mercoledì 31 marzo 2010

CONSIDERAZIONI

Un quotidiano bollettino di guerra con sempre nuovi licenziamenti, cassa integrazione, fabbriche che chiudono. Un governo che, nella politica interna, appare in perenne affanno e capace solo di promesse inattuali e inattuabili mentre nella politica estera oramai conta poco (non a caso la “crisi greca” è stata gestita da Francia e Germania). Una coalizione di centrodestra con evidenti problemi di leadership e di organizzazione (vedi il caos liste nel Lazio). Condizioni ottimali perché anche stavolta si verificasse ciò che è una consuetudine in molte democrazie (e anche in Italia fino a qualche anno fa) e cioè che queste elezioni amministrative di “medio termine” (e, dato non trascurabile, le "ultime" prima delle Politiche fra tre anni) avrebbero dovuto segnare un arretramento della coalizione di governo a favore dell’opposizione. E' sempre stato così. Sempre (e non a caso alle amministrative noi si andava meglio che alle Politiche). Ed invece il centrosinistra perde - ancora - e malamente. Perde anche quelle Regioni che ha governato sino ad ieri, segno che oramai l’elettore non distingue più tra voto amministrativo e voto politico attribuendo al primo il valore del secondo (e così facendo nemmeno interrogandosi su come sia stata gestita la "cosa pubblica" da parte degli uscenti). Per non parlare del Lazio dove perdiamo persino contro un avversario senza…liste a sostegno! Non credo sia responsbailità dei "grillini": (detto per inciso: per me il Movimento di Grillo continua ad essere l'antipolitica), chiediamoci piuttosto perché abbiamo lasciato libero lo spazio che è stato occupato da loro. Ed in mezzo a questo cataclisma che fare, dunque? Come costruire nel prossimo triennio (senza appuntamenti elettorali) una valida alternativa al centrodestra? Il dato mostra inequivocabilmente che la Lega Nord è oramai diventata partito interclassista (viene votata da operai ed imprenditori) e intergenerazionale e che in questi ultimi dieci anni ha cambiato profondamente aspetto, abbandonando – quando serve – lo stile alla “Brave Heart” (ve lo ricordate quel parlamentare che saliva sui treni a "disinfettare" la presenza degli immigrati? avete notato che ora non è più di moda taluni slogan di sindaci - sceriffo?) per costruire una generazione di politici che aumentano esponenzialmente il consenso del Carroccio anche attraverso l’esasperazione di temi demagogici (il Ministro Caldeorli che brucia le leggi defalcate da questo governo salvo poi il sempre ottimo Stella a ricordarci che la semplificazione normativa ancora non c'è) che hanno facile presa in persone spaventate del loro futuro e che, a Venezia, non votano il candidato che non sia espressione diretta della loro appartenenza (dichiara oggi a La Nuova l'assessore provinciale Speranzon: se chiedi ad un leghista se preferisca far vincere la coalizione o aumentare di uno 0,1% la Lega e perdere le elezioni, lui non ha dubbi, perde le elezioni in cambio di un più 0,1%). Che fare, dunque? Credo sarebbe errore grossolano e imperdonabile se il Partito Democratico cercasse di sconfiggere la Lega cavalcandone i suoi contenuti più caratteristici. Innanzitutto perché, si sa, le fotocopie sono, per natura, meno nitide degli originali. Ma soprattutto perché quei contenuti (penso al giustizialismo, alla politica contro l’immigrazione, al localismo che è il contrario del federalismo) non ci appartengono. Serve, invece, imparare dalla Lega ciò che ne ha consentito il successo: il gusto della “militanza passionale”. I militanti della Lega, oggi, esprimono un “fare politica” , 365 giorni l’anno, che fino a qualche decennio fa era tipico dei grandi partiti di massa, PCI e DC in modo particolare. Oggi noi abbiamo perduto questa militanza passionale a appassionata. Alla militanza fatta nelle piazze, tra la gente e per la gente, noi preferiamo il chiuso delle sezioni e dei circoli. Militiamo in un partito più preoccupato di fissare sempre nuove norme regolamentari e statutarie, in cui le differenziazioni diventano divisioni in uno sterile gioco di potere e di poltrone e poltroncine, piuttosto che incalzare il governo dimostrandone incongruenze ed incapacità. Militiamo in un partito che, temo, si sia “imborghesito” preferendo le rendite (personali) di posizione alla possibilità di formare una nuova classe dirigente, giovane, nuova, capace ed in grado di reggere le sfide di questa nostra contemporaneità. In Puglia, Vendola vince non solo perchè l'UDC corre da sola ma anche grazie a “La fabbrica di Nichi” (che in qualche modo ricorda il precedente tentativo di Prodi e della sua - se non erro - "La fabbrica del programma"): luogo di creatività, di elaborazione e di proposta. Continuiamo ad essere un Partito troppo “romano centrico” mentre vanamente Massimo Cacciari da anni insiste sulla necessità che il PD affronti la “questione settentrionale”. Non riusciamo più ad essere un Partito che nei suoi amministratori locali vede una autentica risorsa e preferiamo lasciarli soli se non quando, addirittura, non gli remiamo contro diventandone i più acerrimi oppositori. Non riusciamo più ad essere un Partito talmente autorevole da assumere, finalmente!, la leadership del centrosinistra e proponendo una seria politica delle alleanze. Militiamo in un Partito che non ha più intellighenzia, che non ha più maitre à penser che possano orientarci nel labirinto di questa nostra contemporaneità e, quando ci sono, li immoliamo perché abbiam perduto persino la passione per la cultura e la cultura politica in particolare. Ai sociologi, ai filosofi, agli scienziati della politica preferiamo i salotti televisivi. Credo sia questo il lavoro che si deve fare per poter quantomeno tentare, fra tre anni, di costruire una valida alternativa a questo governo. Certo: per riuscire in questa impresa dobbiamo scrollarci di dosso le (ex) appartenenze e riscoprire finalmente quel “fare politica” che nasce dal confronto, dal dialogo, dallo studio e dall’impegno. Una “militanza passionale e appassionante”. Ciò che sta mancando a questo Partito e, senza la quale, esso è destinato ad un prematuro fallimento.
Che la forza sia con voi!


