giovedì 28 gennaio 2010

FANTASIA

Ebbene sì...le ho provate (quasi) tutte anche io. Specialmente quando c'era il compito di matematica (per quello di latino non serviva giacché a chi portava, in 5^, Italiano come prima materia, il 7 nella "divin lingua" era assicurato) la fantasia non mancava: dal funerale di qualche trisavolo morto improvvisamente ad un tragico incidente con l'autobus ad improvvise riunioni di classe oppure a telefonate di qualche amico (chissà perché sempre del "Pacinotti") che lanciava allarmi più o meno stravaganti (dalla bomba nei bagni alla...guerra chimica).
Però mai avrei pensato cvhe potesse accadere quanto successo in Puglia.
Leggete la notizia pubblicata dal Tgcom:
Scuola a fuoco per evitare verifica
Non volevano affrontare il compito in classe: così hanno pensato di dare fuoco alla scuola. E' accaduto a San Marco in Lamis (Foggia), dove due minorenni, uno di appena 13 anni, hanno incendiato i banchi di alcune aule e varie suppellettili. E' la terza volta che, in poco tempo, nella scuola vengono compiuti atti di vandalismo. Una settimana fa degli sconosciuti avevano allagato l'edificio lasciando aperti i rubinetti per tutta la notte.
I due ragazzi, secondo gli investigatori, sono entrati nell'istituto attraverso una porta posteriore e dopo aver appiccato il fuoco hanno anche messo a soqquadro vari locali. I carabinieri, dopo aver ascoltato le motivazioni dell'incendio, hanno denunciato il più grande mentre l'altro è stato riaffidato ai genitori. Nelle abitazioni dei due giovani sono state trovate le prove della loro colpevolezza: indumenti bagnati che sarebbero stati utilizzati per proteggersi dalle fiamme e degli scarponcini sporchi di fango.
Che la forza sia con voi!

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mercoledì 27 gennaio 2010

IPSE DIXIT

Da La Repubblica (articolo a firma di Massimo Giannini)

Prodi: "La gente mi chiede chi comanda nel Pd"
Bastonato in Puglia. Umiliato a Bologna. Spiazzato nel Lazio. Confuso ovunque. Romano Prodi, padre nobile del Partito democratico, osserva da lontano i tormenti della sua "creatura". "Tre settimane fa ero a Campolongo, a sciare. In fila per lo skilift la gente mi fermava e mi chiedeva solo questo: ma chi comanda, nel Pd?". Bella domanda. Il Professore non ha la risposta. E per la verità neanche la cerca: "Ormai sono fuori, e quando si è fuori si è fuori...", dice l'ex premier. Non si sogna nemmeno di "sparare sul quartier generale", una delle abitudini preferite della sinistra italiana di ieri e di oggi. Proprio lui, poi, l'unico che è riuscito a battere Berlusconi due volte, anche se poi non è riuscito a governare come avrebbe voluto. Ma la domanda resta, in tutta la sua drammatica semplicità. Chi comanda, nel Pd? Il buon Bersani, fresco segretario pragmatico e onesto, ieri ha messo la sua faccia sulla sconfitta pugliese e sul pasticcio bolognese. Ma il suo limite, in questa prima fase di gestione del partito, è stato un esercizio timido e intermittente della leadership. Quello che nella campagna elettorale delle primarie nazionali era stato il suo miglior pregio (la sana realpolitik emiliana, la forza operosa e tranquilla, la capacità di rassicurare gli elettori) nella campagna elettorale per le primarie è diventato il suo peggior difetto. Molte parole di buon senso, ma pochi messaggi che trascinano. Molte iniziative diffuse sul territorio, ma poca "gestione" delle partite locali complesse. Così, a tratti, ha alimentato il sospetto di lasciarsi "etero-dirigere": dalla "volpe del tavoliere" in Puglia, dalla Bonino nel Lazio, da Casini un po' ovunque.
Ieri, in direzione, nessuno l'ha processato per questo. La minoranza veltroniana e franceschiniana non ha infierito, ed ha evitato di ricadere nel vizio tafazziano preferito dal centrosinistra: il regolamento dei conti. Ma in conferenza stampa Bersani era solo, a fronteggiare le domande dei cronisti. Dov'era Massimo D'Alema, che in Puglia ha tentato con l'Udc l'ennesimo esperimento di laboratorio, spazzato via con le provette neo-centriste e gli alambicchi neo-proporzionalisti dai 200 mila elettori che hanno tributato un plebiscito a Nichi Vendola? E dov'era Enrico Letta, che il 4 gennaio in un Largo del Nazareno ancora deserto per le vacanze di Capodanno annunciò il no alle primarie e la candidatura unica di Francesco Boccia? Non pervenuti. E così l'impressione, che è di Prodi ma non certo solo di Prodi, è che alla fine il partito sia in realtà "sgovernato", e un po' in balia di se stesso. Il Professore non lo dice, e "per correttezza" (come ripete in continuazione) si guarda bene dal dare giudizi sulle strategie politiche di questi ultimi mesi e sulle scelte del segretario. Lui, tra l'altro, Bersani l'ha anche sostenuto e votato alle primarie. Ma il Pd è pur sempre il "suo" partito. Lo ha sognato e alla fine fondato. Vederlo ridotto così, oggi, gli fa male. "Sa cosa mi dispiace, soprattutto? È vedere che ormai sembra sempre più debole la ragione dello stare insieme...". Come dire: quello che manca è il vecchio "spirito dell'Ulivo", quel mantra evocato ossessivamente fino a due anni fa, a volte quasi come un esorcismo, che spinse e convinse i vertici di Ds e Margherita ad uscire dalla casa dei padri, e a fondere i due riformismi, quello di matrice laico-socialista e quello di matrice democratico-cristiana. Non che nelle stagioni passate quello "spirito" abbia soffiato così impetuoso. Ma è vero che oggi appare impalpabile. Quasi svanito, come dimostrano le piccole e ingrate diaspore di queste settimane, dalla api rutelliane e agli altri "centrini" cattolici. Dov'è finito il progetto? Dov'è finita "l'unità" che gli elettori invocano da anni? Di nuovo: Prodi non ha la risposta. Si limita a riproporre le domande. E con lui se le ripropone l'eroico "popolo del centrosinistra", che si mette diligente in fila, con un euro in mano, in ogni fredda domenica in cui la pur esecrata "nomenklatura" chiama: quale autodafè deve ancora accadere, prima che le magnifiche sorti e progressive del grande "partito riformista di massa" si riducano in rovine fumanti? Per il Professore, stavolta, c'è un dolore nel dolore. La spina nel cuore si chiama Bologna. Nelle dimissioni di Delbono c'è anche un po' di debacle prodiana. Era stato l'ex premier, a lanciare "l'amico Flavio" verso la candidatura a sindaco. Per forza, oggi, la sua uscita di scena brucia due volte. Prodi prova a girarla in positivo: "Prima di tutto, analizziamo la dimensione del problema. Di cosa si sta parlando? Non si distrugge la vita di un uomo, come è accaduto in questi giorni, per una storia come quella, per una manciata di euro...". E se gli fai notare lo "scandaletto", i due bancomat e il "cha-cha-cha della segretaria", il Professore non arretra. "Certo, doveva essere più accorto. Ma in questi giorni nessuno si è limitato a dire questo: gli hanno dato del delinquente, invece. Hanno parlato di limite etico travolto. Eppure altrove, per altri amministratori locali di centrodestra che ne hanno combinate di tutti i colori, nessuno ha gridato allo scandalo, e si è mai sognato di chiedere le dimissioni. Allora queste cose le vogliamo dire sì o no?". Appunto, le dimissioni. Proprio a Bologna, che già era uscita un po' malconcia dall'era Cofferati. "Ma anche le dimissioni, vede, confermano la differenza di stile di Delbono: ha compiuto un atto di responsabilità verso la città. Ora sarà più libero di dimostrare la sua innocenza, della quale sono non sicuro, ma sicurissimo. Non era obbligato a dimettersi, ma l'ha fatto. Ha messo il bene comune sopra a tutto, prima delle convenienze personali. Chi altri l'avrebbe fatto? La Moratti, forse?". E ora? Che ne sarà di Palazzo Accursio? Nei boatos, che riecheggiano sotto i portici del centro storico e nei conciliaboli del Bar Ciccio, c'è solo un nome che rimbalza, per la successione a Delbono. Ed è proprio il suo: Romano Prodi. Possibile? Il Professore ridacchia, e quasi sibila in uno slang emiliano che si fa più stretto: "Ma non ci pensi neanche un momento... Gliel'ho già detto: in politica o si sta dentro, o si sta fuori. E io dentro ci sono già stato anche troppo. Mi riposo, leggo, studio molto, faccio le mie lezioni qui in Italia e in Cina. E sono sereno così". Ma il Pd, Professore: che ne sarà del Pd? "Non lo so, speriamo bene...". Di più non gli si estorce, all'uomo che tuttora molti continuano a considerare un possibile "salvatore della patria", per Bologna e non solo. "Eh no - conclude lui - salvatore della patria no! Va bene una volta, va bene due volte, ma tre volte proprio non si può. Grazie tante, ma abbiamo già dato...".
Che la forza sia con voi!



