mercoledì 29 aprile 2009

HUGO


La ballata del Pratt perduto



Di Antonio D’Orrico


Hugo Pratt riservava sempre delle sorprese. Un esempio. Quando morì, nell’agosto del 1995, uscirono i necrologi di rito sul Corriere. Due erano singolari. Il primo era a firma del ministro della cultura, all’epoca si trattava dello storico dell’arte Antonio Paolucci. A suo modo, un documento storico. Perché si trattava del primo riconoscimento ufficiale, ed espresso al massimo livello istituzionale (il Ministero della Cultura), del fatto che Corto Maltese e gli altri fumetti di Pratt erano un bene culturale della Nazione. I francesi l’avevano capito da un pezzo, dalle nostre parti invece si continuava a far finta di nulla.
L’altro necrologio non era meno sorprendente. Esprimeva ufficialmente il cordoglio della Massoneria per la morte di uno dei suoi fratelli più illustri. Ricordo che in quell’occasione feci una piccola inchiesta. Gli amici intimi di Pratt non sapevano della sua adesione al Grande Oriente. Ma quando domandai loro se erano sorpresi dalla notizia, mi risposero tutti allo stesso modo: sì, erano sorpresi, no, anzi, a pensarci bene non erano sorpresi perché da Hugo ti potevi aspettare di tutto.
L’EROE CHE UNÌ L’ITALIA
Avevo pensato finora che quei due necrologi (la superlaurea ad honorem rilasciata dal ministro della Cultura, e l’estremo saluto massonico che confermava l’inafferrabilità esoterica dell’uomo) fossero gli ultimi colpi di scena nella vita spettacolare di Hugo Pratt. Mi sbagliavo. L’ultima delle sue sorprese (ma sarà il caso di dire, all’inglese e a scopo cautelativo, last but non least) è questo libro, Sandokan (Rizzoli Lizard) che racconta, in puro stile Pratt, la prima parte delle Tigri di Mompracem di Emilio Salgari, l’avventura con cui debuttò l’eroe che ha unito l’Italia almeno quanto Garibaldi (se non di più). Una storia mai pubblicata, assolutamente inedita. Il Vate indiscusso del romanzo d’avventura italiano (Salgari) riveduto e corretto (e forse anche scorretto) dal Vate (la parola l’avrebbe fatto sghignazzare) del romanzo (disegnato) d’avventura italiano. Se fosse stato ancora ministro il prof. Paolucci avrebbe organizzato un festeggiamento adeguato: perché è un avvenimento culturale di primissimo ordine ed è anche una bella storia. Anzi due belle storie. La prima è quella delle Tigri di Mompracem secondo Pratt e Mino Milani (lo scrittore che curò la sceneggiatura). La seconda è la storia di come questo libro sia scomparso per quarant’anni, sia stato dato nel tempo per disperso, bruciato, distrutto, mai esistito (una delle solite balle di Hugo), rubato, cestinato, contrabbandato nel caveau di qualche grande collezionista di fumetti, dimenticato in un cassetto, buttato e quindi annegato nelle acque del Lambro (che fine ingloriosa per le tigri di Mompracem!), nascosto dallo stesso Pratt così bene dall’essersi scordato il nascondiglio sicuro che aveva escogitato...
Le ipotesi avanzate nel corso di quarant’anni sono state tante. I fatti sono andati così. Come ce li racconta Alfredo Castelli, lo sceneggiatore di Martin Mystère, autore del ritrovamento e, anche, della bella prefazione al Sandokan di Pratt.
Tutto cominciò, per Castelli, nel 1971 quando prese a collaborare al Corriere dei Piccoli dove Pratt lavorava già dai primi anni Sessanta spesso in coppia con Mino Milani. I due, tra l’altro, avevano pubblicato sul Corrierino una non dimenticata versione dell’Isola del tesoro di Stevenson. Pratt, ricorda Castelli, era sempre in giro per il mondo ma quando tornava in Italia passava sempre dalla redazione in via Scarsellini. Lì aveva un ufficio, in coabitazione con altri due illustratori, Aldo Di Gennaro e Mario Uggeri, ed era molto legato a Giancarlo Francesconi, il caporedattore. Francesconi e Pratt, ricorda Castelli, avevano fatto un viaggio in auto nel nord dell’Europa che per anni fornì a entrambi «spunti per narrazioni dalla vericidità quantomeno dubbia».
Nonostante fosse prolisso di racconti (più o meno veridici), Pratt ammutoliva e cercava di cambiare discorso ogni volta che Francesconi, Milani o Mario Oriani (il direttore) gli chiedevano: «Allora, l’hai finito? ». Era il Sandokan che Pratt doveva finire, la sua versione delle Tigri di Mompracem. La sceneggiatura di Milani era pronta da tempo. «Pratt aveva iniziato a disegnarlo nel 1969», ricorda oggi Milani, «ed era partito con grande entusiasmo: il mondo salgariano faceva parte del corredo letterario di entrambi. Lavorare con Hugo era un piacere. Ci intendevamo perfettamente e quindi non servivano lunghe descrizioni della vignetta. Erano sufficienti semplici indicazioni come “Notte, tempesta tropicale squassa un capanno sulla rupe”, e questo gli bastava per creare una scena piena di emozione. Inoltre era velocissimo. Solo che dopo un inizio con fuochi artificiali, d’improvviso i tempi di produzione cominciarono a dilatarsi spaventosamente ».
PERCHÉ NON FU PUBBLICATO
Cosa era successo? Perché Pratt si era distratto? Si era disamorato di Salgari? Castelli ha un’ipotesi. Era accaduto che Corto Maltese aveva cominciato ad avanzare le sue giuste pretese di eroe prattiano per eccellenza e antonomasia. La prima avventura del «gentiluomo di fortuna», Una ballata del mare salato, Pratt l’aveva pubblicata nel 1967. Avrebbe dovuto essere la prima e l’ultima e, infatti, Pratt si era poi dedicato alle storie per il Corrierino. Ma proprio mentre lavorava a Sandokan dalla Francia gli chiesero altre storie di Corto. Fu la svolta nella carriera di Pratt, la gloria: «Hugo e il suo alter ego di carta diventano stelle di prima grandezza e il povero Sandokan passa in secondo piano».