Etichette:

martedì 30 marzo 2010

E ORA?

Scrivo a caldo qualche impressione mentre scorrono i dati (ancora provvisori) di questa tornata elettorale. Che dire?
A vincere è la Lega Nord. Senza se e senza ma. Ha vinto nettamente in Veneto ed ha dato (secondo me) un segnale molto chiaro a Venezia dove alla Regionali tocca il 19,18% (dati de Il Corriere) e alle comunali perde per strada quasi l'8% dei consensi: troppo divario per non pensare ad un messaggio chiaro agli alleati circa la primogenitura delle candidature. Vince la Lega e. tramite suo, vince il centrodestra: erano elezioni di middle time, di metà legislatura allorquando è abituale registrare una disaffezione dell'elettorato verso le forze di governo. Così non è. Il centrosinistra perde (malamente) in Piemonte; perde nel Lazio (e qui il successo della Polverini è amplificato dalla mancata presentazione delle relative liste); perde in Campania ed in Calabria. Quattro regioni che, fino ad oggi, abbiamo governato. In Veneto, Bortolussi arriva a poco più del 29%, 5 anni fa Massimo Carraro aveva superato il 40%.
E ora? Ora occorre, io credo, ripartire dal laboratorio politico di Giorgio morsoni che, attorno a dun programma, riesce a mettere insieme una coalizione ampia che va da Rifondazione all'UDC: Riuscirà a governare una coalizione così eterogena? Lo vedremo. Sta di fatto che ora è giunto il momento, finalmente (e senza indugi), che il PD superi divisioni, ex appartenenze, sospetti e dietrologie. A Mira il PD arriva al 35%: mi pare un risultato straordinario. Così come (permettetemelo) mi pare semplicemente straordinario il risultato raggiunto dall'amico Andrea Causin che conm oltre 7000 preferenze è il candidato più votato.
Rimbocchiamoci le maniche. E' ora - finalmente - di lavorare per un partito veramente unito.
Che la forza sia con voi!

Etichette:

lunedì 29 marzo 2010

MEMORIE DI PAESAGGIO





























Che la forza sia con voi!