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martedì 26 gennaio 2010

SUL CREDERE

Sabato sera il collettivo redazionale di Esodo ha organizzato un bell'incontro insieme ad un gruppo di lettori e simpatizzanti. In oltre due ore di dibattito (altissimo a dir poco data la presenza di intelligenze culturalmente davvero raffinate) ci si è interrogati verso quali, nuove, mete indirizzare quest'esodo cominciato 30 anni fa.
Esodo (non mi stanco di ripeterlo) è una rivista preziosissima perché fondata sul reciproco dialogo tra credenti (di qualunque confessione) e non credenti attorno a temi grandi e nobilissimi.
Alcuni interventi mi hanno colpito perché ruotano attorno ad una domanda che, in me, costituisce da diversi anni occasione di riflessione. Nella mia esperienza quotidiana sento taluni dirmi io sono credente ma non nella Chiesa. E' possibile disgiungere queste due dimensioni? E' possibile, in altre parole, riconoscere, da un lato, che Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi e dall'altro lato non riconoscere che questo Dio assunto a forma umana ha, di fatto, costituito la Chiesa (tu sei Pietro e su questa pietra io fonderò il mio regno)?
Ma allora, forse, non si tratta di un dubbio mal espresso? Per caso non è che il credere/non credere attenga non tanto alla Chiesa - cioè alla incarnazione nella vita quotidiana dell'insegnamento evangelico (giusto per fare un esempio: la centralità del mistero pasquale sta nel Cristo che, il Giovedi Santo, istituisce l'Eucarestia come supremo dono di sè - figura anticipatoria della Sua morte e resurrezione) - quanto piuttosto alle (o a talune) gerarchie ecclesiastiche? E per caso questa sorta di antinomia non è che possa risolversi nel riconoscimento che, al di la della maior ecclesia esiste anche una Chiesa minore che punta alla essenzialità e alla radicalità del messaggio evangelico, che si pone davvero e autenticamente a fianco degli umili non come segno di semplice solidarietà ma riconoscendo in essi gli unici e veri compagni di viaggio di quel palestinese che, oltre 2000 anni fa, è morto perdonando chi a quella morte lo ha condannato?
Che la forza sia con voi!

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lunedì 25 gennaio 2010

CHE DOMENICA!