Ormai, quando Pratt passa dal Corrierino (ribattezzato, intanto, Corriere dei Ragazzi), nessuno gli chiede più se ha finito Sandokan. Castelli, diventato nel frattempo redattore, propone di salvare il salvabile e pubblicare, come racconto a sè, Sandokan senza aspettare la seconda parte. Gli danno il via e lui prepara le “copiette”, così si chiamavano in gergo, da mandare in stampa. Lavorandoci sopra, Castelli nota alcune cose interessanti: 1) che la poltrona con lo schienale rotondo su cui siede Sandokan sin dalla sua prima, folgorante, apparizione è quasi identica a quella, successiva, del Corto Maltese “francese”; 2) che, eliminati i baffi, Yanez, il miglior amico di Sandokan, somiglia a Corto Maltese e un po’ allo stesso Pratt da giovane; 3) che Marianna, la Perla di Labuan, la lady amata dal Principe, era uguale a Anne Frognier, la seconda moglie di Pratt.
Hugo Pratt, veneziano nato casualmente a Rimini nel 1927 e morto in Svizzera nel 1995Convivendo per giorni con il Sandokan di Pratt Castelli scopre un’altra cosa. Importante. «Pratt è stato il primo a dare a Sandokan la faccia di Sandokan. Sandokan era sempre stato ritratto come un indiano vagamente occidentalizzato (con la consacrazione finale in tv con Kabir Bedi). Ma Sandokan non era indiano, era malese e Pratt così lo disegna, con i tratti e l’acconciatura di un principe malese. Dare a Sandokan connotati indoeuropei era una scelta tranquillizzante per i lettori di questa parte del mondo. Mentre dargli, come era filologicamente esatto, i suoi tratti malesi, estremamente orientali, ne faceva, agli occhi di quegli stessi lettori, una figura tutt’altro che tranquillizzante, anzi decisamente inquietante». Era un Sandokan mai visto quello di Pratt. Mai visto anche nel senso che poi non andò mai in stampa né per il Corrierino, né per altri. Il progetto fu sospeso. Archiviato in un bustone giallognolo. Il Corrierino fu ribattezzato CorrierBoy che è come chiamare Samantha una ragazzina dall’italianissimo nome di Maria. Con un nome simile non c’era più posto per il Sandokan di Pratt. E nemmeno per Castelli che intristito per le storie (P2 e dintorni) che affliggevano allora la galassia Corriere, si dimise da redattore e andò a lavorare da Sergio Bonelli, nella galassia Tex Willer. Qui, ogni tanto, rivedeva Pratt, amico di Bonelli. Un giorno Hugo gli chiese che fine avessero fatto le tavole di Sandokan. Castelli cominciò a cercarle. Chiamò un amico all’archivio del Corriere. «Qui hanno bruciato molto materiale per fare spazio», gli disse l’archivista. Magari le tavole erano state portate via prima del falò, si disse Castelli e si rivolse ai mercanti di originali. Buco nell’acqua.
Passano gli anni, nessuna notizia del Sandokan di Pratt. Castelli si mette il cuore in pace. Poi, quando ormai non se lo aspettava più, il miracolo. «E qui - visto che di professione sono sceneggiatore di fumetti - potrei inventare qualche racconto emozionante su come sono riuscito a recuperare il Sandokan di Pratt. Per esempio che me lo ha consegnato in una notte di tempesta un vecchio marinaio cieco mentre un fulmine squarciava il cielo. Che l’ho salvato a rischio della vita tuffandomi in un mucchio di cartaccia destinata al macero giusto un istante prima che fosse fagocitata da un’enorme macina. Che il suo nascondiglio era indicato da certi indizi in codice inseriti in un famoso romanzo il cui titolo non mi è permesso rivelare».
Le cose, invece, sono andate in maniera assai diversa. Un paio di anni fa, un editore chiede a Castelli di raccogliere in volume le storie di Omino Bufo. «È un personaggio demenziale che facevo per il Corriere dei Ragazzi. Molti lo rammentano con nostalgia a dimostrare come i ricordi di gioventù rendano bella qualunque cosa». Le storie dell’Omino sono in uno scatolone nel quale Castelli aveva buttato alla rinfusa tutte le cose che c’erano nella sua scrivania di via Scarsellini. Quello scatolone non lo ha più toccato dal 1975, gli faceva troppa tristezza. Va in cantina (chi non è mai stato nella casa di Castelli non può immaginare che razza di gigantesco castello di carte accumulate sia e che impresa, da far tremare i polsi, significhi cercare qualcosa in quel labirinto di fogli). Alla fine trova lo scatolone. Lo apre. «Insieme all’Omino Bufo, alla guida dei telefoni aziendali, alla “carta contabattute” che si usava quando i computer erano ancora di là da venire, c’era il menabò con le “copiette” della storia di Sandokan. Per anni avevo cercato gli originali del racconto senza rendermi conto che le loro perfette riproduzioni si trovavano a portata di mano».
Sfoglio assieme a Castelli la prima copia del Sandokan di Pratt e Milani finalmente diventato libro.
A me sembra artisticamente parlando assai rilevante, proprio bello. E Castelli, autorità in materia, conferma. «Penso che quello sia stato il periodo migliore di Pratt. Perché allora Pratt disegnava molto. Mi spiego, Hugo aveva un dono di sintesi straordinario. A lui bastava disegnare una linea orizzontale, un ghirigoro e un tondo ed ecco “Il sole sui Mari del Sud”. Ed era proprio “Il Sole sui Mari del Sud” come tutti lo immaginiamo. Pratt era un enorme impressionista. In Sandokan era ancora molto generoso di particolari. Per questo dico che è al suo meglio: c’è la sintesi ma c’è anche l’analisi».
Sfoglio il libro. Mi soffermo su un primo piano di Sandokan. «A chi somiglia?», mi chiede Castelli. A qualcuno, rispondo, ma non capisco a chi. Castelli mi illumina: «A Johnny Depp nella parte di Jack Sparrow in Pirati dei Caraibi. Cioè all’eroe di film fatti quarant’anni dopo Sandokan. Pratt aveva un’incredibile capacità di anticipare. Certe icone di oggi, le ha inventate lui tanti anni fa».
OAS_AD('Bottom1');
Sandokan è un gioiello che segna il gran ritorno sulla scena di Pratt (Rizzoli sta riproponendo tutti i suoi albi). Alberto Ongaro (lui e Pratt cominciarono insieme a fare fumetti e fecero la storia del fumetto italiano) ha ripubblicato da Piemme Un romanzo d’avventura, un romanzo del 1971 che ha come protagonista Hugo Pratt. Sì, lui in persona. Un bellissimo romanzo che racconta la storia di un’amicizia e di una generazione. E racconta, anche, di quella volta che Hugo fece amicizia a Londra con 80 ragazze di un college americano e se le portò a Venezia a mangiare il gelato... Vero? Falso? Domande malposte. Hugo Pratt era al di là del vero e del falso.
27 aprile 2009