Etichette:

lunedì 22 marzo 2010

APPELLO

Da Il Corriere della Sera:




«Il sangue, i vestiti, il plantare Riapriamo il caso Pasolini»






Veltroni scrive ad Alfano: «Oggi la scienza può dirci la verità su quel delitto»


Gentile Ministro Alfano, vorrei cominciare questa lettera aperta con parole che vengono da lontano nel tempo: «Ritiene il collegio che dagli atti emerga in modo imponente la prova che quella notte all’Idroscalo il Pelosi non era solo». È così che il presidente del Tribunale dei minorenni Alfredo Carlo Moro fissò il suo giudizio e il senso della sentenza con la quale il Pelosi fu condannato a quasi dieci anni di reclusione per l’uccisione di Pier Paolo Pasolini, intellettuale italiano. Le sentenze successive hanno confermato la responsabilità del ragazzo ma hanno sostenuto che lui fosse solo, quella notte. La verità processuale è fissata in quel giudizio della sentenza di secondo grado: «È estremamente improbabile che Pelosi abbia potuto avere uno o più complici». «Estremamente improbabile» non significa «assolutamente impossibile». D'altra parte quel ragazzo, uno che sembrava sociologicamente e fisicamente l'incarnazione di un personaggio pasoliniano, aveva fornito una confessione piena che escludeva il concorso di altri. Dunque perché cercare ancora?
Ma l’inchiesta, come hanno documentato in modo inappuntabile su «Micromega» Gianni Borgna e Carlo Lucarelli, fece acqua da tutte le parti. Come molte indagini di quegli anni. Ho rivisto in tv, in questi giorni, le immagini girate da quel grande giornalista che si chiamava Paolo Frajese a via Fani il sedici marzo del 1978, giorno del rapimento di Aldo Moro, presidente della Dc e fratello del giudice Alfredo Carlo. Frajese faceva il suo dovere indugiando con il suo cameraman in mezzo ai corpi riversi a terra, ai berretti delle false divise, ai bossoli dei colpi sparati da terroristi e dai poveri agenti della scorta. C’erano decine di persone che passeggiavano sulla scena del più clamoroso attacco alla Repubblica. Qualcuno calpestava i proiettili, qualcun altro armeggiava con le portiere delle auto. Una follia. E non credo che ci appaia così solo perché ora tutti hanno imparato dall’America che la prima cosa da fare è isolare la scena del delitto. Era una follia, e peggio, anche allora. Era successa la stessa cosa nelle ore immediatamente successive all’omicidio di Pasolini nel buio desolato dell’Idroscalo di Ostia. Quando la polizia si era portata lì, nelle prime ore del mattino, c’erano dei curiosi attorno al corpo e di lì a poco, nel campetto attiguo, si sarebbe giocata una partita di calcio con tanto di pallone che cadeva nella zona del delitto e veniva rinviata da poliziotti gentili. Spariscono tracce, specie quelle degli pneumatici e dei passi. Indizi che credo sarebbero stati utili per accertare quante persone si fossero trovate lì e la dinamica dei fatti. L'automobile, la «stanza» fondamentale delle prove, viene consegnata alla scientifica solo quattro giorni dopo il delitto. In quella Alfa 2000 ci sono un maglione e un plantare per scarpe che non appartengono né a Pasolini né a Pelosi. C'è sulla portiera del passeggero, non quella del guidatore nella quale il ragazzo dice di essersi infilato di corsa per fuggire, una macchia di sangue, come l'impronta di una mano appoggiata. Ma l’auto, nel deposito della polizia, era rimasta aperta e sotto la pioggia.
Poi c’è un altro particolare. Pelosi ha solo un graffio sulla testa e una macchia di sangue sul polsino. È assai strano che sia così se le cose sono andate come lui ha raccontato, se c’è stata la feroce colluttazione che il ragazzo descrive nel suo volume «Io, angelo nero»: «Lui si trasformò in una belva. I suoi occhi erano rossi rossi e i tratti del viso si erano contratti fino ad assumere una smorfia disumana... Lo stesso bastone me lo tirò in testa, io mi sentii spaccare in due, il cuore mi batteva fortissimo. Lui si fermava poi ribatteva ancora... Fatto qualche metro mi afferrò e mi tirò un cazzotto sul naso...», poi il racconto di una rissa selvaggia. Pasolini verrà ritrovato pressoché irriconoscibile, un «grumo di sangue». Ma a Pelosi basta, come raccontò, fermarsi ad una fontanella. Potrei continuare. Ma vorrei tornare alle parole del giudice Moro. Non credo che fosse un «complottista». Credo avesse osservato dati di fatto e incongruenze. Chi poteva avere interesse ad uccidere Pasolini? Sulle colonne di questo giornale aveva scritto meno di un anno prima il famoso articolo «Il romanzo delle stragi », quello in cui diceva di sapere «i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer o sicari... Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore che... coordina anche fatti lontani, che mette insieme pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero».