Bella, bella domenica quella appena trascora (e magari fossero tutte così)... A San Siro grandissima lezione di calcio. Non c'è storia che tenga: Mourinho sarà pure straffottente, ironico, antipatico (ieri sera a Massimo De Luca che gli chiedeva: "è permaloso?", lui ha risposto semplicemente "sì"), con quella faccia un pò così (e i lettori veneziani immagino sappiano cos aintendo) ma è in assoluto il miglior allenatore del mondo. Restare per 72' in 10 e riuscire comunque a vincere (benché il Milan sia stato molto sotto tono) significa avere gli...zebedei. Ed è semplicemente incredibile il Marco Matrix Matterazzi che, per festeggiare e ricordandosi che è carnevale, indossa la maschera di Berlusconi. Grande! Chissà cosa avrà detto, da lassù, il buon Peppino Prisco....

Ma è stata una bella domenica anche per quel che è accaduto in Puglia e a Venezia. Dunque il popolo delle primarie nel Salento ha scelto: il candidato sarà il governatore uscente Vendola che ha (pesantemente) sconfitto Boccia (per'altro già battuto 5 anni fa). Oggi Massimo D' Alema (da molti considerato il principale sostenitore dell'ex margheritino Boccia) ha ammesso al Corriere: "probabilmente non ho capito cosa stava accadendo in Puglia"). Credo che quando una classe dirigente sbaglia clamorosamente scelta indicando un candidato che dimostra di non avere il gradimento anticipato degli elettori, significa semplicemente che ha perso totalmente la percezione della realtà. Ora l'UDC comunica che, in Puglia, si alleerà col centrodestra. E anche su questo una riflessione è d'obbligo: il PD chieda, come prerequisito prima di ragionare sulle alleanze, ai partiti con cui vuole fare un percorso elettorale/amministrativo congiunto il rispetto di questo metodo di individuazione dei candidati (metodo che a me, comunque, continua a non piacere).

A Venezia invece l'avversario di Renato Brunetta sarà Giorgio Orsoni che batte (piuttosto nettamente) Gianfranco Bettin e Laura Fincato. In questo caso il PD aveva mostrato di interpretare bene il pensiero di militanti e simpatizzanti indicandolo fin da subito come proprio candidato. Orsoni è persona moderata, dotato di grande intelligenza politica. Il suo difetto? Non è particolarmente conosciuto ma ci sono 2 mesi di campagna elettorale per recuperare questo gap.

In Veneto (ed è l'altra buona notizia) il PD fa la scelta giusta indicando in Giuseppe Bortolussi lo sfidante di Zaia. Bortolussi è l'uomo giusto: dotato di grande onestà intellettuale, profondo conoscitore del mondo delle piccole e piccolissime imprese, con idee chiare su molti dei temi veri e autentici che interesseranno la nostra Regione nei prossimi anni. E se Galan (come credo) certamente non si spenderà moltissim0 per il Ministro dell'Agricoltura vuoi vedere che....

E se anche stavolta, invece, sarà debacle elettorale a noi che c'importa? Abbiamo pur sempre Josè Mourinho....



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venerdì 22 gennaio 2010

(IN)GIUSTA GIUSTIZIA

Potere e diritto
di EZIO MAURO
Dunque il Padre Costituente era un Padre Deformante. La norma del cosiddetto processo breve scardina il diritto dei cittadini ad avere giustizia, il dovere dello Stato di amministrarla, l'interesse del Paese ad una regola di base della convivenza civile come l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Soprattutto, con l'esecutivo che usa come un'arma personale il legislativo per bloccare il giudiziario, quella norma vanifica il principio della separazione dei poteri, senza il quale, come diceva la Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789, una società "non ha una costituzione".Questo è il vero punto su cui istituzioni, partiti e cittadini devono riflettere. È ben chiaro che le regole del gioco di un sistema si cambiano tutti insieme. Ma a patto che nessuno, intanto, manometta per sua personale urgenza alcune regole fondamentali, prima ancora che il confronto abbia inizio. Chi lo fa, è inaffidabile per due ragioni: perché nessuna riforma condivisa inizia con un colpo di mano, e soprattutto perché nessuna stagione costituente può fondarsi su un salvacondotto.Con questa legge di privilegio, Berlusconi ha in realtà già riformato da solo il sistema, a forza, sovraordinando il suo potere al diritto, mentre il concetto politico-giuridico di Stato punta ad una sintesi tra potere e diritto, eliminando la forza dall'ambito delle istituzioni. Siamo davvero di fronte ad un "brusco spostamento tra politica e giustizia". La prima regola democratica è prenderne atto, ed essere conseguenti.
Che la forza sia con voi!

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giovedì 21 gennaio 2010

W LA S(Q)UOLA????

Un mio insegnante di lettere, al Liceo, esortava chi non aveva particolare amore per l'italiano (cosa non scandalosa giacché si era in un Liceo Scientifico) sostenendo che il "saper scrivere" nella liungua madre era utilissimo non foss'altro che per saper compilare un curriculum vitae...
All'Università ricordo ancora come alcuni docenti si rammaricavano perché, di fatto, l'unica "prova scritta" cui erano tenuti gli studenti di Lettere era la tesi di laurea così che spesso ci si trovava di fronte ad aspiranti insegnanti che non andavano particolarmente d'accordo con la materia che sarebbero stati chiamati ad impartire alle nuove generazioni.
Ora questo grido d'allarme è ripetuto sempre più spesso. A partire dall'Accademia della Crusca per finire proprio con i più importanti atenei italiani che, per correre ai ripari, impongono alle matricole test di conoscenza dell'italiano. Oggi apprendiamo che, con un emendamento al disegno di legge sul lavoro collegato alla Finanziaria, di fatto già a 15 anni si può interrompere gli studi preferendo il lavoro al completamento della scuola dell'obbligo (innalzata, come si sa, a 16 anni).
Mi pare una grandissima sciocchezza. Non solo a me. Ma ad esempio all'ex ministro Beppe Fioroni che oggi a Repubblica dichiara L'Italia è un paese che ancora ha pochi laureati e il 40% di coloro che hanno un basso livello di istruzione - il diploma di terza media per intenderci - resta più a lungo senza lavoro e, spesso (aggiungo io) poi ha molte più difficoltà di ricollocarsi in caso di prematura cessazione del rapporto lavorativo in atto. Nè mi pare bastevole la "giustificazione" che il ministro Sacconi ("il 5,4% dei ragazzi tra i 14 e 16 anni né studia né lavora" ha dichiarato a Il Sole24ore) ha adotto per spiegare l'utilità dell'emendamento: se anziché Tremonti, infatti, a decidere le politiche scolastiche in questo Paese fosse il vero ministro della pubblica istruzione si potrebbe/dovrebbe, anziché tagliare e tagliare, investire nella scuola per individuare percorsi alternativi (che uniscano il sapere pratico con l'istruzione) da offrire a quanti non hanno voglia di studiare. Perché se è lecito che un adolescente non abbia amore per lo studio e per i libri, è una insipienza che i grandi non si preoccupino del suo futuro. Che non è nell'oggi per oggi ma in tutta la vita.
Che la forza sia con voi!


