mercoledì 30 giugno 2010

ABBAZIA






Questi scheletri sono vecchi di (almeno) 1000 anni.  Uno dei due apparteneva ad una giovane donna (morta attorno ai 18 anni) che è stata sepolta insieme a tre bambini (le cui età probabilmente andavano dai 2 ai 5 anni). Nella foto in alto a destra, invece, reperti di anfore e giare provenienti da Costantinopoli. Sono solo alcuni degli incredibili risultati cui sono giunti gli archeologi dell'Università di Venezia (guidati dal prof. Sauro Gelichi e coordinati dalla dottoressa Corinna Bragato) nelle settimane di scavo dell'area archeologica dell'abbazia benedettina di Sant Ilario tra Malcontenta e Dogaletto. Scavi che si concludono oggi.  Dopo la ricognizione effettuata due anni fa,dunque, oggi - grazie a dun finanziamento regionale - gli archeologi sono arrivati a "toccare con  mano" la realtà abbaziale che si sta rivelando, anche ai loro occhi, uno scrigno di moltissime scoperte nuove e inattese. Per esempio appare assolutamente sicuro che l'estenzione del complesso fosse molto ampia tanto da occupare due dossi (due isolotti giacché tutt'intorno c'era laguna) collegati da un ponticello (e sono stati trovati eprsino i punti ove erano conficcati i pali di sostegno); che fosse un crocevia commerciale strategico per l'economia del tempo; che fosse abitata da un numero significativo di persone che ne hanno contribuito alla realizzazione usando calce e materiale di epoca romana (hanno persino individuato due calcare, forni tondeggianti dove si trattava la calce). Rimangono ancora tanti misteri da risolvere (sembra, per esempio, sbagliata la collocazione geografica dell'abbazia che ne diedero a fine '800 i primi archeologici). Su tutti il perché di queste sepolture che sottendono la probabile insorgenza di una epidemia (peste? gli antropologi presenti nel cantiere mi hanno spiegato che non sarà possibile determinarlo giacchè la peste non lascia traccia nell'apparato scheletrico) tanto repentina quanto violenta e soprattutto perché dei 20 (sì, venti!) shceletri rinvenuti in 14 tombe solo uno fosse di sesso maschile!
Però, vi confesso, ieri pomeriggio quando sono arrivato nel cantiere e ho visto questi scheletri mi sono commosso. Strano perché si tratta pur sempre di persone morte almeno 1000 anni fa. Però le ho guardate e avvicinate e toccate con un grande pudore; immaginandomi quale vita facessero (pesantissima a giudicare, ad esempio - e sempre su segnalazione dell'antropologa presente in cantiere - dal fatto che lo scheletro dell'unico maschio rinvenuto, età probabile non oltre i 35 anni, presentasse già segni di sclerosi sulla colonna vertebrale e avesse i muscoli deltoidi molto sviluppati - lo si capisce dalla presenza di una cresta ossea lungo spalla e braccio - ad indicare un pesante lavoro manuale), di cosa si nutrissero.
Domande che attendono risposte. Per l'intanto ci si metterà al lavoro da subito per cercare di dare continuità a questo scavo. In fondo se mettessimo in rete questo scavo  con quelli effettuati nella zona di Sambruson e Dolo avremmo un percorso archeologico della storia veneziana dal paleolitico al tardomedioevo.

Che la forza sia con voi!

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martedì 29 giugno 2010

LAST MINUTE?

Da Il Corriere della Sera, a firma di Giovanni Caprara

Un resort cosmico per il turismo estremo


Partirà nel 2014: è un habitat gonfiabile per 6 persone. Il «biglietto»: 20,2 milioni di euro al mese

Non lontano dalla giocosa Las Vegas (Nevada), in una piccola fabbrica avvolta dal silenzio (i tecnici sono stati invitati a non parlare del loro lavoro) sta nascendo la prima stazione spaziale privata. Ma Robert T. Bigelow, che ha avviato l’impresa, preferisce raccontare che Sundancer, come l’ha battezzata, sarà il primo hotel per «ricchi turisti spaziali ». Bigelow, infatti, ha accumulato la sua ricchezza con la catena alberghiera Budget Suites of America e intende continuare il suo lucroso business in orbita. A partire dal 2014, quando prevede di lanciare intorno alla Terra Sundancer lungo nove metri e largo sei.




Non c’è nulla di improvvisato. Alla Bigelow Aerospace stanno lavorando da dieci anni a questo scopo e nel 2006 lanciavano, con razzi russi, il primo prototipo Genesis-I seguito l’anno successivo da Genesis- II. A bordo non c’erano astronauti perché bisognava solo collaudare la nuova tecnologia dei moduli gonfiabili con le pareti formate da vari strati di materiale leggerissimo (Kevran) usato anche per i giubbetti antiproiettile. Entrambi i test funzionavano bene e così si è deciso di eliminare il terzo prototipo previsto e di passare direttamente all’abitacolo da vendere. Finora Bigelow, che non ama rilasciare interviste, ha speso 180 milioni di dollari e prevede di investirne altri 320 per arrivare al risultato finale. Nel frattempo, sempre in silenzio, ha iniziato a promuovere il suo resort cosmico compiendo viaggi in Giappone, Corea del Sud, Singapore, Olanda, Svezia, Gran Bretagna senza rivelare i risultati ottenuti.



In compenso ha fatto sapere che intende affittare l’intera stazione al prezzo di 395 milioni di dollari all’anno. Invece il biglietto per il soggiorno di un mese è di 25 milioni di dollari, però se uno intende raddoppiare la permanenza allora basta aggiunge 3,75 milioni di dollari. Il prezzo — si fa notare — è vantaggioso perché oggi un turista spaziale per volare una decina di giorni sulla stazione in orbita partendo con la Soyuz russa paga 30 milioni di dollari. Ancora peggio va per la Nasa che dall’anno prossimo, non disponendo più dello shuttle, sborserà 50 milioni per ogni astronauta spedito lassù sempre con la Soyuz.



L’imprenditore americano racconta di essere stato affascinato negli anni Novanta dal progetto della Nasa di fabbricare moduli gonfiabili da aggiungere alla stazione spaziale. Allo studio, tra l’altro, partecipava allora anche Thales Alenia Space di Torino. L’idea e la tecnologia avevano radici lontane perché i primi satelliti per telecomunicazioni che la Nasa mandava in orbita nel 1960 erano i semplici palloni Echo, gonfiati in orbita, e che riflettevano le onde elettromagnetiche. Quando l’ente spaziale, su richiesta del Congresso, abbandonava questi progetti, nel 1998 Bigelow acquistava il brevetto iniziando lo sviluppo in proprio. Ed ora sta per raccogliere i frutti con l’intento di vendere i suoimoduli alla stessa Nasa la quale li potrebbe utilizzare, secondo uno studio in corso nella fabbrica di Las Vegas, pure in una colonia lunare.



Il lavoro per l’hotel cosmico è stato accelerato dopo che il presidente Barack Obama ha deciso di lasciare all’iniziativa privata lo sviluppo sia di nuovi veicoli per il trasporto di uomini e merci sulla stazione spaziale, sia dei razzi necessari per lanciarli. A tal fine, nel bilancio in discussione dell’ente spaziale per il 2011 ha previsto sei miliardi di dollari in cinque anni finalizzati, appunto, ad incentivare l’impegno dei privati.



In passato Bigelow per stimolare qualche imprenditore a produrre la capsula abitabile di cui aveva bisogno, bandiva persino un premio di 50 milioni di dollari. Ma nessuno si mostrò interessato. Adesso, utilizzando un finanziamento di 18 milioni di dollari ottenuto dalla Nasa, collabora con la società Boeing al disegno di una navicella necessaria per garantire i viaggi verso il suo hotel cosmico formato da vari moduli fino ad ospitare almeno 36 persone. Naturalmente l’obiettivo è di averla disponibile per il 2014 ed essere in linea con i piani.



Intanto, rafforzando il nuovo mondo dello spazio privato, ha concluso degli accordi con Space X, la società californiana realizzatrice con fondi propri del nuovo vettore spaziale Falcon 9 collaudato con buon esito nelle scorse settimane. Con questo razzo, infatti, intende lanciare Sundancer e i successivi abitacoli. «Ho quarant’anni d’esperienza negli hotel terrestri — dice orgoglioso Robert Bigelow— soddisfacendo migliaia emigliaia di persone. So benissimo come fare altrettanto nello spazio».