Non so se queste parole abbiano preoccupato qualcuno, se abbia preoccupato il lavoro che conduceva per la scrittura di «Petrolio». Ma erano anni bastardi, non dimentichiamoli. Anni in cui da destra e da sinistra venivano compiuti, come fossero normali, atti inauditi. Ai quali spesso seguivano appelli ben firmati per la libertà dei responsabili. Come accade per gli assassini dei fratelli Mattei che ora sono liberi in Sudamerica. Anni bastardi, nei quali poteva bastare essere una donna e civilmente impegnata per essere sequestrata e violata, come accadde a Franca Rame. Anni nei quali si facevano stragi e si ordivano trame. Non bisogna essere «complottisti» per domandarsi cosa diavolo c'entrasse la banda della Magliana con la scomparsa di una giovane cittadina vaticana o con l'intricata vicenda del Banco Ambrosiano o con il rapimento di Moro. Ma al di là delle convinzioni personali e persino al di là della ricerca di una matrice politica del delitto Pasolini esistono una serie di evidenze sulle quali oggi forse si può fare chiarezza. E non solo perché nel 2005 Pelosi ha ritrattato tutto dichiarando che ad uccidere Pasolini erano stati tre uomini che lui non conosceva. Ha detto molte verità il ragazzo e, dunque, forse nessuna verità. Mi domando che interesse avesse, in quel momento, a riaprire una vicenda per la quale aveva già scontato la pena. Mi domando se forse il tempo passato non avesse rimosso ciò che, negli anni del delitto, gli faceva paura.
Ma non conta. Stiamo ai dati di fatto: il paletto insanguinato, i vestiti, il plantare. Oggi le nuove tecnologie investigative consentono, come è avvenuto per via Poma, di riaprire casi del passato. Anche qui voglio usare parole non mie ma quelle che nascono dall’esperienza di Luciano Garofano, che ha diretto il Reparto Investigazioni scientifiche di Parma. Garofano è coautore con il biologo Gruppioni e lo scrittore Vinceti di un libro che si è occupato del caso Pasolini. «Oltre alle analisi del Dna che si potrebbero effettuare su molti reperti (alcuni dei quali mai sufficientemente presi in considerazione: il plantare, il bastone, la tavoletta...), attraverso lo studio delle tracce di sangue e di sudore, le scienze forensi vantano oggi un nuovo, importante alleato... La disponibilità degli abiti di Pasolini ma soprattutto quelli di Pelosi, ci consentirebbe di ottenere importanti informazioni sulla modalità dell’aggressione. Dallo studio delle macchie di sangue ancora presenti, si potrebbe infatti stabilire (e magari confermare) la tipologia di armi usate per colpire, le posizioni reciproche dell’omicida e della vittima e riscontrare quindi l’attendibilità della versione fornita allora da Pelosi... Un caso che, come tanti altri enigmi del passato, non possiamo considerare chiuso».
Ecco, signor Ministro, è questo che voglio chiederle. Per questo, come per altri fatti della orribile stagione del terrore (come il caso di Valerio Verbano o gli altri che con il sindaco Alemanno abbiamo proposto alla sua attenzione) ora si può, si deve continuare a cercare la verità. Forse saranno smentite le convinzioni del giudice Moro, forse ci sarà una nuova ricostruzione. I magistrati a Roma hanno lavorato con dedizione e scrupolo alla soluzione del delitto di uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo. Ora la scienza e le tecnologie possono aiutarci a dire una parola definitiva. E lei, fornendo un impulso all’iniziativa della giustizia potrà assolvere ad una funzione assai rilevante. Conviviamo da anni con un numero di ombre insopportabile. Più ne dissiperemo e meglio sarà per tutti noi, per il nostro meraviglioso Paese. E più ancora della verità giudiziaria credo ci debba oggi interessare la verità storica. Grazie, Signor Ministro, della sua attenzione.
Walter Veltroni
Che la forza sia con voi!