Che la forza sia con voi

Etichette:

martedì 28 aprile 2009

RITORNO

Leggetelo e.....ridete!
Dal sito Ansa.it
WONDER WOMAN E CUBO DI RUBIK, TUTTI I DANNI ANNI '80
di Alessandra Magliaro

ROMA - Si alzano presto per portare il figlio a scuola, poi vanno in palestra, poi in ufficio con pausa pranzo a barrette, poi ancora palestra, compiti a casa con il figlio, cena macrobiotica: le trenta-quarantenni di oggi, non lavorativamente precarie s'intende, quelle che è Dio che chiede loro un consiglio, sono in realtà povere vittime.

Di chi? Ma di Wonder Woman naturalmente, telefilm ormai vintage con la procace protagonista Lynda Carter capace di tutto, che ha reso insoddisfatte tante donne che non sono riuscite ad essere come lei. Non è l'unica eredità da incubo di quegli anni, visto che, come cantano gli AfterHours Non si esce vivi dagli anni '80. Omar Fantini, il comico che spopola a Colorado Cafe', ci ha scritto su un libro ('Non si esce vivi dagli anni '80' - Mondadori, 263 pp, 15euro) che tenta di spiegare con ironia perché i trentenni di oggi (ma anche i loro fratelli più grandi) sono ridotti così.

Si è fatto una domanda e si è dato una risposta: tutta colpa di Pollon, Remi e il cubo di Rubik, insomma di certi cult dell'epoca, cartoni animati, serie americane e oggetti, che a ben indagare hanno reso tanti, soggetti buoni per gli psicologi.

Nostalgia, tenerezza per l'infanzia ma anche una sana lettura ad occhi disincantati per leggere meglio certi miti: La casa nella prateria, il telefilm più triste della storia della tv in cui la cosa più avventurosa che succedeva era che le bambine arrivavano tardi a scuola perché c'era il fango sul sentiero, La famiglia Bradford con papà vedovo, otto figli e la baby sitter (attenzione!) che diventa la seconda moglie, Love Boat che a rivederlo oggi è ancora più horror di ieri con tutti quei capelli cotonati, quelle uniformi bianche, quel pigia pigia da traghetto in Sardegna ad agosto, Tre cuori in affitto con Janet e Daisy in hot pants già belle botulinate ma allora non lo sapevi e poi Arnold, Baywatch con Pamelona Anderson, Hulk, Magnum P.I. e su tutti Happy Days.

Ma Non si esce vivi dagli anni '80 (titolo del libro) anche per oggetti vari: i boeri, cioccolatini al liquore che mangiavano anche i piu' piccoli (e questo spiega il boom del colesterolo nei trentenni di oggi), il supertele, l'unico pallone con traiettorie autonome tanto era leggero e dunque imparabile, il cubo di Rubik che i più furbetti compravano in doppia copia così uno si poteva manipolare (trucchetto: staccare con il vapore le faccette adesive e riattaccarle a dovere), il dolce forno Harbert dal quale non è mai uscito un dolce degno del nome, il Vic 20 per giocare a tennis in tv quando il Commodore era ancora un lusso, il crystal ball lattex blu molle per soffiare palloncini (ufficialmente perché in realtà era una colla stordente come Lsd), il caro vecchio Ciao, le gomme big babol altamente tossiche prodotte dall'Enichem, i pennarelli Carioca indelebili ad ogni temperatura, l'Allegro Chirurgo. A volte ritornano, e nel caso degli '80, e' veramente una minaccia, specie se riguarda le spalle imbottite.





Che la forza sia con voi....

Etichette:

martedì 21 aprile 2009

PERPLESSITA

Eminenza Reverendissima Angelo Cardinale Scola,
scrivo a Lei - che è mio Patriarca - come figlio che si rivolge al proprio Padre nella fede per confidarLe la perplessità che mi ha colto, stamani, quando fra le mani mi è capitato un volantino. Semplice, essenziale quasi. Vi si annuncia un dibattito intitolato I Cristiani e la Politica. E con giusta e grandissima evidenza si annuncia la Sua partecipazione. Io che, da militante dell'Azione Cattolica, a lungo ho studiato non soltanto i documenti conciliari (su tutti la Lumen gentium, il decreto Apostolicam Actuositatem, la Gaudium et Spes) ma anche gli scritti di La Pira, Lazzati, Moro non posso non trovare interessante il riflettere attorno al tema Non c'è laicità senza fede. E, dunque, perché sono perplesso? Perché, Eminenza reverendissima, Padre della fede, questo dibattito è organizzato da un movimento politico, l'Unione di Centro, presieduta da Pierferdinando Casini. E questo dibattito è organizzato il 24 aprile: vale a dire 40 giorni prima delle elezioni. E' assolutamente indiscutibile non soltanto, Eminenza Reverendissima, il Suo diritto ma anche, vorrei dire, il Suo dovere di dialogare con chiunque voglia ascoltare la Sua parola. Per questo non mi sono scandalizzato dell'incontro che Ella, poche settimane fa, ha avuto con una delegazione della Lega Nord: quale, infatti, migliore occasione di questa per parlare di una Chiesa ma soprattutto dei cristiani come persone che vivono la solidarietà, la sussidiarietà, l'accoglienza verso tutti coloro i quali bussano alle nostre porte indispendentemente dal colore della loro pelle o dalla religione che professano (perché di questo, Eminenza Reverendissima, sono sicuro Ella abbia parlato con loro)?Però, Eminenza Reverendissima, questa Sua presenza, a ridosso di una campagna elettorale, un poco mi sconcerta e mi provoca turbamento. Leggo, nella Gaudium et Spes che Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono essere d'esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi l'autorità e la libertà, l'iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità. In ciò che concerne l'organizzazione delle cose terrene, devono ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini che, anche in gruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista.
Ecco, Eminenza Reverendissima, io giudico poco opportuna - perché rischia di essere strumentalizzabile - la Sua presenza a questo dibattito proprio perché palesemente organizzata a fini elettoralistici (e fatta salva la presenza istituzionale del sindaco di Vicenza, Achille Variati). Ella, Eminenza Reverendissima, è Patriarca , cioè padre che con amore e uguaglianza considera ciascuno come figlio nella fede. Proprio in forza del legame filiale che - sento profondamente - mi unisce a Lei, Eminenza Reverendissima, voglia accettare la mia, personalissima, convinzione che la Sua partecipazione a questo dibattito è un errore. E se così non fosse, La prego di considerarmi, al solito, un Suo, umile, figliolo non ancora prodigo.