Che la forza sia con voi!

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lunedì 28 giugno 2010

C'E' CHI DICE NO

Questo il comunicato stampa del Consiglio Nazionale di Pax Christi:

Una vuvuzela per la pace


Il Consiglio Nazionale di Pax Christi, riunitosi a Firenze il 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato e anniversario dell’uccisione in Iran di Neda Agha Soltan, dopo aver affrontato questioni riguardanti le migrazioni, la democrazia, lo sviluppo e la formazione al bene comune, ha manifestato serie preoccupazioni per la manovra finanziaria in atto.

Nel momento in cui si chiedono enormi sacrifici ai settori sociali più deboli e si riducono drasticamente le risorse destinate agli Enti Locali, Pax Christi - in accordo ideale col suo Presidente Internazionale, mons Kevin Dowling, vescovo di Rustenburg, in Sud Africa - intende far risuonare la vuvuzela della pace, della giustizia e dello sviluppo solidale.

Riteniamo imperativo morale e civile tagliare le spese per armamenti destinate a lievitare senza controllo, soprattutto dopo la nascita della “Difesa Servizi S.p.A.”.

Negli ultimi tre anni l’Italia ha speso per armamenti 3,5 miliardi di euro l’anno.

Nel 2009 i nuovi contratti di esportazione d'armi hanno raggiunto i 5 miliardi di euro, il doppio rispetto al 2007, un livello mai visto da vent’anni.

Sul bilancio dello Stato incombono 71 programmi di ‘ammodernamento e riconfigurazione’ di sistemi d’arma fino al 2026, sfuggiti allo sguardo ‘tagliente’ del governo. Basti citare i 131 caccia-bombardieri F-35 e i 121 Eurofighter.

Chiediamo ai parlamentari di affrontare con senso di responsabilità e coscienza tutto il problema degli armamenti, tenendo conto dei richiami del Magistero della Chiesa. Non possiamo dimenticare il monito della Santa Sede, che fin dal lontano 1976 denunciava "La corsa agli armamenti, anche quando è dettata da una preoccupazione di legittima difesa ... costituisce in realtà un furto, ... un’ aggressione che si fa crimine: gli armamenti, anche se non messi in opera, con il loro alto costo uccidono i poveri, facendoli morire di fame ".

Siamo convinti che un segnale chiaro e forte in questa direzione si possa dare subito, bloccando il progetto degli aerei da guerra F 35, il cui costo è di quasi 15 miliardi di euro! Si avrà il coraggio di farlo?

C’è bisogno di scelte audaci dettate da una sincera ricerca del bene comune, in vista di una Pace vera, frutto di giustizia e di sviluppo solidale.



Pax Christi Italia

Firenze, 23 giugno 2010

Che la forza sia con voi!

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giovedì 24 giugno 2010

IL PUNTO

Da Il Sole24ore, articolo a firma di Stefano Folli:

Il malessere che corrode dall'interno la maggioranza è evidente da settimane, ma non è chiaro se e quando esploderà. Per ora sappiamo che Berlusconi avrebbe voglia di riprendere in mano i destini del centrodestra, mettere in riga Fini, rassicurare Bossi, raggiungere un compromesso sulla manovra economica, far approvare la legge sulle intercettazioni prima di agosto nonostante i rilievi del Quirinale.


In altre parole, il presidente del Consiglio vorrebbe tornare a esercitare a pieno titolo quella leadership che negli ultimi tempi è apparsa appannata e a tratti persino confusa.



Senza dubbio egli avverte il rischio di logorarsi e soprattutto di non riuscire più a controllare la frammentazione della maggioranza in gruppi o correnti che a volte si combattono e a volte si accordano tra loro, ma senza troppo riguardo verso l'autorità del capo, garante della coesione.



La sensazione è di un malessere con origini profonde, che tuttavia si esprime nella maggior parte dei casi facendo leva su temi secondari, qualche volta meramente strumentali. O simbolici. Ad esempio la polemica sulla Padania tra Fini e Bossi. Se per Padania s'intende il richiamo alla «questione settentrionale», si parla di un tema politico serio. Ma se si vuol descrivere un'area geografica definita da una storia, una tradizione o una cultura omogenee, ha ragione il presidente della Camera.



La «querelle» non è molto interessante, e neanche originale, ma nel clima di tensione che si respira a Roma ha dato lavoro ai quotidiani per un paio di giorni. E abbiamo visto un Bossi che nel giro di una settimana ha fatto il mediatore nella capitale (sulle intercettazioni), poi ha mostrato prudenza a Pontida e infine ha dato voce alla sua insofferenza («dieci milioni di padani sono pronti a battersi»). Arrivando a ironizzare sulla nazionale di calcio («si compreranno la partita con la Slovacchia»).



Frase, quest'ultima, senz'altro poco opportuna: strano da parte di un uomo che di solito è molto attento a quello che dice e non dice. E infatti Bossi si è corretto con scuse ufficiali alla squadra azzurra. L'episodio è assai minore, però testimonia di questo disagio diffuso e irrisolto. Certo, se la maggioranza deve incrinarsi, non sarà certo per l'antipatia di Fini verso la Padania o per i giudizi di Bossi sulla nazionale. C'è dell'altro, ma cosa?

In realtà ci si muove su due piani. Da un lato Berlusconi ha caricato di infiniti significati simbolici la legge sulle intercettazioni. E a questo punto il rinvio gli sembra una sconfitta inaccettabile. Tuttavia il testo è meritevole di correzioni alla Camera e qualsiasi forzatura creerebbe contraccolpi istituzionali. Berlusconi non vuole correre rischi, ma nemmeno vuole apparire sconfitto. Teme il logoramento, ma non sa come risolvere il conflitto con Fini. E in questa contraddizione si accentua l'impressione di un leader incerto e indeciso. Quasi un vicolo cieco.




Bossi a sua volta vede i problemi della maggioranza e teme che finiscano per rovesciarsi sulla Lega. Si rende conto che le difficoltà del quadro economico generale, rese più acute dal contrasto fra le regioni e il governo centrale, sono suscettibili di ritardare e forse addirittura di compromettere il federalismo. E ha paura che nei palazzi romani siano in atto manovre per indebolire l'asse settentrionale che sostiene l'esecutivo. Per adesso il malessere non esplode, ma cresce ogni giorno. Minaccioso.


Che la forza sia con voi!

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mercoledì 23 giugno 2010

POMIGLIANO

Dunque 36 lavoratori su 100 della Fiat di Pomigliano hanno bocciato l'ipotesi di accordo sottoscritta tra l'azienda e organizzazioni sindacali, eccetto la Fiom. Un dato sorprendente e che nessuno si aspettava. Tutti convinti che di fronte alla crisi, di fronte alla prospettiva di chiusura irreversibile dell'azienda, di fronte alla paura di perdere il lavoro, vi fosse un plebiscito. Ed invece non è così. Ed invece gli irriducibili della Fiom hanno conseguito un vero e proprio successo. Ed ora? Ora le prime dichiarazioni dei confederali invitano Fiat a rispettare gli accordi e a trasferire la produzione della Panda dalla Polonia a Pomigliano in una sorta di guerra fra poveri dove, comunque la si veda, gli sconfitti ci sono. Sempre e comunque. Ieri sera ho discusso a lungo con alcuni amici, dichiaratamente di sinistra. Ho confessato loro il senso di impotenza che mi assale di fronte ad altri miei amici che sono in cassaintegrazione o in esubero aziendale. ragazzi giovani, con famiglia ed una casa da pagare. Gente come centinaia di migliaia di altre persone, uomini e donne, che non vedono il loro futuro perché gli stanno negando il presente. E a loro che chiedono risposte immediate e concrete (perché un lavoratore della Syndial che a fine mese deve pagare la rata del mutuo mica gliene frega poi molto sapere che, magari fra 10 anni, a Porto Marghera creiamo l'area logistica a servizio del Porto) noi della Politica che risposte diamo? Un aiuto economico per arrivare alla fine del mese (e a "tempo determinato" giacché la spesa sociale si ridurrà drasticamente se non cambiano la Manovra?): certo, meglio che niente. Ma che prospettiva? Di fronte ad un presente negato da un modello economico che si è sodomizzato sull'altare della finanza anziché della produzione, quale oggi sta dando la Politica? Domande alle quali questi amici rispondevano con politiche di prospettiva. Giustamente, per carità. Qui abbiamo un paese che in meno di 20 anni, di fatto, ha perduto qualunque tipo di vocazione industriale, figurarsi se possiamo inventarcene di nuove dall'oggi al domani. Già....ma intanto a me 'ste domande fanno male.
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martedì 22 giugno 2010

REPULISTI?