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mercoledì 20 gennaio 2010

IMBARAZZANTE

Da Il Corriere della Sera (a firma di Mario Gerevini)


Marino e la nomina a Bologna saltata per le primarie

L’attività di chirurgo di Ignazio Marino sarebbe stata ostacolata quando decise di candidarsi alla segreteria del Partito democratico in concorrenza con Pierluigi Bersani e Dario Franceschini. È quanto emerge da alcune intercettazioni telefoniche di un'inchiesta giudiziaria calabrese su tutt'altri temi. Alcuni dirigenti del Servizio sanitario regionale dell'Emilia Romagna avrebbero montato un’azione di boicottaggio ai danni del senatore Pd, chirurgo notissimo, uno dei maestri del trapianto di fegato. L'obiettivo (raggiunto) era sbarrargli le porte del S.Orsola-Malpighi, policlinico universitario nel cuore di Bologna con un reparto all’avanguardia nei trapianti di fegato. Con il S.Orsola, struttura pubblica, il medico aveva già raggiunto un’intesa. «Marino arriva al S.Orsola», titolavano i giornali bolognesi a fine aprile 2009. E c’era l’ok dell’assessore regionale alla Sanità, Giovanni Bissoni (Pd). Poi, a luglio, la candidatura alle primarie del Pd. A quel punto che cosa succede?
Lo raccontano le intercettazioni captate in un’inchiesta mille chilometri più a sud. Il pm Pierpaolo Bruni della Procura di Crotone indagando su presunti illeciti nella realizzazione di due centrali termoelettriche incappa nelle conversazioni «bolognesi», ritenute potenzialmente «apprezzabili» sotto il profilo penale. Dunque potrebbe essere aperta un’inchiesta specifica. «Le conversazioni mettono in risalto — scrive la procura crotonese — le azioni ostruzionistiche che alcuni dirigenti dell’Azienda sanitaria di Bologna avrebbero posto in essere nei confronti del senatore Ignazio Marino, candidato alle primarie del Pd. In particolare non gli sarebbero stati perfezionati i contratti che lo avrebbero legato, quale chirurgo, al policlinico S. Orsola di Bologna, per essersi contrapposto all’onorevole Luigi Bersani nella corsa all’elezione di segretario del Pd». Il telefono intercettato è quello di Giuseppe Carchivi, commercialista originario di Crotone ma con studio in provincia di Siena. È un professionista molto quotato e con relazioni politiche ad alto livello. Il 25 agosto lo chiama un «professore » (omettiamo il nome) chirurgo al S.Orsola.
GIUSEPPE CARCHIVI: «Io penso che sia rimasto molto male (Marino, ndr) per la questione di Bologna»
PROFESSORE: «Sì, bè, non è che poi han detto no ...L’han rimandata, capito? Però sono quei rinvii ... Lui c’è poco da fare, s’è schierato da un’altra parte di dove stanno questi». La mattina del 20 agosto 2009 e in altre occasioni il commercialista riceve telefonate da un numero interno del S. Orsola. È un altro medico amico (identificato negli atti), sempre chirurgo del policlinico, a stretto contatto con l’équipe del professor Antonio Daniele Pinna direttore della chirurgia dei trapianti di fegato e multiorgano, quella dove Ignazio Marino avrebbe dovuto operare. CHIRURGO (C): «... Ti volevo raccontare una cosa, successa la settimana scorsa ... dopo lo schieramento politico di Marino ».
GIUSEPPE (G): «Eh Eh».
C: «Hanno fatto il volta faccia (...) in sostanza i vertici regionali, che come tu sai si sono schierati con Bersani, e quindi Marino non è più gradito qua ... il mio direttore generale Cavina (Augusto Cavina dg del S.Orsola, ndr) lo ha chiamato dicendogli "sa...abbiamo difficoltà di sala operatoria, problemi di consiglio di facoltà, sa che c’è un centrodestra molto forte a Bologna", pensa che cazzate che gli ha raccontato ... io l’ho ascoltata la telefonata: insomma, conclusione, gli ha detto che al momento non se ne fa niente. E lui (Marino, ndr) m’ha detto: "ma allora adesso come faccio, io ho i miei pazienti da operare...". Insomma lui è rimasto a piedi, non ha una sala operatoria, con i pazienti da operare. Allora mi ha detto: "Mi devi aiutare a trovare un’altra soluzione". Io che cazzo di soluzione gli trovo, Giuseppe? Dove lo faccio operare, a casa mia? Non so come aiutarlo perché, capisci, ha fatto una scelta politica che lo ha messo in una certa luce con l’entourage di questa zona».
G: «Che tristezza».
C: «Eh, che tristezza, lo so però così è andata la storia. Ti ripeto, in realtà ufficialmente non è mai stato detto questo. Ufficialmente è stato detto che abbiamo problemi di sala operatoria, che le sale operatorie sono troppo piene che ... insomma tutte cazzate, ovviamente, tutte minchiate ...». G: «A Siena potrei aiutarlo, ma Siena è come Bologna ... E Pinna (direttore reparto trapianti, ndr), che dice?».
C: «Pinna ha detto che (Marino, ndr) ha fatto una mossa che gli ha tagliato le gambe, Bissoni (assessore regionale alla Sanità, ndr) era favorevolissimo all’operazione ».
G: «Ma come si può nella sanità italiana andare avanti?»
C: «Però è così, Giuseppe ... questo è uno che, si potrà dire tutto, ma sicuramente il fegato lo sa trattare. Oh, e questi lo tagliano perché, capito?, per fare le vendette trasversali. (...) È un’assurdità che un chirurgo di quella portata non abbia una sala operatoria ... che c’ha i malati che aspettano... Marino aveva in mano un contratto che doveva solo essere controfirmato. E si è fermato tutto».
G: «E se lo controfirmasse?»
C: «Marino me l’ha detto: se devo venire al S.Orsola che c’è una guerra nei miei confronti ... io mi troverò un altro posto ...Tra l’altro non chiedeva manco un cazzo di soldi: s’era fatto un contratto da 1.500 euro... tu calcola che ogni ritenzione epatica che faceva Marino, il S. Orsola intascava 25.000 euro e gliene dava 1.500...» (...)
G: «Renditi conto che qui siamo al paradosso ... andare ad aiutare il Presidente della commissione d’inchiesta (sulla sanità pubblica, ndr), uno dei migliori chirurghi al mondo, a trovare una sala operatoria. (...) Io ne parlo con Ignazio, sarei per fare una rivoluzione ... questo è uno scandalo nazionale».
Che la forza sia con voi!