Etichette: ,

venerdì 19 marzo 2010

EDITORIALE

Da Il Corriere della Sera, a firma di Aldo Cazzullo

Il Cavaliere e la catena (inutile) degli amici
E se, alla fine, la vera notizia uscita dall’inchiesta di Trani fosse che Berlusconi non se lo fila nessuno? Il presidente del Consiglio, il padrone di un impero delle comunicazioni, l’uomo più potente del paese vuole zittire una trasmissione tv. Si rivolge a un amico che ha fatto mettere all’Authority. Lo sollecita a far intervenire il presidente dell’Authority. Si appella al direttore generale della Rai. Fa in modo che siano coinvolti la commissione di Vigilanza, un consigliere del Csm, un altro «amico magistrato» e Gianni Letta. Chiama pure i carabinieri. E la trasmissione è ancora lì. L’unico che riesce a oscurarla per qualche settimana è un parlamentare dell’opposizione, l’onorevole Beltrami, che propone il black-out elettorale prontamente accettato dalla maggioranza. Ma, il Giovedì Santo, Santoro sarà di nuovo in onda, prevedibilmente con una puntata monotematica sui maldestri tentativi di zittirlo. E Berlusconi mediterà su quanto sia inefficiente la sua struttura di comando, e il paese stesso su cui in teoria spadroneggia da decenni.
È evidente che dalla penosa vicenda si possono trarre altre conclusioni, tutte giuste. Non va sottovalutata la gravità della commistione tra Palazzo Chigi, l’autorità di garanzia, la direzione della Rai e pure quella del Tg1. Così come Berlusconi non ha torto a far notare che nessun capo di governo rilegge sui giornali scampoli di conversazioni private in cui si lamenta della moglie. Resta la sensazione di un uomo che non riesce a farsi obbedire da nessuno, e al massimo trova spalle su cui piangere. Non solo Santoro lo «processa come appartenente alla mafia » e «non fa che trasmettere puntate su Mills e Spatuzza». Veronica gli chiede 90 miliardi di lire l’anno e «c’ha il giudice che è amico dell’avvocato». De Benedetti aspetta i suoi 750 milioni di euro. Il fisco ne chiede altri 900 milioni. Ora lo vogliono pure ammazzare. Tutto serio, serissimo; ma la contro- strategia del premier lo è meno. «Questo Napoli da dove arriva, da Mastella? Ma Mastella adesso è totalmente con me!».
E Savarese? «Era amico di Fini, però adesso è più amico di Gasparri» dice la spalla del premier, Innocenzi. La cui figura, più che Tigellino, ricorda uno psicanalista o in genere un sodale destinatario di sfoghi interminabili. E’ vero che Innocenzi lamenta di essere mandato a quel paese da Berlusconi «ogni tre ore»; ma alla fine non combina nulla. Né gli altri si rivelano più efficienti o disponibili. Il fido Masi paragona il Cavaliere a un governante dello Zimbabwe, con una metafora che gli resterà appiccicata per la vita. Il poeta Calabrò fa una figura quasi eroica. Gianni Letta dà l’impressione di fare il minimo indispensabile, giusto per evitare che gli possa essere rinfacciato alcunché. E’ allora che Berlusconi gioca l’arma finale e telefona al generale dei carabinieri Gallitelli: Santoro parla male persino della Benemerita, fate un esposto! Ma pure il generale dei carabinieri disobbedisce: telefona all’Authority, ma l’esposto non lo fa. Ogni volta, anche di domenica, Berlusconi si lamenta con il povero Innocenzi, che conosce da trent’anni e copre regolarmente di contumelie; ogni volta, Innocenzi lo tranquillizza, rassicura, annuisce - «sì presidente», «certo presidente» -, annuncia bellicoso che si muoverà «come un tupamaro con le bombe addosso», promette che troverà la strada giusta; e non la trova mai. A sua volta, Innocenzi esasperato si apre con Masi: «Mi ha fatto un culo che non finiva più. Mi insulta. Mi dice che l’Agcom si deve vergognare, che è una barzelletta».
Quando proprio non ne può più, Innocenzi richiama Letta - «Gianni, sei l’ultima spiaggia... » -, il quale, come annota con involontario sadismo il maresciallo intercettatore, «risponde con parole incomprensibili ». Quanto a Santoro, il massimo che si cava da lui è la promessa di una «trasmissione equilibrata »; e qui manca purtroppo il commento del premier. Il tempo, la magistratura e le elezioni regionali daranno il verdetto sulla vicenda. E’ possi- bile, anzi probabile che le richieste di Berlusconi siano eccessive e fuori luogo, tanto che pure uomini ansiosi di compiacerlo non riescono ad accoglierle. E’ possibile che il bilancio finale sia in attivo per il premier: Berlusconi ama fare la vittima, denuncia volentieri l’accerchiamento da parte dei magistrati, e l’inchiesta di Trani potrebbe giovargli. Ma nell’infinita vertigine delle possibilità è dato pure che il "tiranno" sia un uomo solo, che la sera e nei festivi inveisce e si sfoga con un amico che magari ha posato il telefonino sul tavolo; mentre il maresciallo trascrive tutto.
Che la forza sia con voi!