Dal blog di don Giorgio

Non posso credere che i napoletani si meritassero cardinali come Giordano o come Sepe. Prima Michele Giordano per le sue vicende giudiziarie, ed ora Crescenzio Sepe, indagato, non danno certo una bella immagine della Chiesa.


Non voglio entrare nel merito della loro più o meno colpevolezza, dico solo che la Chiesa, sia per il crimine della pedofilia che ha coinvolto numerosi suoi preti, sia per la poca trasparenza in fatto di gestione dei beni immobili, sta perdendo sempre più credibilità di fronte anche al mondo cattolico. Non è che nel passato fosse migliore, ma pensavo che potesse uscire da un pantano istituzionale ormai insopportabile.

Mi chiedo: perché il Papa stesso, in persona, non interviene eliminando il marcio del potere ecclesiastico, invece che prendersela continuamente con i profeti scomodi, con le voci libere, con la base che sta scoppiando dalla rabbia?

Basta un dubbio per far fuori un povero prete, e perché aspettare che la giustizia faccia la sua parte (e non è detto che l’assoluzione giudiziaria corrisponda sempre alla verità), quando bisognerebbe intervenire subito e rimuovere dalla sua carica soprattutto chi ha responsabilità di un certo peso nella Chiesa?

Il Vaticano è marcio dalla testa ai piedi. Sua Santità, che aspetta?



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BUONE NOTIZIE

Da Il Corriere della Sera, articolo a firma di Eva Perasso


Ritrovata Avaris, città egizia

di oltre 3.500 anni fa



MILANO – Avaris fu, circa 1.500 anni prima di Cristo, la capitale egiziana del popolo Hyksos (il cui nome significa «sovrani dei Paesi stranieri»), stirpe nomade asiatica che discese in Egitto al termine del Medio Regno, per governarvi dal 1664 al 1569 a.C.. Ora una missione archeologica austriaca ha localizzato alcuni resti di questa città nei pressi del villaggio di Tell El-Dab'a, nella regione nord orientale del delta del Nilo.




LA SCOPERTA – È una scoperta importante per gli archeologi di tutto il mondo. Il team austriaco è presente nell’area già da 35 anni: i primi studi per ritrovare Avartis furono avviati nel 1975. Come ha raccontato l’archeologa a capo della cordata Irene Mueller, grazie all’uso del radar il suo gruppo di studiosi ha potuto identificare la struttura urbanistica di Avaris, e riconoscere diverse vie, costruzioni, abitazioni, templi, un porto affacciato sul Nilo, due isole sommerse, pozzi di diverse dimensioni. Il tutto sotto a una zona particolarmente ricca di verde e coltivazioni, come è possibile vedere nelle immagini da satellite in cui viene sovrapposta l’attuale conformazione fisica del territorio all’estensione della vecchia capitale egizia. Proprio per via delle molte abitazioni e aree agricole presenti oggi nella zona, è difficile fare scavi per portare alla luce gli antichi resti.



GLI HYKSOS – A governare questa capitale egizia fu una popolazione che arrivò sul delta del Nilo dall’Asia, gli Hyksos. Veneratori del dio Seth, cui edificarono un tempio ad Avartis, erano composti da semiti e cananei. Da questa città questi nomadi si spostarono poi verso Menfi, ma non governarono mai oltre il Medio Egitto. Furono molti gli scambi con altre popolazioni, negli scritti si trovano infatti tracce dei loro rapporti con Creta, l’Anatolia, le isole dell’Egeo. Come già facevano i faraoni, anche gli Hyksos usavano incidere i propri nomi sugli scarabei (considerati animali sacri) poi collocati tra i bendaggi delle mummie. È grazie a loro che in Egitto si iniziarono a usare i cavalli come animali da traino, e i carri per combattere in guerra

 
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domenica 20 giugno 2010

UN MONDO ALLA ROVESCIA

Dal sito delle Comunità Cristiane di Base (intervento di Leo Piacentini)

Ci sono oggi due temi di cui si dibatte diffusamente: uno è il disegno di legge sulle intercettazioni, al centro del dibattito politico, l’altro è la pedofilia nell’ambito del clero che è al centro dell’attenzione soprattutto della gerarchia cattolica.



Per strano che possa sembrare mi pare di intravedere un elemento in comune tra le due cose.



Da una parte abbiamo la maggioranza che governa il nostro (sfortunato) paese che sta portando a compimento (salve per ora imprevedibili ripensamenti, in quanto il testo approvato dal Senato è stato dichiarato “blindato”) l’iter del disegno di legge sulle intercettazioni. La cui ragione formale è la difesa della privacy ed il cui intento reale è, ad avviso di molti, quello di chiudere un cerchio che, dopo le svariate leggi ad personam per garantire l’impunità a chi sappiamo, raggiunga lo scopo di porre dei limiti irragionevoli al controllo di legalità da parte dell’autorità giudiziaria e di impedire di dare informazioni ai cittadini per evitare ogni controllo da parte dell’opinione pubblica. In due parole: l’obiettivo della maggioranza sembra quello di oscurare la verità (probabilmente, così par di capire, per proteggere ancora i soliti noti da probabili intercettazioni compromettenti).



Dall’altra parte abbiamo una gerarchia cattolica che più o meno da sempre ha raccomandato, ed a volte quasi imposto, di nascondere la verità riguardo agli scandali sessuali in genere del clero (“nisi caste, saltem caute” mi pare sia stata la raccomandazione ufficiosa in riguardo: se non ce la fai ad essere casto, almeno non ti fare scoprire) ed in particolare nei confronti del reato di pedofilia.



In queste ultime settimane sono venute però dalla suprema autorità cattolica parole molto chiare sulla necessità di fare pulizia nei confronti del clero pedofilo, con chiara indicazione di obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria civile. Viene quindi ristabilito il principio (mai negato in teoria ma ignorato nella pratica) che si deve proclamare la verità, anche quando fa male.



Forse è pretestuoso voler vedere un rapporto tra le due cose. Però si tratta di una stranezza che può far apparire un “mondo alla rovescia”: uno stato laico e democratico, l’Italia, che intende consapevolmente oscurare la verità ed impedirne la diffusione; una monarchia assoluta, teocratica e fondamentalista, il Vaticano o il papato, che impone di aprire gli armadi dove la verità sul clero pedofilo è stata finora sepolta.



Non ho nessuna conclusione da trarre. Lo scopo era quello di sottolineare una anomalia. Ma posso fare un auspicio: non mi illudo che l’atteggiamento del Vaticano sul clero pedofilo faccia presagire chissà quali aperture su altri campi, ma vorrei poter sperare che la maggioranza che ci governa dia prova, per una volta, di possedere quel senso dello stato che è alla base del vivere democratico e che il disegno di legge approvato dal Senato sembra voler seppellire.


Che la forza sia con voi!

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sabato 19 giugno 2010

POMIGLIANO

Da Il Manifesto del 17 giugno, di Erri De Luca

Gli operai sardi si sono accampati nel carcere spento dell'isola Asinara. I fuochi dell'ultima rivolta furono seguiti da un ultimo falò: a celle vuote le guardie rastrellarono i libri dei prigionieri e li bruciarono. Gli operai sardi si sono arroccati sulle ceneri fredde di un'isola deserta.







Dalle parti di Pomigliano niente isola di scorta, da farci i baraccati. Da quelle parti non si chiudono né svuotano carceri, anzi si stivano alla maniera delle sardine all'olio. In queste ore gli operai della Fiat di Pomigliano sbattono la testa contro muri che si stringono addosso. Le condizioni del proprietario dell'assedio sono di resa senza condizioni. Esigono la deposizione delle armi, l'uscita a mani in alto, la trasformazione del posto di lavoro in uno di prigionia.






