa straordinaria esperienza condivisa che è il Partito Democratico.

Facciamo in modo che questo sia un tempo fertile, un tempo in cui si possa parlare del Veneto e del suo cambiamento veloce e per certi versi drammatico, che la destra non è più in grado di interpretare, delle proposte e delle sfide che abbiamo davanti.


IL VENETO VA VELOCE

Il Veneto negli ultimi 10 anni è cambiato profondamente.

La parola, sintesi del cambiamento a cui abbiamo assistito, è “velocità”.

La velocità dei processi economici: crescita, globalizzazione, internazionalizzazione, delocalizzazione e, negli ultimi mesi, crisi.
La velocità con cui è cambiato il mondo del lavoro.
La velocità con cui sono sorte le zone industriali e artigianali.
La velocità di cambiamento degli stili di vita.
La velocità con cui sono cresciute le aree urbanizzate delle nostre città e dei nostri paesi.
La velocità con cui si sono intasate di traffico, locale e di attraversamento, le strade, quelle vecchie e quelle nuove.
La velocità con cui in soli 18 anni siamo passati da 36.000 immigrati regolari a 480.000 stimati nel 2008.
La velocità con cui la presenza nelle scuole di allievi stranieri è arrivata al 15%.
La velocità con cui le nostre comunità sono divenute meno familiari, meno sicure.
La velocità con cui aumenta il bisogno di cure sociali e sanitarie, a causa, soprattutto, delle malattie senili, e della non autosufficienza.
La velocità con cui stiamo consumando l’ambiente, il territorio, le tradizioni e i legami di comunità.

La politica si trova ad affrontare una nuova questione sociale: deve colmare la distanza tra la rapidità del cambiamento e la lentezza della politica nell’organizzare risposte adeguate ai nuovi bisogni. Il Partito Democratico deve e vuole misurarsi con questa prospettiva, deve avviare un forte investimento culturale, guardando al futuro e affrontare con decisione le sfide inedite che pone la trasformazione della società Veneta.

Ma non è una sfida da vincere in solitudine. C’è un capitale sociale vitale e generoso, su cui fondare l’iniziativa politica e su cui investire

E’ il Veneto delle 500.000 imprese, che produce oltre il 10,5% della ricchezza nazionale, che si avvale della manodopera di oltre 2 milioni e mezzo di lavoratori e lavoratrici, 480.000 dei quali sono stranieri e regolarmente residenti.

E’ il Veneto degli operai e dei tecnici che si inventano un’impresa, il Veneto degli ospedali che funzionano.

E’ il Veneto degli enti locali che hanno il più basso rapporto tra dipendenti e abitanti, e il Veneto dei Sindaci imprenditori del bene comune.

E’ il Veneto delle Università di eccellenza, nel campo dell’economia, della fisica, dell’ingegneria, della medicina, il Veneto che non ha materie prime ma che è primo al mondo nell’arte di creare e trasformare prodotti e nel concepire servizi.

E’ il Veneto delle Città d’Arte, delle Dolomiti e delle Spiagge che primeggia in Italia per la quantità e la qualità dell’offerta turistica e il Veneto che da sempre è campione nella solidarietà, con la sua miriade di associazioni, gruppi e cooperative che si occupano della cura delle persone, di assistenza, di ambiente, di sport e di cultura.


UNO SPAZIO POLITICO NUOVO

Per il Partito Democratico si presenta un’occasione irripetibile.

La destra in Veneto ha fallito e non è più in grado di governare il cambiamento della nostra comunità. Da una parte lacerato dalle spinte della Lega Nord che agisce solo in chiave propagandistica, alimentando e cavalcando le paure della gente mentre è intenta ad acquisire spazi di potere e di gestione e dall’altra guidato dall’immobilismo del Popolo della Libertà, che senza alcuna visione prospettica della Regione e si limita a gestire le consistenti partite economiche del bilancio regionale.

La conseguenza di questa situazione è una totale incapacità, da parte della destra, di affrontare le conseguenze drammatiche della crisi economica che gravano sulla vita di lavoratori, artigiani, imprenditori e delle loro famiglie.

La legislatura iniziata nel 2005 e il governatore Galan si presentano alla scadenza del 2010 con un bilancio fallimentare.

Per l’incapacità di approvare lo Statuto
, uno strumento di definizione dei rapporti tra la Regione e le comunità locali, che doveva servire a delineare i compiti e i confini delle funzioni legislative ed esecutive delle istituzioni del Veneto.