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lunedì 18 gennaio 2010

SARA VERO?

Da lCorriere.it:

Oggi è il giorno più triste dell'anno


MILANO - «Odio i lunedì», cantava Vasco Rossi. E mai canzone potrebbe essere più azzeccata per spiegare la giornata di oggi, considerata il «Blue Monday» per eccellenza, ovvero il giorno più infelice e triste dell’anno.
IL CALCOLO - Colpa di una serie di fattori contingenti – dal freddo polare di questi giorni ai conti in rosso per le spese di Natale, dalla consapevolezza che per ripianare i debiti serviranno molti soldi all’impossibilità di restare a casa dal lavoro vista la recessione - che spingono l’umore sotto i tacchi e fanno schizzare la depressione alle stelle. E che non ci sia possibilità di scampo lo dice anche la matematica, perché il «Blue Monday» è, infatti, il risultato di un’equazione ideata dal professor Cliff Arnall del «Centre for Lifelong Learning» , un’organizzazione inglese che effettua studi sulla qualità della vita, dove il parametro W indica le condizioni meteo, D i debiti contratti durante le feste, T il tempo trascorso dal Natale, Q la prossima busta paga ed M rappresenta un coefficiente emozionale legato all’incognita N, ovvero la voglia di reagire. E la conferma del fatto che oggi 18 gennaio siano davvero in pochi quelli che hanno voglia di alzarsi dal letto arriva da una ricerca condotta dall’inglese FirstCare, società che aiuta le aziende a combattere il fenomeno dell’assenteismo, particolarmente accentuato proprio in questa giornata.
«"Il Blue Monday" è stato descritto come il giorno più deprimente e negativo dell’anno – ha spiegato al «Daily Mail» l’amministratore delegato, Aaron Ross - e, non a caso, in questa giornata l’assenza dal lavoro raggiunge livelli molto più alti rispetto ad altri periodi. E visto che l’assenteismo costa molto alle aziende, noi consigliamo sempre ai datori di lavoro di mostrare il loro pieno appoggio agli impiegati durante il mese di gennaio, così da evitare che restino a casa«. L’anno scorso, il «Blue Monday» fu il 19 gennaio, mentre il prossimo anno sarà il 17. Ma non disperate: come previsto sempre da Arnall con un’analoga formula matematica legata al trascorrere del tempo all’aria aperta (O), alla natura (N), all’interazione sociale (S), ai ricordi delle vacanze estive durante l’infanzia (Cpm), alla temperatura (T) e all’aspettativa delle vacanze in arrivo (He), a giugno festeggeremo il giorno più felice dell’anno. Non resta che preparare le calcolatrici.
Che la forza sia con voi



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sabato 16 gennaio 2010

UOVA PAZZE

Dal Tgcom:

Coltiva marijuana per le galline
Stupefacente storia a Pergine Valsugana, in provincia di Trento. Un contadino 82enne è finito sotto processo per avere coltivato marijuana nel suo orto. Davanti al giudice l'anziano si è giustificato, sostenendo che "le piante erano soltanto per le galline". Il Gip del Tribunale di Trento, Carlo Ancona, ha concesso all'avvocato dell'anziano agricoltore il rinvio per dimostrare che l'82enne non è un "produttore di droga".
"L'uomo coltivava le piante per dare da mangiare alle galline utilizzando la 'cannabis sativa', proprio come si faceva una volta nelle valli trentine, sia come fibra al posto del cotone, sia come antiparassitario biologico, sia come mangime per gli animali da cortile", ha spiegato il legale. Il caso - ricorda il quotidiano l'Adige che ha riportato la notizia - risulta problematico dal punto di vista penale perché in materia vige una rigida disciplina che non distingue tra chi coltiva cannabis per usi legati all'assunzione di stupefacenti e chi la fa crescere per motivi analoghi a quelli del contadino trentino (o per scopi scientifici). A denunciare la presenza sospetta delle piante vicino a insalata e pomodori dall'82enne è stato un vicino, che ha segnalato il caso alla Guardia di Finanza, poi intervenuta per un sopralluogo e attivatasi in seguito per la relativa denuncia all'Autorita' giudiziaria.
Che la forza sia con voi!