È la sconfitta e va guardata in faccia. Perché va accettata. Perché succede alla storia di regredire invece di avanzare e ai diritti conquistati di essere perduti. È stagione di ammutolimento generale nel recinto della società. È stagione di riduzione del lavoro umano a ingranaggio del profitto privato, esposto al suo libero arbitrio. Come fu negli anni della restaurazione della tirannia in fabbrica dopo la lotta di liberazione, così oggi la vita operaia è variabile dipendente da orari, turni, tempi e soprusi della proprietà aziendale.






Cedere: questo è l'ordine del giorno. Con il pensiero intatto, almeno quello, che siano passi indietro come quelli di chi prende rincorsa per rivincere.

Che la forza sia con voi!

giovedì 17 giugno 2010

SOGNI

Credo che a molti sia capitato di "ricevere" da persone care alcune frasi, alcuni pensieri da serbare nel profondo del proprio cuore, là dove poterli tirare liberamente fuori all'occorrenza. Io, ad esempio, ne ho due, ugualmente fondamentali e importanti. La prima, mi è stata regalata nel tardo pomeriggio del 25 novembre 2007, da una persona stesa su un letto in una fredda stanza del pronto Soccorso dell'Ospedale di Jesolo e accompagnata da un abbraccio (di quanti abbracci è piena la vita!) che non si sarebbe più ripetuto: scopri te stesso e sta bene (vedi post del 27 novembre 2007). la seconda l'altro pomeriggio: non si vede bene che col cuore. Due frasi, due mappe concettuali per me preziosissime ed entro cui orientare la propria vita. Già, la vita....Credo anche un'altra cosa. E cioè che molti abbiano dei sogni nel cassetto, cose da fare prima di quando il mio ultimo giorno verrà (il più tardi possibile c'est vrai) come canta Francesco (Guccini). Io ne ho almeno tre e l'ordine è  pure casuale.
Il primo è un sogno che mi porto dentro fin dal Liceo ( e i sogni son convinto siano un pò come il vino, più invecchiano più diventano buoni): salire in sella ad una Harley Davidson (magari una Electra Glide Ultralimited)  e partire, una mattina di buon'ora col vento tra i capelli (beh, è un sogno no?), da Chicago con destinazione Santa Monica (California), lungo la mitica Route 66: 3755 kilometri attraverso 8 stati, 3 fusi orari e (se non erro) tre deserti.
Il secondo e il terzo si accompagnano a due mie passioni.
Innanzitutto la montagna. E allora - visto che stiamo sognando, sognamo in grande che è meglio - quando sogni di montagna, non puoi che sognare di Himalaya, di Everest, di K2, di Annapuma. Ma siccome i sogni son belli non solo se li realizzi ma anche se, poi, puoi raccontarli, tra i 3 ottomila, sogno di salire sull'Everest (la cima più "facile" anche se il Maestro Francesco Santon ebbe a dirmi che non c'è una montagna più facile delle altre). Per intanto, quando posso, mi collego qui per vedere le immagini in diretta del  Chomolangma (come viene chiamato in tibetano) dalla web cam installata a 5079 mt (probabilmente la web cam più alta di tutto il pianeta) nell'ambito di un progetto scientifico del CNR.
E poi le immersioni subacquee. E qui c'è il terzo sogno: immergermi nelle fredde e profonde acque del lago di Loch Ness, in Scozia. Non credo (a dispetto della foto scelta) che Nessie esista. Ma mi piacerebbe sincerarmene di persona. Tanto di mostri nella mia vita ne ho incontrati parecchi. Uno più, uno meno che vuoi che sia....E poi, mal che vada, sai quante distillerie di whiskey che puoi visitare?
Frasi, sogni...contributi essenziali a non spegnere la fantasia. Che è il profumo della vita. Specialmente quando compi gli anni e ti vien da pensare ai tanti che ti hanno abbracciato e che, oggi, non ci son più.
E se me lo permettete (ma anche no visto che questo è il mio blog e non il vostro)....
CHE LA FORZA - OGGI - SIA CON ME!

mercoledì 16 giugno 2010

SE LO DICE LUI

Domanda, domandina cantava Roberto Vecchioni...Chi, secondo voi, a proposito della manovra finanziaria ha dichiarato che:  va cambiata. E' possibile e doveroso farlo? Bersani? No. Letta (Enrico)? Noo. Di Pietro? Nooo. Franceschini?  None...A dirlo è Roberto Formigoni, governatore della Lombardia, fra i massimi esponenti del PdL, cioè dello stesso partito che governa il nostro Paese...Il quale non contento, aggiunge: Qui invece si carica su un figlio tutto il peso e il padre fa spallucce. Anzi, di più, siamo di fronte ad un padre sciamannato che ha aumentato il debito pubblico. E come se non bastasse, sul suo sito, spara letteralmente a zero sulla manovra. Capito? Qualcuno è un padre sciamannato che ha aumentato il debito pubblico.
E non soddisfatto di picconare questa manovra finanziaria, il governatore lombardo (esponente di CL) aggiunge che, se non dovesse essere modificata, con un terzo in meno di trasferimenti per il trasporto pubblico locale, spiega il governatore, le Regioni che hanno contratti, ad esempio con Trenitalia, si troveranno, il giorno dopo, con un possibile taglio di un terzo dei treni da parte della società che probabilmente licenzierà un terzo del personale decidendo magari di fare causa alla Regione e vincendola. Come se non bastasse sono stati spazzati via 130 milioni di euro del fondo per la famiglia.
Credo basti così....
Che la forza sia con voi!

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martedì 15 giugno 2010

LETTERA

Dalla newsletter di Fabrizio "Bicio" Bellucci (autore di http://www.zainoinspalla.it/ , un sito da leggere tutto specialmente per chi non ha molta pratica di montagna):

Ciao,

mi chiamo Nando, ho 77 anni, vivo in Val Sabbia, sopra Brescia... 77 anni duranti i quali ne ho viste di cotte e di crude.
La guerra per fortuna non l'ho fatta, ero troppo piccolo. Ricordo solo che mia madre mi nascondeva nel bosco quando sentiva odore di tedesco. Io non avevo paura, al bosco ci ero abituato: la casa era in mezzo al bosco e nel bosco andavo ad aiutare i miei fratelli piu' grandi a pascolare gli animali.
Ricordo molto bene la fame del dopoguerra. Ormai ero grande e la scuola non aspettava certo me e a casa c'era bisogno di dare una mano. Cosi' ho imparato a fare formaggi e a portare in giro gli animali, ma era difficile sfamarsi e la fatica era tanta.
Una domenica, al bar del paese in valle, ho incontrato il Gino, un vecchio amico di infanzia. Eravamo a meta' degli anni 50 ed avevo in tasca solo pochi spiccioli per un calice di rosso e per portare al cinema a Brescia la Rosi, che poi diventera' mia moglie: sara' capitato due, tre volte all'anno. Il Gino aveva trovato lavoro in basso, in un'officina, e mi aveva parlato tanto bene della sua nuova vita. Aveva una bicicletta, uno stipendio fisso che arrotondava facendo vari lavoretti per conto suo, si stava per sposare ed abitava in una casa dove arrivava l'acqua in casa e anche la luce. Non sapeva ancora se, da sposato, avrebbe vissuto nella sua casa, che era un po' piccola, e si stava dando da fare per cercarne una piu' spaziosa.
Mi aveva fatto piacere rivedere il Gino, ma soprattutto mi aveva fatto piacere sentire che era possibile vivere una vita migliore. Guarda questa cicatrice: a momenti con quel colpo sbagliato di accetta mi staccavo una mano. Qui non c'erano dottori, ne' ambulanze: ho fatto tutto io, salvando la mano, ma la cicatrice e' rimasta ben visibile. Questa era la vita lassu'.
Ma la vita era fatta anche di dure fatiche alternate da lunghi periodo di ozio, dove dormivo o vagavo nel bosco per mio piacere, cacciando qualche animale o, se era stagione, alla ricerca di funghi, mica solo i porcini, come si fa adesso.
Poi un giorno ho deciso di provare: mi sono messo l'abito migliore e sono sceso a valle tenendo le scarpe belle nella sacca, per non rovinarle. Gino non c'era piu', si era spostato con la moglie e nessuno sapeva dove. Pero' avevo trovato l'officina dove lavorava e qui il padrone mi ha preso: poche lire a settimana, potevo pero' dormire nel retro dell'officina. L'odore di grasso e di ferro arrugginito riempiva l'aria, ma ero contento. Le serate le passavo con gli amici: pochi di loro venivano dai monti e pochi potevano capire la grande avventura che stavo facendo.
Talvolta aiutavo il fornaio a preparare il pane durante la notte e poi di mattina andavo in officina. Era dura, ma meno dura che sui monti.
Ed era ancora meno dura sapendo che la domenica andavo a trovare la Rosi.
Ho preso in affitto una casa sul fiume e ci siamo sposati in paese. Il viaggio di nozze, se si puo' chiamarlo cosi', lo abbiamo fatto al lago: tre giorni che mi sembrano finiti ieri.
Non mi posso lamentare della vita che ho avuto. Abbiamo avuto un maschio e una femmina, che sono nati e cresciuti qui in valle, dove il cemento e i capannoni hanno preso a calci i boschi. Nello stesso periodo ai monti non e' rimasto praticamente nessuno: dopo la morte della vecchia Maria, anche l'ultimo alpeggio ha chiuso e le vacche sono state vendute dagli eredi al primo offerente. Ogni tanto tornavo su, per vedere come andavano le cose e per tenere in ordine la casa dei miei genitori, l'unica cosa che mi hanno lasciato insieme alle prime scarpe da citta'. Pulivo la casa, ma soprattutto pulivo fuori, dove le piante stavano invadendo ogni spazio. Un giorno, ero gia' in pensione, ero cosi' arrabbiato che ho comprato un decespugliatore e sono andato a fare strage di tutte le erbacce che ormai coprivano il sentiero. Una faticaccia terribile, che mi ha bloccato la schiena per una settimana.
Vuoi sapere una cosa buffa? Ho 77 anni e ormai non mi muovo piu' da qui, tra la nuova statale della valle e il fiume, dove e' da anni che non si pesca nulla. Mia figlia invece si e' sposata ed ora vive nella casa sui monti, dove ha aperto una trattoria, un bedenbrecfast, come lo chiama lei e il sentiero ora e' sempre pulito. La Rosi va su di domenica a dare una mano in cucina, ma io no: c'e' troppa gente. Pero' ora il bosco e' di nuovo tenuto pulito e mi hanno detto che sono tornati anche i cervi. E la domenica sera la cena e' garantita dagli avanzi della trattoria.