Benedetto il Signore, Dio di Israele,*
perché ha visitato e redento il suo popolo
e ha suscitato per noi una salvezza potente*
nella casa di Davide suo servo.
La saluto nella fede del Cristo Salvatore degli uomini e come è mia abitudine in questo spazio: Che la forza sia con Lei.
Suo figlio devotissimo
Davide Meggiato




APPELLO

Raccolgo e faccio girare questo appello invitomi tramite Facebook:

Firmiamo Tutti L' Appello contro l'esecuzione di DELARA DARABI in Iran
Nei mesi scorsi, le esecuzioni capitali di Delara e di un’altra minorenne, Nizanin, condannata per aver ucciso un uomo che cercava di violentarla nel parco pubblico della città di Mashad, erano state sospese anche a seguito delle proteste dell’opinione pubblica internazionale e delle associazioni per la difesa dei diritti umani. “La condanna a morte di adolescenti”, aveva sottolineato Amnesty International, che qualche giorno fa ha rinnovato alle autorità iraniane la richiesta di porre fine all’uso della pena capitale sui minorenni – “è un’aperta violazione degli obblighi di diritto internazionale che l’Iran si e’ impegnato a rispettare, in quanto Stato parte del Patto Internazionale sui diritti civili e politici e della Convenzione dell'Onu sui diritti dell'infanzia.”...Ma Poi nonostante la mobilitazione internazionale, tre settimane addietro la sedicenne di Nekah e’ stata pubblicamente impiccata, la sentenza contro Delara confermata a Domani...LUNEDI
La Corte Suprema di Giustizia ha confermato la sentenza capitale per Delara Darabi, diciannove anni, minorenne all’epoca del reato contestato: un’omicidio in realta’ commesso dal suo FIDANZATO, condannato “ SOLO” a dieci anni di prigione....
Oggi l’unica speranza di salvare la vita di Delara è il perdono della famiglia della vittima attraverso il cosiddetto “PREZZO DEL SANGUE”. Una proposta, però, che è già stata rifiutata .....
Firmiamo Tutti L' Appello
Una firma contro il silenzio
Nulla potremo cambiare ma di sicuro con la nostra firma darle la dignità.....
Che la forza sia con voi!



lunedì 20 aprile 2009

CATASTROFISMO?

Dall'edizione odierna de Il Corriere della Sera
Mappe online, allarme dei geografi «Salviamo la vecchia cartina»
MILANO — Una «perdita vertiginosa di informazioni». La scomparsa di un marchio che «oltre un secolo fa ha realizzato la vera e propria rinascita della cartografia italiana», uno spicchio di made in Italy «che ha fatto scuola ovunque».
La ristrutturazione dell'Istituto geografico De Agostini, con i «tagli» al servizio cartografico (da 31 a 6 dipendenti), preoccupa gli studiosi del settore. Cartografi, geografi. Al punto da convincerli a stilare un «coccodrillo», vale a dire un necrologio anticipato, per quella che «di fatto — spiega Franco Salvatori, presidente della Società geografica italiana — è la dismissione di un pezzo di storia scientifica e formativa del Paese». Per il Gruppo De Agostini, quel ridimensionamento è stato l'unica risposta possibile alla bordata delle «mappe» online, da Google Maps in giù.
Disponibili per tutti, ovunque, gratis. «E un fatto è incontestabile: la possibilità di fare entrare la cartografia in ogni casa, su uno schermo digitale, è un passo avanti straordinario», concede Salvatori. «Ma proprio per questo ritengo che quando un settore si trova di fronte a forti innovazioni, come nel caso in esame, be', in genere resta sul mercato affrontando la sfida...». Anche perché «i due prodotti soddisfano esigenze diverse: da un lato, con Google Maps e affini, abbiamo la scansione di un rilevamento da satellite. Dall'altro, la cartografia». E un'immagine cartografica, come quelle dell'Atlante De Agostini e delle mappe su cui si sono formate generazioni di studenti, «è qualcosa di più. Perché trasfigura e rielabora, anche culturalmente, l'immagine fotografica della Terra. E lo fa attraverso gli occhiali di chi la produce, che possono essere didattici ma anche strategici, come per le carte militari...». Simboli, colori, informazioni differenziate. «Senza dimenticare l'estetica», ricorda Claudio Cerreti, presidente del Centro italiano per gli studi storico-geografici e cofirmatario, con Salvatori, dell'appello-necrologio. «E in questo senso De Agostini e Touring hanno sviluppato, negli anni, uno stile tutto italiano».
È a rischio, riprende Salvatori, un'esperienza lunga un secolo. O forse più: «Perché la cartografia italiana è stata importantissima nel Rinascimento e per tutto il '500, poi c'è stato il declino. Ma tra '800 e '900, la ripresa è stata formidabile. E negli anni '50, con De Agostini e Touring è nata una produzione per il grande pubblico, l'italiano medio alle prese con carte stradali, guide turistiche...». Ora, però, la De Agostini riduce e «delocalizza», «il Touring sta vivendo un po' gli stessi problemi, e anche l'Istituto geografico militare è in crisi di gestione. Non c'è più una scuola cartografica vera e propria, perché il mercato del lavoro si riduce». E con lui se ne va un pezzo importante dell'«eccellenza italiana».
Gabriela Jacomella
20 aprile 2009
Che la forza sia con voi!