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venerdì 15 gennaio 2010

TESTIMONIANZA

Dal blog di don Giorgio de Capitani:

Io prete sposato, iscritto a Rifondazione.
Quando arriva la malattia…
7 gennaio 2010
di Gianni Russotto
Mi presento. Ho 69 anni e vivo a Genova. Sono iscritto alla mailing list di “Noi siamo Chiesa”. Sono un prete sposato. Ordinato nel ‘68, stanco di una Chiesa che predicava bene, ma non ti lasciava libero di vivere secondo i dettami del Concilio Vaticano II. Stufo di una società borghese e capitalista, partii per il Cile, in un quartiere molto povero.
Ci vissi 11 anni: 5 anni come parroco e 6 anni come operaio, sposato ad una cilena, da cui ho avuto 2 figli. Rientrai in Italia nell’87 per far conoscere la mia nuova famiglia ai miei genitori. Scoprii che mio padre aveva l’Alzheimer. Era molto anziano, gli davano poco tempo di vita. Decidemmo restargli accanto il più possibile, finché, scaduti i biglietti di ritorno in Cile, ci trovammo costretti a restare in Italia. Vissi per mesi come strabico: il mio corpo in Italia, il mio spirito tra i poveri dell’altro continente.
Attualmente ed in breve. Faccio parte di una comunità cristiana nel mio quartiere (da 22 anni!), pur partecipando all’Eucaristia domenicale nella parrocchia di don Paolo Farinella. Sono iscritto a Rifondazione Comunista dalla sua nascita: mi pareva l’unico partito anticapitalista e alternativo, non altalenante. Ho collaborato a far nascere nel 2002 un Comitato per la Pace “Rachel Corrie, Valpolcevera”, svolgendo varie attività di sensibilizzazione, tra cui tre marce per la pace da Isola del Cantone (paese della mia prima esperienza parrocchiale) a Genova Centro.Mi ha profondamente colpito e commosso la testimonianza di don Sandro Artioli, prete fedele alla propria vocazione di seguace di Gesù. Chiarissimo… Mi lascia tuttavia addolorato la sua attuale sofferenza a causa della malattia.
Dice: “Oggi i poveri stanno aumentando, sono oltre 1 milione: ogni giorno muoiono 30 mila bambini senza cibo e senza casa. Se io non avessi la tragedia della mia testa, senza memoria e molto dolorante, mi dedicherei a questi poveri del mondo, dando loro quello che posso”. Non vorrei apparire retorico, ma Sandro Artioli non ha bisogno di “dedicarsi ai poveri del mondo”. Ne è già parte a pieno titolo: è quello che ha fatto Gesù, facendosi povero tra gli ultimi e condividendo la sua vita tra essi e con essi.
Lo sento sincero quando scrive che “fin da bambino, e poi nel seminario, io ho capito che Gesù proponeva di mettersi in basso e aiutare i poveri e i massacrati”. E ha realizzato la sequela di Gesù dal momento che confessa che ha “fatto 27 anni di lavoro molto pesante perché, spinto dal mio Gesù, volevo affiancarmi agli operai più massacrati. Ho subito cinque infortuni (schiena, due braccia, ginocchio, mano)”.
Non solo. Dopo tanti anni che ha vissuto da povero tra i poveri, adesso ha una sofferenza in più: la malattia. Ed é più simile a tanti poveri che soffrono per malattie causate dalla loro situazione di povertà.
Un anno fa, quando scoprii d’avere un tumore al colon, ne ero stranamente contento: finalmente anch’io potevo partecipare delle sofferenze di tanti ammalati. Affrontai l’intervento chirurgico con gran serenità, affidandomi ai medici come al Padre stesso, il quale credo che non fa miracoli, ma che agisce attraverso gli uomini (questi sono i suoi angeli!). Fu allora che mi venne spontaneo correggere le parole bibliche di Giobbe, che mi parvero come una bestemmia, anche se involontaria: “Dio dà, Dio toglie: sia lodato il Signore”. No, mi dissi: Dio è amore quindi sempre dà, mai toglie. Chi ci toglie vita o ce la diminuisce è l’inevitabile limite umano, come nel caso di una malattia, o di un incidente; oppure, molto spesso, la cattiveria degli umani, come nel caso dei milioni di persone impoverite dal nostro ingiusto sistema di vita, contro il quale spesso ci scagliamo solo a parole, mai con uno stile di vita più essenziale e meno consumista.
In conclusione: mi tolsero un pezzo di colon, passai in ospedale 15 giorni senza mai una linea di febbre. Ho fatto la chemioterapia: accettai una forma sperimentale e intensiva di soli 3 mesi. Mi risparmiarono l’ultimo ciclo a causa di una forte infiammazione alle mucose orali e intestinali che mi impedivano di assimilare cibo. Persi rapidamente 12 kg di peso e fui obbligato a ricoverarmi nuovamente… Ad agosto ero al Campo Famiglie con la mia Comunità Cristiana. A settembre ero sui monti a camminare. In 4 giorni percorsi più di 60 chilometri attorno al Monviso: erano la migliore prova della mia ripresa. Da allora ho fatto altri due controlli con esami medici: pare che tutto sia tornato alla normalità.
Certo: di questo ringrazio il Padre. Ma lo faccio con grande delicatezza e timidezza: perché io sono salvo e Michele, un amico di 48 anni, è morto la vigilia di Natale per un tumore? Perché io sto bene e don Sandro continua a soffrire? È un mistero insondabile. Forse, per la Comunione dei Santi che ci lega, devo ringraziare anche don Sandro e le sue sofferenze se io e tanti altri stiamo meglio di salute! Forse, proprio per la stessa Comunione che ci lega, io dovrò continuare a fare quello che don Sandro vorrebbe fare, ma non può: lavorare e lottare per un mondo più fraterno ed Umano…
Insomma, io ringrazio e prometto di averlo sempre presente in spirito e di agire anche in suo nome… che è anche il nome di Gesù, povero e sofferente.
Che la forza sia con voi

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giovedì 14 gennaio 2010

DIASPORA?

Da Il Corriere della Sera


ROMA - Pd addio. Enzo Carra ha rotto gli indugi: lascia il partito per lavorare alla costituente di centro con Pier Ferdinando Casini. Lo seguirà un altro deputato, Renzo Lusetti.