Ciao

Fabrizio



PS. Nando, Rosi, Gino e compagnia bella sono nomi di fantasia. Il resto della storia no ed e' un pezzo della storia delle nostre montagne

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lunedì 14 giugno 2010

CARCERI

No. Non è vero che in Italia la pena di morte non esiste. Esiste ma è nascosta, silenziosa. E dunque ancor più subdola. Sono 31 (fonte: Corriere della Sera), ad oggi, i detenuti che - dal gennaio 2010 - si sono tolti la vita nelle carceri italiane. A scanso di equivoci: è giusto che il carcere sia duro, ci mancherebbe. Ma esso non è (non dovrebbe essere) fine a sè stesso ma luogo ove sia possibile rieducare il detenuto e restituirlo alla quotidianità. Ed invece non è cosi. Ristretti orrizzonti (sito nato dal Centro di Documentazione sulle carceri attivato presso la casa circondariale di Padova) sancisce che dal 2000 al 2009 sono state 568 i detenuti che si sono tolti la vita (1687 complessivamente i decessi). Nel decennio 1960/1969 erano stati 100! Sempre Orrizzonti ristretti spiega: nelle carceri italiane i detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere e, spesso, lo fanno negli istituti dove le condizioni di vita sono peggiori, quindi in strutture particolarmente fatiscenti, con poche attività trattamentali, con una scarsa presenza del volontariato. Vale a dire: le carceri maggiormente interessante a questo fenomeno sono quelle in cui le condizioni di vita dei detenuti sono talmente misere da impedire loro anche soltanto il sogno/la speranza di un domani.
Ed è bene ricordare che il comma terzo dell'articolo 27 della nostra Costituzione recita: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Che la forza sia con voi!

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martedì 8 giugno 2010

SCRITTORI

Ogni generazione ha la propria letteratura figlia dell'epoca in cui essa raggiunge la piena maturità. E la letteratura, diventando in un certo senso "strumento per raccontare sè stessi e la realtà che ci circonda" diventa specchio sociologico dei dubbi, delle paure, delle gioie di una intera generazione. Così al ribollire sociologico degli anni '60 fa da contraltare l'esperienza neoavanguardista (si pensi al Gruppo 63) all'edonismo reaganiano degli anni '80 corrisponde il minimalismo che in Bret Easton Ellis trova il suo capostipite (oggi un tantino appannato) mentre agli indecirfabili anni '90 risponde la ripresa ed  il rafforzamento del genere Pulp (Amnmaniti, Aldo Nove). E oggi? Quali nuovi scrittori e nuove scritture stanno irrompendo sulla scena editoriale nostrana? Se ne è parlato, ieri sera, nel corso dell'ultimo (forse) Lunedi Letterario di questa stagione, iniziativa promossa dall'Università Popolare di Borbiago emorganizzata dal bravissimo Stefano Patron coadiuvato da Emilia Brotto. Matteo Scandolin (qui il suo blog)  della rivista Inutile ed egli stesso scrittore ha compiuto un viaggio all'interno delle più significative esperienze letterarie di questi ultimi anni caratterizzate dalla volontà di cartografare lo spaesamento di adolescenti assoluti o di sconfitti esistenziali. I testi proposti - e accompagnati dalla indicibile maestria dei Moka da tre (scritti,tutti, in maniera eccellentissima) erano, tra gli altri,  di Ivano Bariani (Diventare presidente della Repubblica, con uno straordinario racconto di una Vespa che non vuol partire); Lucilla Galanti (Altrove da me dove la consunzione di un cuscino di divano diventa metafora di rapporti interrotti e conclusi anticipatamente), Michele Risi (Agenti segreti, "morto un cane se ne compra un altro"), Matteo Scandolin (E' tutto qui...si può, con una poesia, dire grazie alla propria donna che ti ha portato a mangiare Sushi che tu adori?). Su tutti, poi, Dave Eggers (L'opera struggente di un formidabile genio) ed Emanuele Pettener col suo bellissimo E' sabato, mi hai lasciato e sono bellissimo (che vale la pena leggere subito già dal titolo). E proprio Emanuele (che ambienta il romanzo in una Mestre che, grazie alla sua penna, non è più - solo - Mestre ma diventa Parigi, New York, Los Angeles) è stato l'ospite a sorpresa di ieri sera. E' un mondo quello dei nuovi scrittori e delle nuove scritture che si muove tra Internet, Facebook, blog ma che è underground nella misura in cui svolge un ruolo preziosissimo nel far nascere e crescere riviste (noi che a 40 anni siamo la vera Generazione X - come ricordava domenica ne Il Corriere - l'ottimo Matteo Persivale forse chissà le chiameremo "fanzine") alternative, spumeggianti, artigianali nel verso senso della parola, votate alla contaminazione di generi e scritture. Palestre per nuovi autori ma luoghi che diventano anche associazioni, progetti e proposte culturali di altissimo spessore (anche vista la giovane età di questi nuovi protagonisti). Dave Eggers scrive noi siamo il nuovo. E se il nuovo è quel che ho visto ieri sera, le cose si fanno interessanti. Molto.
Che la forza sia con voi!

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lunedì 7 giugno 2010

ANIMALI?

Da La Stampa:

Ambra aspetta il padrone precipitato in montagna


Ambra è ancora lassù, in mezzo ai ghiacci perenni. Sola, impaurita, a più di 3 mila metri di quota, dove ieri nevischiava e tirava una tormenta gelida e pungente. La femmina di husky è rimasta dove sabato mattina il suo padrone Francesco Zavattiero è morto, dopo essere scivolato per circa 300 metri sul ghiaccio, sotto la cresta della Croce Rossa. Cercava di recuperare uno sci che gli si era sfilato, si è allacciato i ramponi, poi, improvvisamente, è precipitato. «Ambra» aspetta lì, vicino a quel muro di rocce, sopra il quale si è disegnata l'ombra dell'elicottero del 118 che ha recuperato e trasportato a valle il corpo dell'alpinista di Leini.