Etichette:

venerdì 17 aprile 2009

SERATA






Ci sono delle serate assolutamente particolari. Sono quelle in cui la causalità di un incontro, l'emozione di un ricordo ti riempiono il cuore e ti lasciano lì, basito, quasi incapace di alzarti dal posto ove ti trovi. E provi quasi vergogna nello scoprire che saggio è colui che sa dire le cose con semplicità. Così è capitato a me ieri sera nel "nostro" Teatro di Villa dei Leoni quando, grazie all'infaticabile opera dell'amico Ugo (Scortegagna), membro del Comitato Scientifico del Club Alpino Italiano, almeno 200 persone hanno potuto compiere un viaggio straordinario intorno al "pianeta" Mario Rigoni Stern a poco meno di un anno dalla sua scomparsa. E a farci da guida lungo questo viaggio è stato un asiaghese come lui, Gianantonio Stella (con degli inserti musicali e recitativi davvero mirabili ad opera di Luigi Pozza e Moira Mion)


Fra le tante cose che Stella ha ricordato di questo montanaro forte, composto, saldo come una roccia, umile ma bello come lo sono i fiori del tarassaco, vi è stata una frase che molto mi ha colpito e confidata dall'autore de Il sergente della neve a Paolo Rumiz:


Son tornato vivo da una guerra. Ho avuto una buona moglie e bravi figli. Ho scritto libri. Ho fatto legna. Me basta e vanza. ‘Desso posso morir in pase


Condensare la vita in nemmeno 30 parole. Ma non perché fu vita banale, vuota. Anzi: condensare la vita in 30 parole perché quelle 30 parole contengono il fine ultimo dell'esistenza: la semplcità degli affetti, la dedizione al proprio dovere quotidiano, l'essere natura che alla natura torna.

Ciao Mario, spero di salire presto in cima all'Ortigara (foto) e da lì salutarti...




Che la forza sia con voi.

Etichette:

giovedì 16 aprile 2009

BECCATO!!!!!!!




Mi spiace molto ma a me Beep beep è sempre stato sulle scatole. Perché mi fa tornare in mente quei compagni di scuola (ne ho avuti pure io, azz...ma per fortuna erano in minoranza) saputelli, saccenti. Quelli da "primo banco", quelli del "le so tutte io" ma anche quelli del "Prof. lui copia" (quanto li ho odiati 'sti spioni). Li avrete incontrati anche voi (e se invece VOI SIETE I SAPUTELLI andate a leggervi il blog di qualcun'altro, please) immagino. Quelli che dicono no a qualunque proposta, a qualunque tipo di cazzeggiamento. Quelli che, in gita scolastica, si sedevano immancabilmente davanti perché, poverini, a loro il pullmann faceva la bua. Mentre noi ci fiondavamo nelle ultime fila. Insomma, lo ammetto: io odio Beep beep. Lo odio di un odio profondo, sincero, autentico.

Ma oggi sono felice. Sì felice...Guardate un po' qua:







Non ci credete neanche voi, eh? Ed invece sì. Finalmente il nostro Willy gliel'ha fatta a beccarlo 'sta specie di struzzo (che in realtà ha un nome orrendo: Geococcyx californianus), brutto, spennacchiato e pure magro come un chiodo....



Che la forza sia con te Willy (e con tutti noi che siamo come te...)



Etichette:

mercoledì 15 aprile 2009

ANNOZERO

Confesso che a me non è mai piaciuta la cosiddetta televisione gridata di cui, spesso, Michele Santoro è stato il protagonista. Nè mi piace molto chi invoca il giornalismo di inchiesta mostrando chiaramente di non sapere di cosa si tratti. Ho sempre pensato che i dibattiti televisivi, affinché siano davvero interessanti, debbano necessariamente prevedere pochi ospiti messi in condizione di esprimere compiutamente il loro pensiero in un dibattito che, certo, debba prevedere il necessario e giusto contraddittorio. E però, memore della mia precedente vita giornalistica, difendo - sempre e comunque - la libertà d'espressione e di giudizio: consapevole che la giustizia ordinaria ha gli strumenti adatti per intervenire laddove si configurassero reati penalmente perseguibili. Ecco perché ho sempre trovato intollerabili gli ostracismi, gli editti specialmente se pronunciati da chi è, direttamente o indirettamente, proprietario di televisioni e giornali. L'ultima puntata di Annozero è al centro di una intensissima polemica. In realtà, io che l'ho vista, non l'ho trovata particolarmente scandalosa. Ecco cosa ne scriveva, ieri, ne Il Manifesto la sempre brava Norma Rangeri:


Ci sono cose che non si possono dire, equilibri che non si devono modificare. La libertà di informazione è un bene sancito dalla Costituzione formale, ma sfigurato da quella berlusconiana. Lo dimostra il virulento attacco che la politica, nei suoi massimi rappresentanti istituzionali e di governo, ha sferrato contro la puntata di Anno Zero sul terremoto in Abruzzo. Per la sua natura strumentale e preventiva.
Chiunque abbia visto la trasmissione incriminata sa che la critica di Santoro alla Protezione Civile è stata circostanziata e testimoniata. Che la struttura di Bertolaso non avesse predisposto un piano di emergenza nella regione colpita, è evidente. Nessuna esercitazione, nessuno in Prefettura pronto a intervenire. Otto ore dopo la tragedia, alle 11,30 del mattino successivo alla grande scossa, i medici dell’ospedale non avevano ricevuto aiuto, e alle 6 del mattino non c’erano ambulanze disponibili. Sono i fatti testimoniati dai primari intervistati dagli inviati di Anno Zero e confermati dal sismologo più accreditato Boschi. Peccato che nessun telegiornale li avesse notati, e che solo i cronisti di alcuni giornali li avessero denunciati. Sensatamente, Emma Bonino, che non figura tra i filosantoriani, si chiede «Che cosa si contesta, visto che la libertà di espressione ha un solo limite: la falsità. E per questo c’è la magistratura».
La patente strumentalità delle accuse si lega alla necessità di prevenire, come insegna la strategia dell’editto bulgaro, qualunque forma di dissenso e di critica all’operato del governo da parte degli organi di informazione controllati dal premier. E’ un avvertimento per tutti i giornalisti Rai, è un preambolo al prossimo organigramma, alle nuove nomine con cui si sta mettendo a punto la task-force che gestirà la comunicazione del servizio pubblico. Colpire Santoro per educare tutti gli altri. Il consenso è una merce delicata, va prodotta, distribuita e difesa senza fare prigionieri.
In questa replica dell’editto berlusconiano, a differenza di sette anni fa, il clima politico del paese è cambiato, il centrodestra è diventato un partito unico che marcia compatto a difesa del monopolio dell’informazione. Il presidente della Camera si stringe al fianco del presidente del Consiglio, e i caporali (da Cicchitto a Gasparri) seguono. Tutti uniti contro l’anomalia della libertà di espressione e di informazione, consapevoli che incrinare la sfera del potere mediatico potrebbe riverberare su quel che resta dell’opinione pubblica. Con il rischio remoto di svegliare dal letargo il Pd, immediatamente disinnescato dall’abbraccio nazionale attorno ai morti. A dir la verità, la voce del democratico Merlo, vicepresidente della commissione di vigilanza, si è levata, ma per attaccare Santoro («incredibile trasmissione») e chiedere ai vertici Rai di riportarlo in riga. Più cauto e attento il presidente Zavoli. All’unisono i capi di viale Mazzini, il presidente Garimberti e il direttore generale Masi, hanno promesso di aprire un’inchiesta.
Del resto la prateria italiana in cui Berlusconi galoppa è un paesaggio spianato dall’assenza di leader e di partiti capaci di ostacolarne l’egemonia culturale e la presa proprietaria stabilmente incardinata sul conflitto d’interessi. Che ancora possano alzare la voce giornalisti, giornali, forze sociali e sindacali è un’eccezione alla regola.
Che la forza sia con voi...
Ed in attesa che l'amico Massimo riesca finalmente a liberarsi per farmi fare un giro sul suo aliante...



Etichette:

martedì 14 aprile 2009

SITARA



Oggi avrei voluto raccontarvi di come un semplice "lunedì di Pasquetta" si possa trasformare in occasione di conoscere persone davvero interessanti. Oppure dell'emozione che si prova, durante una breve passeggiata, nello scorgere uno scoiattolo appollaiato sulla cima di un albero in mezzo ad una distesa di colline colme di vigneti curatissimi. Oppure di una intensa conversazione, sempre ieri (quante cose si posson fare durante un giorno di libertà, nevvero?), sul concetto di economia sociale e solidale come nuova, possibile, forma di economia del futuro. Oppure del dramma vissuto da alcuni nostri concittadini, venerdi sera - venerdì santo, che improvvisamente si sono ritrovati senza casa e della loro compostezza e dei gesti di solidarietà straordinaria cui ho assistito da parte dei loro vicini. Ed invece stamani ho letto ne Il Corriere questa notizia. E ho deciso di offrirla alla vostra riflessione....

Difendeva le donne afghane

Uccisa dai killer talebani

Sulla sua testa pendeva una taglia molto alta, 300mila rupie pachistane (quasi 3mila euro). Tanto avevano messo in palio i talebani per vederla morta. Lei lo sapeva, sapeva di avere i giorni contati in Afghanistan e aveva deciso di lasciare il Paese, per la seconda volta dopo la fuga in Germania durante l'era talebana. Non ha fatto in tempo a mettersi in salvo Sitara Achakzai, nota per le sue battaglie in favore delle donne e consigliera provinciale a Kandahar, culla del potere talebano. L'attivista, 52 anni, è stata uccisa a colpi di pistola davanti a casa, «da due uomini in moto» ha precisato Ahmad Wali Karzai, capo del Consiglio provinciale e fratello del premier.
L'agguato si è svolto in pieno giorno mentre la donna tornava da una seduta consiliare. La prima a cui aveva partecipato dopo essere rimasta ferita il mese scorso nell'attacco kamikaze che aveva insanguinato l'aula, uccidendo tredici persone. Terrorizzata, Sitara aveva deciso di lasciare il Paese. «Aveva già un biglietto pronto per il primo maggio» racconta all'Independent un'amica. Si era recata in aula per congedarsi dai colleghi prima di espatriare. Una seduta d'addio, prima di volare lontano. Invece è stata uccisa. Ultima vittima della lunga serie di donne punite per aver osato sfidare il fondamentalismo dei talebani con la loro attività: come la ballerina Shabana massacrata a gennaio nella valle di Swat, la superpoliziotta Malalai Kakar, colpita a settembre a Kandahar, le giornaliste Shikeba Sanga Amaj e Zakia Zaki trucidate nel 2007, la politica Safia Amajan assassinata nel 2006. L'uccisione di Sitara, rivendicata dai talebani, è arrivata il giorno dopo che uno dei più alti responsabili religiosi della minoranza sciita ha difeso la controversa legge sulle donne voluta da Hamid Karzai e che lo stesso presidente, su pressione della comunità internazionale, ha promesso di rivedere. Secondo Mohammad Asif Mohseni le critiche occidentali contro il testo, che di fatto autorizza gli stupri in ambito familiare, sono «un'invasione culturale che parte dal principio che una cultura è meglio di altre».
Sotto choc Malalai Joya, attivista per i diritti umani e parlamentare eletta nel 2005 a soli 27 anni e poi sospesa: «Un altro brutale messaggio per le donne afghane» dice lei che vive nel terrore, mai nella stessa casa per più di 24 ore per sfuggire ai talebani che le danno la caccia. Parlando con il quotidiano australiano The Age lamenta che nonostante la liberazione delle donne fosse una dei principali obiettivi dell'invasione dell'Afghanistan nel 2001, la loro situazione si è continuata a deteriorare: «Il 90% è vittima di violenza domestica, l'80% dei matrimoni sono forzati». Azra Jafari, prima signora sindaco, eletta quest'anno, dice che la condizione delle donne è peggiorata rispetto al periodo del governo di transizione (tra il 2002 e il 2004), quando l'istruzione femminile era incoraggiata, le donne arrivarono al governo e conquistarono il 25% dei seggi in Parlamento. «Allora avevamo 3-4 ministre, ora ne è rimasta una soltanto» osserva. «Questo assassinio a sangue freddo mette in questione la direzione in cui si sta muovendo l'Afghanistan — riflette Wenny Kusuma, a capo del Fondo per donne afghane delle Nazioni Unite — Non c'è alcun rispetto per la legge di diritto». L'altro giorno, nel distretto del Khash Rud (al confine con l'Iran), un uomo e una ragazza sono stati fucilati in pubblico, «colpevoli» di una fuga d'amore quando lei era già fidanzata con un altro. L'ultima dimostrazione di come i talebani siano tornati a dettar legge.
Alessandra Muglia