Per l’incapacità di dare una risposta adeguata alla crisi e di predisporre quelle misure di sostegno al credito che potrebbero consentire un valido supporto alle imprese, soprattutto quelle piccole.

Per l’incapacità di dare una risposta alle migliaia di lavoratori che si trovano in difficoltà e che subiranno gli effetti della crisi soprattutto tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010.

Per l’incapacità ad attuare quelle misure di riforma del sistema sanitario che sia in grado di garantire
anche nei prossimi anni, con l’aumento dell’età media e delle patologie croniche, uno standard elevato di assistenza sanitaria a tutti i cittadini del Veneto.
Per l’incapacità di guidare la riconversione di un’area strategica,e a forte vocazione economica, come quella di porto Marghera.

Per l’incapacità di dare risposta alla Montagna Veneta, che attraverso i referendum di Sovramonte e Lamon ha lanciato un disperato grido d’aiuto, che è rimasto inascoltato e umiliato dalla volontà del governatore Galan di non riconoscere la specificità e l’autonomia di un territorio che sorge per il 100% in area montana.

La destra ha gestito la Regione in modo ordinario, come se nulla stesse cambiando intorno. Ha accentrato la capacità di spesa mentre centinaia di Comuni del Veneto venivano stritolati dai minori trasferimenti dei governi Berlusconi e dal patto di stabilità.

Il Popolo della Libertà ha assistito silenzioso alle campagne della Lega Nord, tese ad alimentare l’odio, a far crescere in Veneto la cultura del sospetto e della paura verso il vicino di casa, di banco….

Il fallimento della destra apre oggi per il Partito Democratico uno spazio politico nuovo e inimmaginato.

Le sfide vincenti di tanti Sindaci, da Vicenza a Padova, al vittoria della provincia di Rovigo e di tante altre realtà amministrative grandi e piccole dimostrano che attorno al PD è possibile costruire maggioranze affidabili e vincenti, guardando anche oltre gli scenari del passato.

Vincere in veneto e vincere “il Veneto” non sono più fatti incidentali.
Si è vinto perché c’erano i candidati giusti, perché si è costruita una visione amministrativa capace di dare delle risposte alle nuove istanze della società veneta, anche perché vi è stata una sperimentazione e una ricerca nella politica delle alleanze ma soprattutto perché si è scommesso in una nuova prospettiva culturale: la cultura di governo.

Per questo è necessario che il percorso culturale del Partito Democratico non s’interrompa, che non si fermi con la testa rivolta al passato, cercando magari rifugio nelle storie dei singoli, nelle provenienze e nelle identità del secolo scorso. E’ vitale che il Partito Democratico non ceda alla tentazione di cercare approdo sicuro in storie, e scelte politiche antiche e recenti, che pur gloriose e importanti, sono oggi assolutamente inadeguate e inefficaci ad affrontare le sfide della modernità.

Abbiamo scontato pesantemente in questi anni l’incapacità di capire e affrontare le tensioni della società veneta. Siamo stati a lungo latitanti sui temi della sicurezza, sulle difficoltà del nostro sistema d’impresa, sulla necessità dell’autonomia e delle risorse finanziarie dei comuni.

E’ tempo di accettare le sfide economiche, sociali e ambientali che pone il Veneto.
E’ tempo di tracciare una direzione per gli anni che verranno.
A questo deve servire, nella nostra regione come nel resto del Paese, il Partito Democratico.
Per questo abbiamo fortemente voluto fare del PD una grande forza popolare di centrosinistra dal profilo culturale e programmatico completamente nuovi.

E in questo sta tutta la nostra sfida, ovvero nella capacità di dare vita a un nuovo riformismo che abbia il coraggio di sfidare le destre senza rincorrerle, mettendo in campo una gerarchia nuova di valori e di azioni proiettate al futuro.

Valori e azioni che ci consentiranno l’anno prossimo di confermare l’amministrazione di Venezia, città simbolo, che è da sempre luogo di sperimentazione politica. Ma anche di puntare in modo serio al governo della Regione.


UN PARTITO FORTE, FEDERATO, APERTO e RADICATO NELLA SOCIETA’

Per fare tutto ciò non possiamo lavorare alla giornata, permetterci il lusso di cambiare leadership seguendo le mode e gli umori.

La stabilità è la condizione necessaria affinché l’opera di radicamento del partito nel territorio del Veneto possa continuare in modo efficace.