Certo, il cane attende che ritorni quello che era il suo compagno, perché l'amore e l'affetto per il suo padrone sono incondizionati, assoluti. Se qualcuno non va lassù, si lascerà morire». Non ha dubbi Aldo Fantozzi, il sindaco di Usseglio, grande conoscitore della montagna, cacciatore e amante degli animali. Ieri mattina si è infilato gli scarponi e ha battuto tutta la zona che si allarga dal lago dietro la Torre fino al lago della Rossa. Ha perlustrato l'area dove la comitiva aveva parcheggiato la macchina prima dell'ascensione. Niente. Nemmeno qualche zampata nella neve per accendere le speranze. «Poi si è alzata la nebbia, è iniziato a piovere deciso e sono stato costretto a ritornare a valle» - spiega ancora Fantozzi.



Anche Gabriele Benedetto, uno dei guardiani della diga del lago della Rossa, su a 2700 metri di altezza, ieri ha effettuato un lungo giro di ricognizione intorno allo specchio d'acqua dove galleggiano piccoli iceberg. Lì tutto è avvolto da un silenzio irreale. «Ho camminato parecchio anche se qui ci sono ancora 70 centimetri di neve e bisogna prestare attenzione – racconta Benedetto – ma non ho visto nessun cane e non ho sentito abbaiare. Per andare sul ghiacciaio della tragedia, è meglio arrivarci con l'elicottero».



Purtroppo, da ieri sera, le condizioni atmosferiche sono peggiorate. In pianura piove e sulle Alpi nebbia e vento rendono impossibile alzarsi in volo con un elicottero. Non resta che infilarsi sci o ramponi e iniziare a scarpinare per qualche ora.



Stamane, tempo permettendo, due amici di Francesco Zavattiero e altrettanti volontari del soccorso alpino di Usseglio dovrebbero ripercorrere il tracciato fatto sabato scorso per cercare di localizzare Ambra e riportarla a valle. Lo faranno per Francesco, ma anche per la sua compagna Enza e per mamma Valentina, che sono affezionate a quell'husky. «Ambra l'aveva presa sette anni fa che era un batuffolo di peli – ricorda la compagna di Francesco Zavattiero – da quel momento sono sempre stati inseparabili, come se vivessero in simbiosi». Per capirlo basta dare un'occhiata alle tante fotografie che raccontano le escursioni dell’alpinista di Leini, da sempre appassionato di montagna, in pensione da appena un anno.



Scatti sulle rive di un lago, ai margini di un ghiacciaio, mentre si attraversa una cresta innevata, sotto uno sperone di roccia o seduti davanti ad un rifugio alpino. Davanti c'è Francesco e dietro sempre Ambra. Che adesso è rimasta dove il cielo sembra più vicino, appena sopra le vette, in mezzo alle raffiche minacciose della tormenta. Magari teme che tornando a valle possa tradire il suo padrone, perché potrebbe ancora arrivare. Forse aveva ragione l'etologo e premio Nobel Konrad Lorenz quando diceva: «Non c'è fedeltà che non tradisca almeno una volta, tranne quella di un cane».

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FRANCESCO

In fondo siamo nati a tre giorni di distanza (e 27 anni di differenza ma che importa)....e poi...e poi lui è di sinistra, è un glottologo, è un poeta...e per di più, al Liceo, ho avuto la fortuna di avere una compagna di classe i cui parenti vivevano a Pàvana.....come non amarlo?

Da "La Repubblica", articolo firmato da G. Castaldo

I settant'anni di Guccini

"E pensare che non volevo scrivere"




PAVANA - Arrivare a Pavana, la leggendaria, il luogo prescelto da Francesco Guccini per il suo buen retiro, da almeno dieci anni, è come attraversare una selva di profili scoscesi e strade morbidamente tortuose. Da lì, Guccini torreggia, settant'anni portati con orgoglio da montanaro. "Ma attenzione, non li ho mica ancora compiuti" borbotta col suo burbero sorriso, "manca ancora qualche giorno al 14 giugno". Nell'ingresso della casa un grande tavolo contiene di tutto, vecchi fumetti, fogli sparsi, libri, riviste. Dalla cucina, di sapore antico, si vede una verdissima valle che degrada con dolcezza: "In fondo questa è la vera differenza tra me e la maggior parte degli altri cantautori" spiega, "De André, che era mio coetaneo, veniva dalla buona borghesia genovese, gli altri comunque da un ambiente cittadino, urbano, io vengo da qui, dalla campagna, dalla montagna".




A proposito di De André. Eravate legati?

"Sì, avevamo anche progettato di fare qualcosa insieme, magari un tour, lui voleva, anche se un po' si scherniva, diceva: ma no tu parli tanto nei concerti, io per niente, ma l'avremmo fatto, avevamo voglia. Poi i manager che per natura sono sempre più sospettosi, si misero di traverso. Io Fabrizio l'avevo conosciuto, a Bologna, nel 1967, avevamo amici comuni, mi ricordo che io gli cantai Per quando è tardi. Lui invece un po' si vergognava, poi cantò molto. Da allora ci siamo sempre sentiti, da qualche parte ho mille lire con la sua firma perché ho vinto una partita di scopa testa a testa. Lui era più legato ai francesi, a Brassens, io più a Dylan. Il primo disco, Freewheelin, me lo passò uno dell'Equipe 84, ma io all'inizio non ero così interessato a scrivere, non ero neanche iscritto alla Siae. Il primo disco non lo firmai neanche, i pezzi erano firmati "Pontiak-Verona", Auschwitz era firmata "Lunero-Vandelli", ma erano tutte mie. Poi le abbiamo corrette, ma non tanto tempo fa".



I settant'anni arrivano come una campana dolente. Ci si sente più soli, nel senso che molti amici non ci sono più?

"Per forza. Da poco è scomparso Renzo Fantini, mio grande amico, è stato da sempre il mio manager, era carismatico, e poi era onesto, in un ambiente che diciamo pure non brilla per questa qualità. Lui fu folgorato come Saulo sulla via di Damasco. All'epoca lavorava con Nilla Pizzi, Sandro Giacobbe, e per caso Victor Sogliani, dell'Equipe 84, era il 1975, mi disse 'ma tu ce l'hai un manager?'. Io no, non ce l'avevo, ma non facevo concerti. Venne Renzo con Bibi Ballandi, da lì decise di lavorare solo con i cantautori, si separò da Ballandi, e così cominciò la storia. E comunque già a cinquant'anni mi resi conto tragicamente che gli anni che mi restavano da vivere erano meno di quelli avevo già vissuto, figurarsi ora. Ma non ci penso tanto, solo quando sento dei limiti. L'altro giorno sono andato al mulino, era la casa dei miei nonni dove abitavo da piccolo, c'è una mulattiera che scende giù, guardavo i sassi, attento a non inciampare. C'è il fiume, una volta lo passavo saltando di sasso in sasso, ora certo no. C'è anche il lago, d'estate si stava là, lo attraversavo tutto e tornavo indietro, ora faccio sì e no cinque metri, ma ancora mi tuffo, anche se l'acqua è gelida. Però notavo una cosa, da giovane facevo i concerti seduto, ora li faccio in piedi, sono proprio un coglione..."



E perché da seduto, un tempo?

"Perché ero abituato a non fare concerti veri e propri, ho cominciato a suonare in pubblico all'osteria delle Dame, quindi stavo seduto, poi arrivò Flaco, eravamo solo in due, e stavamo seduti".



Vecchioni ha scritto che la sostanza delle sue canzoni è il dubbio.

"Non sempre, ma è vero che nelle mie canzoni ci sono molte domande, ma non in tutte, vedi La locomotiva. Poi sì, in canzoni come Il pensionato, e Shomér Ma Mi Lailah, un inno al dubbio. Di certo ora so solo che non sono più giovane. Ho delle canzoni nuove, una è l'ennesima Canzone di notte, la numero 4, credo, e lì un po' parlo dell'età. L'anno scorso feci un concerto a Montalcino, il 13 giugno, la sera dopo festeggiammo, presi la parola per un brindisi, dissi: 'A una persona nata il 14 giugno che nessuno dimenticherà...'. Tutti pensavano che parlassi di me, e invece conclusi: 'a Che Guevara, che è nato il mio stesso giorno'".