14 aprile 2009

Che la forza sia con voi...

Sabato saranno alla "Fucina Controvento":




Etichette:

venerdì 10 aprile 2009

VIAGGI

Dalla newsletter di Andrea Causin:
Carissimi,
Sono rientrato in Italia oramai da qualche giorno e ho ripreso l'attività sia in Consiglio Regionale sia rispetto alle importanti scadenze elettorali che, come Partito Democratico, ci apprestiamo ad affrontare.
L'esperienza che ho avuto modo di fare in Ciad è stata molto forte e ha fatto maturato in me un grande rispetto per l'Africa e in modo particolare per il popolo Ciadiano, con il quale ho avuto modo di condividere ben 19 giorni. Durante la mia permanenza ho avuto modo di soggiornare per circa una settimana nella Capitale del Ciad, Ndjamena, città che conta quasi 2 milioni di abitanti, circa un quinto dellintera popolazione del paese, che è grande 5 volte l'Italia.
Questa prima parte del viaggio è stata molto interessante per comprendere le condizioni di vita in un contesto densamente abitato nel quale luce elettrica, fognature e acqua potabile sono un privilegio dell'1% della popolazione residente in città.
A Ndjamena sono stato accompagnato negli incontri istituzionali dalla dott.ssa Ermanna Favaretto, una Veneta che è console Italiano in Ciad e che svolge un ruolo non solo di rappresentanza diplomatica, ma anche di sostegno ai circa 250 italiani che sono nel paese, quasi tutti per ragioni umanitarie.
Ho avuto modo nella capitale di incontrare Mr. Yorngar, leader pacifista dell'opposizione democratica che è deputato della Repubblica del Ciad che si trova di fatto agli arresti domiciliari in precarie condizioni di salute, e il ministro per le infrastrutture Amoun Younousme con cui ho avuto un lungo colloquio durante il quale lesponente del governo ha avuto l'onestà di tracciare gli elementi di difficoltà sul piano della democrazia e sul piano dello sviluppo economico che gravano pesantemente sulla qualità della vita della popolazione.
Durante i 10 giorni successivi mi sono spostato nel sud del paese, dove la qualità della vita, soprattutto dal punto di vista delle risorse alimentari, è migliore rispetto a Ndjamena. Ho visitato la Diocesi di Dobà, il cui Vescovo, Mons. Michele Russo, è un comboniano che vive in Ciad da oltre 30 anni. Qui le missioni della chiesa cattolica sono presenti con un ospedale a Bebejà che da una risposta sanitaria a un territorio molto vasto, con la banca dei cereali che consente lo stoccaggio delle arachidi, del miglio e del riso, e con un dispensario medico in ogni villaggio dove si fa la prevenzione del SIDA (Aids), il test gratuito e la distribuzione gratuita dei farmaci retrovirali.
Nei giorni successivi, prima di rientrare a Ndjamena e dopo aver incontrato Jean Clode Bouchard, presidente della conferenza episcopale ciadiana e vescovo di Palà, ho avuto modo di visitare molti villaggi nel distretto di Gagal - Koeni, che confina con la Repubblica del Centrafrica.
Il viaggio in Ciad ha rappresentato per me una esperienza molto forte e ho raccolto alcune intuizioni che mi auguro, con l'aiuto dei molti amici e amiche che hanno seguito e condiviso questa esperienza, possano diventare progetti concreti a sostegno di quanto gli italiani e in particolar modo i nostri Veneti, missionari e laici, stanno già facendo nel paese.





A tutti voi, ai vostri affetti più cari un sincerio augurio di Buona Pasqua.

martedì 7 aprile 2009

DOMANDE

E' notte fonda e continuo ad osservare, sullo schermo della televisione di casa mia, le immagini devastanti di paesi distrutti. Solo il silenzio può fare da colonna sonora a quelle macerie, agli applausi speranti quando qualcuno viene estratto vivo, alle grida di dolore di chi ha perduto persone care. E però poi ti sorgono, spontanee, delle domande...
Mi chiedo, ad esempio, quando saremmo davvero un Paese normale dove se un tecnico ricercatore predice un terremoto - ancorché usando metodi empirici e non scientificamente assodati - anziché definirlo un "imbecille" non gli si chieda di mettere a disposizione della comunità scientifica il suo lavoro affinché lo analizzi e lo giudichi.
Mi chiedo quando saremmo davvero un Paese normale dove in una zona dichiaratamente e manifestamente sismica vengano adottate tutte le precauzioni necessarie ad impedire questo scempio di vite umane.
Mi chiedo quando saremmo davvero un Paese normale dove l'uomo smetta di violentare la terra, di trasformare campi in quartieri urbanizzati selvaggiamente pagando poi, carissimamente, il prezzo di questa ingordigia.
Mi chiedo quando saremmo davvero un Paese normale dove, terminata l'emergenza, vengano considerati eroi nazionali le migliaia di persone che hanno lasciato tutto - i propri affetti, il proprio lavoro - per correre in aiuto alle persone vittime di questa tragedia.
Mi chiedo quando saremmo davvero un Paese normale dove il "mai più" sia davvero questo: un "mai più" reale e concreto e non una violenta utopia.
Mi chiedo...ma non ho risposte. Forse le domande sono stupide. Come tutte le mie domande.
Che la forza sia con tutti gli abruzzesi!


venerdì 3 aprile 2009

2002/2007

Non capiscono, sai Gianni? Non capiscono nulla. Chi? Chi non comprende le paure, i dubbi ma anche la tenerezza di un abbraccio nella fede....