Il Partito Democratico in Veneto ha il dovere supremo di dare prima di tutto delle risposte alla società Veneta, una società a imprenditorialità diffusa, dove il principio di auto-organizzazione, il valore del lavoro e la propensione ad investir sul futuro hanno pervaso l’economia, estendendosi alla vita sociale, alla famiglia, all’associazionismo, alla cultura.

Una società che ha dimostrato una straordinaria capacità nel creare e distribuire ricchezza, di portare a condizioni diffuse di benessere, di mobilitare la società anche attorno a valori morali che hanno prodotto il radicamento delle tradizioni civiche, una presenza del volontariato sociale e, ben oltre i proclami della Lega e le distonie di lettura della politica Romana, alti livelli di integrazione reale degli immigrati.

La nostra scommessa è quella di prendere sul serio il Veneto riconoscendone il valore, candidandosi autorevolmente a governare il cambiamento in atto.
C’è un bisogno vitale di buona politica, intesa come il rigoroso rispetto delle regole di convivenza civile, di tutela delle libertà, di sicurezza, decoro e giustizia, ma anche come capacità di fornire quei beni pubblici che il mercato non è in grado di produrre in misura e modalità adeguate, come infrastrutture materiali e virtuali, la salute e l’istruzione di tutti i livelli e gradi.
Alla politica oggi viene richiesto di assicurare una equa redistribuzione sociale della ricchezza, sostenendo le attività in difficoltà, valorizzando quelle dotate di grandi potenzialità e fortemente innovative, promuovendo l’occupazione, garantendo l’assistenza agli anziani e ai diversamente abili, la cura dell’infanzia e la cura dei malati.

Per fare tutto questo serve un partito forte, capace di intercettare il consenso.

Radicato capillarmente sul territorio con i circoli, i momenti di approfondimento e di formazione, le feste, le campagne, l’attività incessante degli amministratori.

Serve un partito radicato sugli iscritti, accogliente, capace di promuovere nuova militanza, soprattutto tra i giovani e le donne.

Serve un partito federato, autonomo nella scelta delle candidature che devono essere competenti, e legate al territorio. Capace di costruire autonomamente il proprio gruppo dirigente senza soccombere alle logiche delle correnti romane. Federato soprattutto nella gestione delle risorse economiche. A questo riguardo ci assumiamo l’impegno di destinare la metà del finanziamento pubblico regionale delle Regionali del 2010 per sostenere economicamente, attraverso una modalità che utilizzi criteri oggettivi e trasparenti, i progetti, le iniziative e le attività dei circoli più piccoli e di quelli dei comuni dove il Partito Democratico vive maggiori difficoltà.


Ma serve soprattutto un partito aperto, inclusivo che non sia fatto di soli amministratori – funzionari.

Il Partito Democratico in Veneto avrà delle chance di radicamento e di consenso solo se saprà aprirsi ai talenti della società veneta.
Agli artigiani, agli operai e agli imprenditori.

Alle ragazze e ai ragazzi che rappresentano l’eccellenza dei nostri atenei.

A quelle donne che lavorano e che si prendono cura della famiglia.

Agli uomini e alle donne che sono impegnati nel volontariato, nell’associazionismo-

Ai pensionati e alle pensionate, che non sono un peso sociale, bensì una risorsa imprescindibile del nostro sistema di stato sociale.

Agli agricoltori, ai pescatori che giorno dopo giorno, coniugano la ricerca con la tradizione e che ci fanno eccellere nel campo del vino, dell’allevamento, della frutta e degli ortaggi, dei prodotti fantastici del mare.

A tutti coloro che dedicano la propria vita all’accoglienza dei milioni di turisti che arrivano ogni anno.

Ai giovani che si formano alle arti e i mestieri e che costituiscono la continuità della cultura del lavoro della nostra Regione.

La sfida del Partito Democratico che guarda al futuro, si gioca infine sul rapporto con le nuove generazioni, sull’accesso al credito che possa garantire l’uguaglianza nell’accesso ai saperi, la possibilità di scommettere la propria vita nella dimensione dell’impresa, ma anche di offrire alle giovani coppie un valido fondamento al progetto di vita familiare.

Ci attende un grande compito, quello di costruire un Partito dove le donne e gli uomini siano protagonisti e dove si pratichi quotidianamente l’apertura alla società.
Uno spazio di confronto, di dialogo, di costruzione di idee e proposte condivise che abbia come stella polare il bene comune della comunità del Veneto e dell’Italia.
UN IMPEGNO PER VINCERE IL CONGRESSO E VINCERE IN VENETO

Ci aspettano 3 mesi di grande lavoro

A ciascuno di noi sarà chiesto un supplemento di impegno, sul versante politico, orgnaizzativo e della presenza sul territorio, perché la nostra vittoria in Veneto può segnare seriamente un’inversione di tendenza rispetto a una fase in cui il centrosinistra è divenuto progressivamente residuale.