Dopo 45 anni è cambiata la sua visione della musica?

"No, io la vedo ancora così la canzone: un signore che si mette lì, ha delle idee per la testa e vuole manifestarle. Poi per carità ci sono prodotti artigianali ottimi, ma io parlo delle canzoni dei cantautori. Oggi sento molte canzoni, non dico brutte, ma inutili, che forse è peggio. Tempo fa dissi dei talent che in mancanza di altro poteva essere un'occasione per emergere, e tutti a dire: 'ecco Guccini apprezza questi programmi'. Mica vero, le case discografiche sono in crisi, ma pensa che io il primo disco Folk beat n.1, l'ho fatto nel 1966, ma il primo di un certo successo è stato Radici del 1972 e in mezzo ci sono stati altri tre long playing. Ora sembra essere tornati agli anni Cinquanta, c'erano belle voci, ma i testi a volte erano ridicoli, ora c'è più abilità, arrivano più preparati, ma non c'è niente dentro. Paoli anche quando cantava Il cielo in una stanza si sentiva che c'era qualcosa dietro, anche se era una canzone d'amore, De Andrè fece delle altre cose, ironiche, serie, io cantavo Auschwitz....



Ricorda quando l'ha incisa?

"Certo. C'erano ancora i tecnici col camice bianco, venne fuori questo signore anziano, o almeno mi sembrava allora, avrà avuto neanche 50 anni, mi disse: 'senta ma è lei che ha fatto questa canzone? Bene le do un consiglio, se vuole continuare a fare questo mestiere, allora cambi genere che con questa roba andrà poco lontano'".

Che la forza sia con voi!

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venerdì 4 giugno 2010

MERCATO



IL COMUNE DI MIRA



CON LE ASSOCIAZIONI



C.I.A., COLDIRETTI, CONFAGRICOLTURA



APRE







IL MERCATO CONTADINO



(OGNI SABATO MATTINA ESCLUSO FESTIVI)




 

SABATO 5 GIUGNO 2010



PIAZZA IX MARTIRI



( DAVANTI MUNICIPIO)







ORE 10.30



INAUGURAZIONE



CON BUFFET


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BUON GIORNO!

Da La Stampa, il Buongiorno di Massimo Gramellini

Nel giorno in cui, secondo indiscrezioni di stampa, un notaio romano ha toccato la cifra record di 300 milioni d’imponibile evaso, la Lega inaugura in Parlamento la sua lotta dura e senza paura contro i venditori di occhiali taroccati. Nessun dubbio che in un mondo ideale, dove nessuno evade le tasse, nessuno paga in nero e i passanti attraversano la strada sulle strisce fischiettando «trullallero» (il Tg1, insomma), anche chi smercia collanine sottocosto dovrebbe esibire regolare permesso e rilasciare regolare scontrino. Ma nel mondo reale, in cui lo Stato è solo un nemico da corrompere e fregare, il danno economico inferto dagli ambulanti è davvero un buffetto, se paragonato alle montagne sotterranee di denaro sottratto alla comunità che producono certe categorie di evasori emeriti.

Qualcuno dirà: la Lega si concentra sugli ambulanti per ragioni di populismo e di razzismo. Sarebbe ancora una spiegazione politica. Temo invece che la ragione sia molto più semplice: gli ambulanti rappresentano un bersaglio visibile. Li incontri al mercato, in spiaggia, lungo i marciapiedi. Colpirli è facile, la resa nei sondaggi sicura e immediata. I grandi evasori, invece, abitano altrove: i più sfacciati dentro barche ormeggiate in porti esotici o dentro uffici calpestabili soltanto da piedi altamente selezionati. Sono lontani, inafferrabili, protetti da stuoli di ottimi avvocati. Non rappresentano un cibo con cui sfamare la rabbia del popolo impoverito. Al quale si getta fra le scarpe un po’ di paccottiglia perché non sollevi mai la testa ai piani alti.

Che la forza sia con voi!

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giovedì 3 giugno 2010

MARTIRIO

Da La Stampa



Monsignor Luigi Padovese, Vicario apostolico per l’Anatolia, è stato accoltellato a morte nella sua casa di Iskenderun, porto sul Mediterraneo nel sud della Turchia. Secondo la tv privata turca Ntv sarebbe stato ucciso dal suo autista. Una morte che arriva quattro anni dopo quella di Don Santoro, assassinato in chiesa a colpi di pistola. La fine tragica di Don Santoro, di cui Padovese aveva celebrato i funerali, era una ferita ancora aperta.




Di origine milanese, mons. Padovese aveva scelto di essere ordinato vescovo in Turchia per esprimere meglio la sua appartenenza ad una terra a cui si sentiva legato da tempi lontani. Professore titolare della cattedra di Patristica alla Pontificia Università dell’Antonianum fino ad essere ordinato Vescovo, Padovese è stato per 16 anni direttore dell’Istituto di Spiritualità nella medesima università. Professore invitato alla Pontificia Università Gregoriana e alla Pontificia Accademia Alfonsiana. Per 10 anni è stato visitatore del Collegio Orientale di Roma per la Congregazione delle Chiese Orientali. Consulente della Congregazione per le Cause dei Santi.



Da oltre vent’anni il vescovo organizzava viaggi e simposi in Anatolia, ed era stato nominato Vicario Apostolico e vescovo titolare di Monteverde nell’ottobre del 2004. Il suo compito, diceva, era portare ovunque il Vangelo, anche alle minoranze.



«Nel 1927 i cristiani erano il 20%, circa due milioni su una popolazione di 17-18 milioni- ragionava-. Il fatto che oggi ci troviamo ad essere un numero cosi risicato su una popolazione di 70-71 milioni è sintomo di una situazione segnata da innegabili discriminazioni. La Costituzione sancisce l’uguaglianza dei cittadini turchi. Non è la legge in quanto tale che causa questi fenomeni, ma la sua non applicazione…».



Aveva scelto il dialogo, Padovese, uomo fondamentale per l’organizzazione del difficile pellegrinaggio in Turchia di Benedetto XVI alla fine del 2006. Dopo aver appreso la notizia la Santa Sede si è detta costernata. E’ un «fatto orribile», fa sapere padre Federico Lombardi. Mons. Padovese avrebbe dovuto partecipare, da domani, alla visita del Papa a Cipro, e ricevere da lui, insieme agli altri responsabili e patriarchi cattolici della regione, il documento preparatorio del prossimo Sinodo sul Medio Oriente, in cui si parla anche delle violenze contro i cristiani.



«Cio che è accaduto - ha detto padre Lombardi- è terribile, pensando anche ad altri fatti di sangue in Turchia, come l’omicidio alcuni anni fa di don Santoro».



«Preghiamo - ha aggiunto - perchè il Signore lo ricompensi del suo grande servizio per la Chiesa e perchè i cristiani non si scoraggino e, seguendo la sua testimonianza così forte, continuino a professare la loro fede nella regione». La Turchia conta 70 milioni di abitanti, al 99% musulmani. I cristiani sono lo 0,6% della popolazione; i cattolici sono circa 30mila. Il vicariato dell'Anatolia ha 4550 cattolici, 7 parrocchie, 3 sacerdoti diocesani, 14 religiosi e 12 religiose.

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martedì 1 giugno 2010

SULLA LIBERTA DI STAMPA


Ecco il resoconto stenografico dell'intervento che Sergio Zavoli, ieri, ha tenuto durante la discussione in Senato relativa al disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche. Si tratta di un intervento di altissimo profilo che riguarda uno degli elementi maggiormente caratterizzanti l'essere una democrazia: la libertà di stampa.