Ieri sera ti abbiamo ricordato nella "nostra" Chiesa, quella che Massimiliano chiama cappella viste le sue dimensioni. Quasi con stupore lui, io e Pierpaolo (ma c'erano anche Riccardo, Lilo, la Manu, la Sissi) abbiam scoperto che già 7 anni sono passati da quel 3 aprile del 2002 quando ci dissero che, a soli 30 anni di vita, non eri più qui...E ci vennero in mente le parole di Luca (24, 1-12)

Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno”

Mamma Mirella (hai una mamma forte, lo sai?) ha ricordato il calvario che, alla soglia dei 31 anni, vivesti per lunghi mesi. E poi, alla fine, i "tuoi" frati minori hanno cantato...

Vorrei dirti tante cose

ma sono rimaste

sospese così...

Ciao Gianni..

Te le dirò quando anch'io

sarò lì

Lì con te a ricordare

le birre insieme,

a parlarci di Dio, dei frati,

di te e di me.

Di quell'abbraccio

sul letto dell'ospedale;

di ciò che conta nella vita,

dell'amore,

di ciò che vale di più.

Grazie Gianni,

fratello ed amico,

accompagnaci per mano

alle sorgenti dell'infinito.

Hanno ragione, ciao Gianni, ciao fratello, ciao amico....







Che la forza sia con voi!

Etichette:

mercoledì 1 aprile 2009

SUITE 1742: ovvero il BED IN

Da La Repubblica:

"Io e John 40 anni fa a letto contro la guerra"


MONTREAL - "Non credo che il messaggio di John sia mai invecchiato. Non è una mostra fatta di nostalgia. Penso che il messaggio di pace che volevamo lanciare allora sia ancora estremamente attuale". Yoko Ono, 76 anni, introduce così la mostra che si inaugura domani a Montreal, in occasione dei quaranta anni dal "Bed In", la clamorosa e pacifica protesta che lei e Lennon misero in scena nel 1969 contro la guerra in Vietnam. E ci tiene a sottolineare che la distanza temporale tra quell'evento e oggi è irrilevante. "Non siamo qui per celebrare qualcosa che è avvenuto, ma per continuare a mandare in giro lo stesso messaggio, perché è ancora il tempo dell'azione e l'azione da fare è quella di portare la pace nel mondo. Ci sono molti modi per farlo, ognuno di noi può contribuire a fare in modo che il mondo che sia più pacifico. Innanzitutto immaginando la pace, pensando alla pace tutti i giorni. Immaginare crea la realtà, quando lo fai intensamente crei la pace, se tutti lo facessero davvero tutti i giorni il mondo sarebbe davvero più pacifico". Lo dovrebbero fare prima di tutto i leader politici... "No, la politica mi interessa in maniera relativa, perché i politici sono il riflesso di quello che noi facciamo. Io credo nei movimenti che partono dal basso. E noi per primi dobbiamo credere che sia possibile cambiare e creare la pace. Immaginare è ovviamente una cosa meditativa. Ma quando immagini la pace non puoi uccidere nessuno, immaginando la pace tu diventi la pace. Più del novanta per cento della gente del mondo vuole la pace, perché dovremmo adeguarci all'altro dieci per cento? La gente ha molto più potere di quanto creda. La maggior parte del nostro corpo è fatta di acqua, noi siamo connessi l'uno all'altro attraverso l'acqua, noi siamo acqua. Se le cose non vanno bene è perché la nostra acqua non è pulita. Ognuno di noi può pulire il suo spazio, se stesso, la propria acqua, e questo porterebbe ad avere acqua pulita, idee pulite, un mondo pulito, basta che ognuno di noi inizia a pensare in modo pacifico".
Il messaggio di John è ancora diretto alle generazioni più giovani?


"Sì. Allora facemmo il "bed in" perché era un modo rivoluzionario di portare il messaggio ai giovani, era un modo di far capire che tutti potevano farlo, una maniera pacifica per mostrare la pace. Credo che i giovani oggi possano fare altrettanto". Che ricordi ha di quella settimana a Montreal 40 anni fa? "Ricordi molto belli, molto intimi. Era la nostra luna di miele, ci eravamo sposati da poco. Ricordo, ad esempio, che c'era una luna bellissima e quando tutti andavano via io e John restavamo a lungo a guardare il cielo". Ma era anche una manifestazione politica, una forte dichiarazione contro la guerra. "Sì, ovviamente. Ma per noi era importante anche il gesto artistico, era importante il modo in cui lanciavamo il messaggio, il modo più pacifico di tutti, stando in un letto, mettendo in scena soltanto l'amore. E il clima attorno a noi era davvero fantastico". A Montreal, nella stanza del Queen Elizabeth, avete registrato "Give Peace a Chance"... "E' stato fantastico, non ci fu nessun problema. Ricordo i fan radunati sotto l'albergo, la stanza piena di gente e di tecnici e soprattutto tutti quelli che lavoravano nell'albergo, che furono gentilissimi e disponibili. Era un momento particolare della storia, noi siamo stati molto fortunati, facevamo qualcosa con amore e avevamo attorno amore. Era uno scambio d'amore con la gente vicino a noi, attorno a noi, e nel mondo". Quei giorni divennero molto importanti per lei e Lennon. "Possiamo dire che le vibrazioni che abbiamo ricevuto in quella settimana hanno contribuito alla nostra rinascita. Montreal è diventato per me un posto importante, perché lo diventò allora per le nostre vite. So che John è contento di essere qui con me".