Etichette:

giovedì 18 marzo 2010

SUL LAVORO



PER UNA NUOVA STAGIONE DI TUTELA DEL DIRITTO AL LAVORO


Domenica 21 Marzo
ore 10:00
PIZZERIA AL PONTE
Via Venezia 181 - Oriago


PARTECIPANO

ON. PIERPAOLO BARETTA Già Segretario aggiunto CISL

ANDREA OLIVERO Presidente Nazionale ACLI

ANDREA CAUSIN Consigliere Regionale e Presidente Commissione
Regionale Lavoro

DONATELLA DONATI Docente Universitaria e candidata al Consiglio Veneto

RENATO MARTIN Consigliere Provinciale PD

MICHELE CARPINETTI Sindaco di Mira

MODERA

DAVIDE MEGGIATO Vicesindaco


L'incontro è aperto alla cittadinanza Ti aspettiamo!

Al termine brindisi augurale
Che la forza sia con voi!

Etichette:

lunedì 15 marzo 2010

LETTERA

dal blog di don Giorgio 8a sua volta tratto da MicroMega)
da MicroMega

Lettera di una professoressa a don Milani
di Mila Spicola



Caro don Lorenzo,
sono passati quanti anni dalla lettera che mi hai inviato? 42? 43? Il mondo è cambiato mille volte da allora. È cambiato il mondo, sono cambiata io, anche se ho esattamente gli stessi anni di quella lettera che tengo sul comodino e conosco a memoria. Eppure io mi ritrovo a insegnare incredibilmente nella scuola dei tuoi poveri Giovanni, sempre più distinti dai ricchi Pierini. Non a Barbiana, bensì in una periferia palermitana, in Sicilia, nella regione più povera d’Italia. Quella che avrebbe bisogno di attenzioni e aiuti e invece ha avuto, indistintamente, gli stessi identici tagli che si sono verificati altrove. Solo che qui un taglio è la decapitazione. “Non si divide una torta in parti uguali tra diseguali”, così mi hai spiegato e mi avevi convinta. 40 anni fa, ci avevi convinti tutti. Noi insegnanti e quelli che decidono. Avevamo capito la tua lezione. Ci abbiamo provato a fare una scuola migliore. E l’avevamo fatta, lasciamelo dire, prima che arrivasse questo disastro.
I tuoi erano altri tempi e altre anime. Da un lato c’era l’ignoranza, quella vera, quella che vivevi come un’onta e dall’altra, come un sole, come una promessa di progresso, la cultura. I pochi che sapevano guidavano dall’alto lo sterminato numero di quanti non sapevano. Io ero tra quelli che sapevano, e me ne vantavo, nel bene e nel male. Ero una professoressa e persino don Milani, tu, mi temevi, mi rispettavi, riconoscevi un valore in quello che facevo. Oggi è il contrario. Sembra quasi che la cultura sia un’onta e che tutto sia riducibile a quantità. Tutto, ogni cosa. Non solo la cultura dobbiamo difendere, ahinoi. Dobbiamo rispiegare da zero alcune cose che avevamo assunto per fondamenta: il valore delle regole, dell’onestà, della legalità, della dignità, della coesione sociale. Si sono sfaldate mentre stavamo nelle classi: senza accorgercene ce le siamo fatte levare una ad una quelle certezze. Siamo rimaste così: oltre ai gessetti ci hanno tolto la terra da sotto i piedi. La terra delle quantità al posto dell’humus delle qualità.