Signor Presidente, la questione pregiudiziale QP6 ha per oggetto la libertà di stampa. Ho avuto un abbassamento di voce, ma non un abbassamento della mia volontà di esprimere un parere che esce un po' dal tema regolamentare, perché affronta una questione che credo stia in cima a tutti i nostri discorsi, a quelli odierni e a quelli che faremo. La pregherei di concedere che un paio di decibel in più mi aiutino a farmi capire meglio.
Signor Presidente, ho letto giorni fa sul «Corriere della Sera» un suo articolo che, prendendo le mosse dalla tragica vicenda di Walter Tobagi, affermava come egli avesse esercitato l'opera sua sul piano - forse addirittura più insidioso del diritto e dell'ordine pubblico - della cultura e dell'informazione, attraverso le armi dell'inchiesta e dell'analisi critica. Grazie di queste parole, che le fanno onore! Signor Presidente, vorrei che questo suo condivisibile giudizio fosse d'introito ai lavori che concluderanno una grande e spero non inutile fatica, e che allo spirito delle sue parole l'Aula impronti le nostre prossime sedute. Rinnovo l'invito, per quel che posso, a far sì che prevalga quella ragionevolezza così spesso elusa, perché la ragione politica pretende che si privilegi un altro ragionamento. Basti pensare ai tagli inferti proprio alla cultura, cui si sta tentando di opporre in extremis qualche incerto e pericolante rimedio.
So bene, signor Presidente, che non ci misuriamo con una di quelle congiunture in cui la storia assegna a tale questione un significato drammatico, ma il solo fatto di doverci riferire a un articolo della nostra Carta (parlo ovviamente dell'articolo 21) giustifica il malessere che ha accompagnato sin qui la disputa sulle intercettazioni. Quindi domando, signor Presidente, senza alcun intento polemico, perché, di fronte a un disagio di tale rilevanza (Benedetto Croce la chiamerebbe sofferenza etica), non abbiamo avvertito tutti insieme, maggioranza e minoranza, che questa sorta di spaesamento è in realtà al centro di una grande e grave questione democratica. Eppure siamo in un'Aula dove la libertà di stampa, anche quella che rischiasse la meno inquietante delle lesioni, dovrebbe avere il suo presidio più efficace e vincolante. Qui, per la natura del nostro stesso compito dovremmo essere indotti, nel nome di un bene che ci fa uguali, a volgere i nostri lavori in direzione di salvaguardie che superino, nell'interesse comune, le chiusure pregiudiziali e gli opportunismi politici, strutturali o contingenti che siano. Ciò, perché la libertà di espressione deve tendere alla promozione del confronto pubblico e della responsabilità personale, a tutelare i diritti di ciascuno e di tutti, a contrastare le invadenze dei poteri, a difendere la democrazia dalle intolleranze occulte e dalle aggressioni fin troppo evidenti e perché soltanto un giornalismo disposto a svolgere questo compito è lo strumento garante della politica, mentre in caso contrario può essere solo il suo servo.
C'è chi risolverebbe alla svelta il problema: gli basterebbe ridurre la politica al minimo, opponendole diffidenza e disinteresse e magari rivolgendo qualche anacronistica minaccia normativa a un giornalismo che interpreti - mai che ometta - i suoi doveri deontologici. Non posso dimenticare, signor Presidente, Albert Schweitzer che, nel suo celebre lebbrosario di Lambaréné, mi disse: «Fino a quando non diremo cose che a qualcuno dispiaceranno non diremo mai per intero la verità». Del resto, ricorderete come Orwell immaginasse un Ministero della verità il quale avrebbe provveduto a cancellare quotidianamente i fatti scomodi, distruggendo i segni che essi lasciano. La cupa profezia si è posta da allora come un'epigrafe in testa al nostro modo di intendere l'informazione, la sua natura e il suo scopo in una società liberale e riformista, per ricordarci che la democrazia va difesa ogni giorno.
Forse, per comprendere che cosa è realmente in gioco vale la pena di ricordare anche quanto ha detto Hans Magnus Enzensberger: «Ai giornalisti di oggi spetta non il dovere, ma certamente il compito di fare chiarezza su tutto quanto, per loro merito o demerito, ci coinvolge»; vorrei inoltre aggiungervi il giudizio di Amartya Sen, premio Nobel per l'economia, che ha avuto l'ardire, oltre che l'umiltà, di considerare l'informazione oggi più importante persino dell'economia: un azzardo - direte - ma non privo di qualche fondamento.
Giorni fa in un giornale ho scritto a proposito del cartello appeso al collo di un partecipante al sit in davanti a Montecitorio in cui si leggeva "Io non ho paura, intercettatemi": come a dire che questo disegno di legge favorisce chi ha colpe o reati da nascondere. Era una posizione di rifiuto totale, estrema, e quindi a sua volta contestabile. Basta infatti approfondire il problema, in cui si affrontano due diritti fondamentali (l'informazione dovuta da una stampa libera e quella che viola gratuitamente la riservatezza personale) per rendersi conto della profonda differenza, in questa delicata materia, tra chi è investito di responsabilità pubbliche, sia elettive che conferite dallo Stato, e un semplice cittadino.
Tuttavia, anziché tentare una equilibrata composizione, difficile ma necessaria, si è scelta la strada, a prima vista più facile, di restringere al massimo le intercettazioni, di ricorrere alla minaccia del carcere per i giornalisti (poi ragionevolmente lasciata cadere), infliggendo multe pesantissime, anche se poi ridotte per le piccole testate, a carico degli editori, aprendo la strada all'intervento della proprietà sul contenuto dei giornali che, come sappiamo, è competenza esclusiva del direttore.
Una serie di errori non da poco, ancora passibili di correzione, conferisce qua e là un carattere repressivo e illiberale a questo progetto, e lo sarebbe ancora di più se la pratica delle intercettazioni dovesse limitare l'azione legittima e indispensabile della magistratura, per esempio - cito il caso più vicino e irrisolto - quando la comunità nazionale si sente offesa dalla cosiddetta cricca (una parola d'uso comune per indicare un clima ben più che equivoco). Qui la materia affronta aspetti controversi di legittimità che affido a chi ha dottrina per farlo; ma sono persuaso signor Presidente, che in un Paese in cui dopo 21 anni si vanno a cercare le impronte lasciate dagli attentatori di Giovanni Falcone sugli scogli dell'Addaura e dove, rovistando tra vecchie collezione di giornali, si trova la fotografia di un agente segreto sempre presente quando è alle viste o in preparazione o addirittura in atto un'azione eversiva gravemente criminosa, la funzione della stampa si riveli fondamentale. Perciò, lungi dal restringerne le facoltà, va ricercata e perseguita la sequela di reticenze, ambiguità e fellonie, se non si vuole coprire una manifesta e impunita lesione della nostra stessa legittimità democratica.
Mi limito a citare le parole di un nostro collega della passata legislatura, l'autorevole ed equanime Andrea Manzella: il messaggio complessivo è che la lotta al crimine in Italia, terra di molte mafie e di molte complicità, sarà indebolita. Ribassi di pene per non reati, cioè per la libertà giornalistica di informare su atti non più segreti, non servono a cancellare il nonsenso strutturale dell'intero progetto, per il quale, signor Presidente, vanno auspicate ulteriori correzioni, secondo le puntuali riserve avanzate dal Capo dello Stato.
Parlo di cose da tutti voi conosciute, dolendomi della sommarietà cui ho dovuto tenermi, ma il Senato, il luogo della nostra risposta a una delega popolare fondata sul valore e sulle modalità della trasparenza politica, civile e morale, non può non disporsi a compiere un dovere di inestimabile significato.
E perché nessuno si senta escluso dalla vitale necessità di salvaguardare il dettato costituzionale, lasciatemi ricordare la parola più alta, data a tutti perché venga pronunciata per tutti. Una parola che vive dentro e fuori di noi, quand'anche non ci si accorga della sua presenza. Una parola che è come l'aria, la quale ci tiene in vita, si può dire, quasi a nostra insaputa, chiunque si sia e dovunque si stia. È una parola che va detta e udita in nome delle responsabilità che essa esige. Quella parola è così solenne che si stenta a ripeterla senza qualche imbarazzo, ma libertà - cui tutti dobbiamo continuamente richiamarci - è la prima a dar vita alle nostre speranze di non venire sconfitti dalle nostre stesse sordità, o peggio dalla nostra rassegnazione.
Pronunciamola, dunque, dandole un fondamento comune: è la sola che nessuno può pronunciare solo per se stesso, ed è di quelle che, signor Presidente, in quest'Aula devono avere la precedenza. (Vivi, prolungati applausi dai Gruppi PD, IdV, UDC-SVP-Aut: UV-MAIE-IS-MRE e dei senatori Menardi e Musso.Molte congratulazioni).

Che la forza sia con voi!

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