Onorevole Carra, com’è maturata la sua decisione?
«Ho deciso stasera (ieri per chi legge, ndr). La candidatura di Emma Bonino è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, anche se lei, personalmente, mi sta simpatica. Ma come potevo io dire ai miei elettori, che vengono dal mondo cattolico, di votarla? Per me sarebbe stato impossibile».
Comunque lei era inquieto da tempo.
«Sì e mi ero dato del tempo per pensare. Ora quel tempo è scaduto. Confesso che mi sento un po’ depresso e triste. Ma forse il vulnus del Pd risale al suo atto di nascita. Lo hanno messo in piedi in fretta e così facendo hanno anche fatto cadere il governo Prodi. Sono state delle modalità che non hanno portato bene a nessuno».
Onorevole, lei parla del disagio dei cattolici per Bonino, ma Franco Marini dice che per quel mondo la candidatura di un’esponente radicale non è un problema.
«I cattolici che dicono così lo fanno per perfidia personale nei confronti di Bersani. Stia sicura che sono già pronti a imputargli la sconfitta. Del resto c’è tanta gente che sta aspettando le Regionali e spera in un insuccesso. Avrei potuto fare anche io così, ma non è nel mio stile, non l’ho mai fatto in vita mia. Detto questo, mi dispiace molto dover lasciare il Pd».
È bizzarro sentire questa affermazione da uno che sta andando via.
«Io credo che un vero Pd serva al Paese».
E allora perché se ne va?
«Penso che nel breve e nel medio periodo persone come me non riescano a influire su questo partito che è dilaniato dalle lotte interne tra gli ex ds, di cui, sinceramente, sfuggono le logiche. Non c’è più politica. E il partito è in preda all’anarchia, basti pensare a quel che è successo nel Lazio e in Puglia. Io avevo posto delle domande politiche a Bersani, lui non ha ritenuto di dovermi rispondere, forse aveva cose più importanti da fare, e io, in tutta umiltà me ne vado, ma continuo a stare all’opposizione e a cercare di lavorare in maniera costruttiva. Credo di riuscire a trovare uno spazio in cui posso essere utile».
E dove andrà, onorevole Carra?
«Ho accettato la proposta di costruire la costituente di centro che mi è stata fatta da Casini, Cesa e Pezzotta. In fondo, è una sorta di ritorno a casa. Pier Ferdinando lo conosco da tanto tempo: io ero il portavoce della Dc e lui il responsabile della propaganda».
Un altro esponente del Pd che va con Casini, questo non migliorerà i rapporti tra quel partito e l’Udc.
«E perché? Il disegno di D’Alema e Bersani è quello di creare uno schieramento di centrosinistra con l’Udc, quindi io, in fondo, continuerò a lavorare per quel progetto».
Con lei andrà via qualche altro deputato?
«Domani (oggi per chi legge, ndr) farò una conferenza stampa con Renzo Lusetti e con un gruppo di amministratori locali del Pd. Comunque, da quel che sento, sono molti i cattolici e gli ex Margherita che in questo momento sono a disagio nel Pd».
Scusi l’insistenza, ma dentro il Pd c’è anche tanta gente come Marini che sostiene di non trovarsi a disagio.
«Io nella mia vita non ho un prezzo a cui posso essere comprato. Se anche mi avessero offerto, chessò, il posto di responsabile del dipartimento informazione avrei agito così, non avrei preso quel posto per fare poi il sabotatore interno. Marini ha chiesto le chiavi di casa del Pd a Bersani, io non ho bisogno di farlo. Anzi spero di poter offrire a Pier Luigi le chiavi di casa mia e di festeggiare insieme la vittoria di un nuovo centrosinistra».
A proposito di Bersani, ha avvertito il segretario delle sue intenzioni?
«No, ho maturato questa decisione solo qualche ora fa. Stasera ne ho parlato con Dario Franceschini. Lui è il capogruppo dei deputati, oltre che il candidato alla segreteria che io avevo sostenuto, e mi sembrava corretto farlo».
E adesso, onorevole Carra?
«Adesso ho voglia di fare politica. Di non assecondare il giorno per giorno, come sta facendo in questo momento il Pd».




Che la forza sia con voi!

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mercoledì 13 gennaio 2010

TAFAZZI

Un Partito che si proponga come forza di governo di un Paese e come guida di una coalizione, credo debba avere alcune imprescindibili caratteristiche: l'autorevolezza, la referenzialità, la capacità di elaborazione programmatica. Deve inoltre poter contare su una classe dirigente che ha preventivamente saputo costruire con percorsi formativi ed esperienziali. Se poi questo partito non gode, attualmente, di grande salute elettorale ma da anni ormai è semplicemente costretto a rincorrere gli avversari, deve anche avere l'umiltà di non sclerotizzarsi sulle regole e sugli statuti. Ciò che sta invece accadendo in materia di candidature per le imminenti elezioni regionali, dimostra come il progetto politico del Partito Democratico è ben lungi dal realizzarsi. Ovviamente la responsabilità non può essere ascritta al "povero" Bersani alla guida di questa corazzata da nemmeno tre mesi ma sulla fisiologica incapacità di decidere. E di decidere non col bilancino quanto piuttosto scegliendo chi può realizzare (o almeno provarci) l'obiettivo che ogni partito ha o dovrebbe avere: vincere le elezioni.
In Umbria la presidentessa uscente, Maria Rita Lorenzetti (a scanso di equivoci, bersaniana doc) è stata un'ottima presidentessa. A dirlo un recentissimo sondaggio che la piazza al secondo posto fra i 100 politici più apprezzati dalla cittadinanza. "Purtroppo" è al secondo mandato ed uno scellerato statuto regionale (uguale a quello del Veneto) impone di vietare di ripresentarsi dopo due mandati consecutivi. Ora: se il PD fosse al 35%, se fosse certo di vincere nella maggioranza delle regioni in cui si vota, si potrebbe "rischiare" un rinnovamento. Ma là dove il candidato è naturaliter vincente?
In Lazio assistiamo ad un'altra particolarità del mio partito: Emma Bonino si candida per i radicali e sembra che questa candidatura diventi anche quella del PD incurante del fatto che il Lazio è regione molto particolare ma soprattutto che, dall'altra parte, vi è una buonissima candidata, la Polverini.
In Puglia lo stesso D'Alema (oggi a Il Corriere della Sera) dichiara di non capirci più nulla. Vendola (amici pugliesi di destra mi dicono abbia governato bene) chiede le primarie, il PD rifiuta (capito? Fino all'altro giorno facevamo primarie anche per le assemblee di condominio) e sceglie Boccia che da Vendola fu già sconfitto nelle precedenti primarie di 5 anni fa.
In Veneto, infine, assistiamo alle "autocandidature": poco importa che gli organismi di partito ci siano, che ci siano anche gli iscritti (cui qualcuno, prima o poi, dovrà spiegare perché diavolo li abbiamo convinti ad iscriversi se non hanno praticamente alcuno strumento decisorio), la sindaca di Montebelluna si candida e, al solito, spiazza una classe dirigente che, mentre il centrodestra ha ormai deciso il candidato, a 74 giorni dalle elezioni non ha ancora deciso chi scegliere (e fosse per me che avrei persino avuto la spregiudicatezza di recuperare il soldato Galan sceglierei Bortolussi come candidato presidente e De Poli come vice col compito, però, di salvaguardare la coalizione di centrosinistra al completo...altrimenti col cavolo che si vince).
Mah....
Che la forza sia con voi!
P.S.: dimenticavo: in Abruzzo chi chiede scusa ad Ottaviano Del Turco che, secondo un rapporto dei carabinieri, non aveva favorito le cliniche private (da La Stampa)????????