In queste settimane ho avuto la sensazione che all’interno della nostra mozione ci fosse “più Partito Democratico”, per la modalità civile, partecipata e lineare con la quale abbiamo definito una candidatura.

Per la passione e l’identità di vedute, con cui abbiamo predisposto il documento programmatico (la mozione).

Per la collegialità nelle decisioni e nelle valutazioni.
Quella collegialità che non è stata di casa in altre parti del Partito e che non ci ha messi in buona luce rispetto ai Veneti.

E’ mio desiderio che questa collegialità per noi diventi un metodo.

E’ per questo che ho deciso di proporre per la vice – segreteria, una giovane donna, la parlamentare Vicentina, Daniela Sbrollini che è impegnata all’interno della Commissione Affari sociali della Camera.

Ho chiesto poi a Valter Vanni, di mettere a disposizione la sua passione e competenza per svolgere il ruolo di coordinatore regionale della Mozione Franceschini, con il compito di aiutarci a compiere quell’opera di innovazione di cui il partito ha bisogno, soprattutto nella fase di definizione dei candidati nelle liste delle primarie Nazionali e Regionali.

Desidero infine ringraziare per la presenza oggi Piero Fassino.
Non è un ringraziamento formale.

Tu e Dario, forse per la prima volta dopo tantissimo tempo, avete dato un segno di attenzione alla nostra terra.

La mozione nazionale ha accolto la necessità di trattare le istanze dello sviluppo economico, del valore sociale dell’impresa, della sicurezza, del merito, del federalismo, dell’efficienza.
Un vocabolario nuovo, una lingua che dalle nostre parti si parla da tempo.

E in questa sede devo anche dare atto della fiducia che ci è stata data e che siamo certi di aver ricambiato.

Nessuna imposizione, nessun tavolo romano…..soltanto: decidete voi ciò che è meglio.


DAL PARTITO ALLA SOCIETA’

E’ da qui che partiamo.
Simbolicamente dalla sede del partito.
Ma fino al 25 ottobre saremo nella società.
Nelle località di mare, in montagna, nelle fabbriche piccole e grandi, negli ospedali, nei bar, nelle scuole….
Ed è qui che torneremo il 25 ottobre.
Con il compito di costruire un partito più forte,
più radicato tra la gente,
più federale e più aperto.
Un Partito in grado di dare un governo riformista al Veneto e all’Italia.
Che la forza sia con voi!


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lunedì 3 agosto 2009

EL CASTEO ("il castello")

Non amo molto gli amarcord, il pensare/ dire "ai miei tempi.." che è un pò il nostro (di noi italiani intendo)vizio nazionalpopolare. E però ai miei tempi acquistare un'anguria (e non chiamiamola per favore cocomero ) , specialmente dal fruttivendolo di fiducia, era una cosa semplicissima. Specialmente se l'anguria era garantita. Perché? Perché tu ti sceglievi l'anguria che volevi (bella, grande, similtonda...in Giappone ne hanno coltivate di...quadrate! Mah...) e poi el frutarioeo (dove la e tra le due o è una specie di semivocale che funge solo da accompagnamento, da unione tra le due "o") ,il fruttivendolo, prendeva un coltello e incideva l'anguria sino a ricavarne un tocco a forma di piramide (el casteo lo chiamavano dalle mie parti) per farti vedere/toccare/assaggiare che quel frutto prelibato non era una sòla, ma era buona davvero. Adesso invece la scelta dell'anguria dipende solo da te specialmente se vai in qualche supermercato. Dove non solo non c'é chi ti fa el casteo ma non trovi nemmeno chi può consigliarti (cosa che, invece, ancora accade - per fortuna - nelle piccole botteghe di paese).E mi chiedo: da cosa dipende? Dalla massificazione dei consumi? Dalla perdita del senso del gusto che l'omologazione consumistica moderna ci ha regalato? Oppure il processo selettivo è diventato così irrigimentato anche per i prodotti della terra, che el casteo (o battere sul fondo dell'anguria per sentire se suona bene, segno quasi sempre della bontà del prodotto) non serve più?
Che la forza sia con voi e buon lunedì!



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