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martedì 12 gennaio 2010

NANI E BALLERINE

Ieri sera sono riuscito a seguire la puntata (che, bontà sua, Mamma Rai ha trasmesso in prima serata) de La storia siamo noi dedicata a Benedetto - Bettino - Craxi. Ne ho ricavato alcune impressioni, soltanto abbozzate...
La prima riguarda le fonti documentali: ricostruire la "storia contemporanea" è sostanzialmente compito agevole solo e soltanto se si dispongono di TUTTE le fonti. Viene facile ricostruire la figura politica del Presidente del Consiglio socialista, riesce meno (molto meno) facile ricostruire, ad esempio, il ruolo dei servizi segreti in materia di terrorismo (e si legga il bellissimo libro di Giovanni De Luna Le Ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria, edito da Feltrinelli) ove gli storici si scontrano quotidianamente con un perpetrato segreto di stato che impedisce loro (e, attraverso loro, a noi) di ricostruire cosa realmente avvenne nel ventennio 1970/1990 (con purtroppo i prologhi degli omicidi D'Antona e Biagi): condizione, a mio avviso, imprescindibile onde chiudere definitivamente quell'oscuro capitolo.
La seconda: credo (ma è opinione assolutamente personale) che Craxi sia stato uno statista nel vero senso della parola. E credo lo abbia dimostrato soprattutto con la cosiddetta crisi di Sigonella . Uomo pragmatico, al limite (talvolta superato come il famoso caso della staffetta) della spregiudicatezza, lo ritengo, però, profondamente di sinistra: e ancora oggi continuo a chiedermi del perché molti socialisti siano confluiti nel centrodestra.
La terza: la prima repubblica è finita in maniera a dir poco ingloriosa. E però rivedendo i volti di Craxi, Occhetto (sì, ci metto pure lui), Spadolini, Berlinguer, Rumor, De Mita, mi viene davvero da pensare alla differenza tra quella classe politica e l'attuale, la cui statura è - francamente - sensibilmente inferiore.
Che la forza sia con voi!

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lunedì 11 gennaio 2010

MADRI

Da Il Corriere della Sera

di Isabella Bossi Fedrigotti


Ammalarsi, non curarsi per paura di perdere il lavoro, morire: succedeva nei romanzi di Dickens ma, naturalmente, anche nella vita, però cento, duecento anni fa. Destini di altre epoche, buoni per i romanzi, appunto? Purtroppo no, capita ancora, nuovo sintomo di quanto i tempi per certi versi stiano facendo lenta ma sicura retromarcia.
È successo che la mamma di una bambina di cinque anni sia morta per non perdere il posto nella cooperativa di pulizia per la quale lavorava. Pur sofferente da giorni, non aveva voluto andare dal medico essendo convinta — a torto o a ragione non si sa — di non potersi permettere neppure un giorno di malattia. E allora— avrà pensato probabilmente — tanto valeva non farsi neanche vedere dal dottore, visto che non avrebbe comunque potuto seguirne i consigli e le terapie. È morta ieri e sua figlia l’ha vegliata per ore, in solitudine. Il fatto che fosse straniera, di origine marocchina — condizione non tanto felice di questi tempi in Italia— forse ha contribuito a renderla insicura, smarrita, terrorizzata, anzi, e forse ha contribuito anche il fatto che suo marito l’avesse lasciata sei anni fa, convinto che fosse sterile, abbandonandola nella totale miseria, e con una bambina, paradossalmente nata pochi mesi dopo la separazione.
È successo non in qualche sfortunata contrada arretrata e depressa ma nell’Italia più avanzata in fatto di assistenza ai cittadini — in provincia di Mantova, cioè — dove in effetti la sfortunata donna era stata aiutata e seguita con diligenza. Ma un buco nella rete, anche nella migliore delle reti, c’è sempre e attraverso quel buco, allargato forse dal fatto che era il fine settimana, è precipitata Fathia.
Che difficile combattimento deve essere stata la sua vita, nella solitudine e nella paura, e che amara sconfitta è per tutti quanti la sua morte. Nei libri di Dickens le storie come le sue facevano piangere, ma ci si consolava pensando che si trattava appunto soltanto di romanzi. Consolazione che in questo caso non ci viene concessa perché la vicenda di Fathia è tristissima cronaca nera e vera.






Che la forza sia con voi

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