Tutto è quantificabile, solo quantificabile. E se è quantificabile, allora ha un prezzo. Persino la scuola. Ci hanno costretto a fare questo. Soldi che sono “sprecati”, soldi che servono ad altro (che altro può esserci di più importante mi chiedo), soldi che non servono, e intanto le nostre scuole crollano a pezzi. Mentre a noi tolgono soldi, tantissimi, altrettanti direi, vengono assegnati a mille altre cose che non sto nemmeno a dirti. Il che la dice lunga su quale sia la scala delle priorità di chi governa oggi. “Piano casa”? Perché non un “piano scuole”? Se volessimo davvero rilanciare il comparto edilizio e non invece favorire l’edificazione selvaggia ne avrebbero di lavoro le imprese edili a sistemare tetti umidi e mura ammuffite.
Sono una professoressa e molti mi disprezzano. Forse anche tu mi disprezzavi, non certo per il mio mestiere, che hai scelto anche tu di fare: insegnare. Mi disprezzavi perché insegnavo solo ai Pierini, i figli dei ricchi e lasciavo indietro i tuoi Giovanni, poveri e malandati e mi dimenticavo che la Costituzione recita che tutti hanno diritto a un’istruzione pubblica di qualità. Io ti ho ascoltata eccome e oggi insegno in una scuola di tanti piccoli Giovanni. Accade esattamente la stessa cosa: i miei Giovanni sono nuovamente distinti dai Pierini. Si è però verificato uno scambio curioso. Siamo solo noi da dentro quelle aule sporche e fredde a difendere il diritto a un futuro migliore per i Giovanni di oggi. Noi professoresse. E lo facciamo adesso perché stanno mettendo in pericolo quella possibilità.
Oggi le scuole migliori si pagano, è sempre stato così mi dirai. Ma non da far diventare sempre peggiori quelle destinate ai più. Quasi fossero anch’esse ad esaurimento, come le graduatorie dei miei colleghi precari, senza che nessuno dica o faccia nulla. Ad esaurimento come la coesione sociale che noi, soli, dentro le aule, possiamo ripristinare. Sono altri i nemici che allontanano i miei ragazzi dal proseguire gli studi. Non certo io. Sono i ritorni ai “5 in condotta”, sono il ripristino di parole vetuste come “apprendistato”. L’Italia è cambiata, caro don Lorenzo, ma è cambiata perché sta tornando indietro. In ogni casa c’è una tv, ogni mio alunno ha un cellulare ma spesso non ha i libri. E perché mai un libro dovrebbe essere più importante di un cellulare per una mamma di periferia? Per un ragazzo che vive a Ciaculli a Palermo, in Sicilia, nel 2010? Perché mai?
La scuola dove insegno ha la muffa nei tetti, i riscaldamenti spesso non funzionano, in alcune aule ci piove dentro, ogni tanto qualche idiota distrugge i vetri e i ragazzi si ritrovano a vagare per i corridoi, trasportandosi dietro le sedie, quando le hanno, divisi in altre classi, seduti ammassati, con i loro giubbottini e per loro è la normalità. Non hanno mai visto che potrebbe essere diverso. L’80% delle scuole palermitane è fuori norma per un motivo o per un altro. Nella patria dell’antimafia, lo stato si fa garante dell’illegalità in cui vivono i ragazzi.
Mi monta la rabbia perché penso a quel tuo alunno che mi scrisse: “andare a scuola è sempre meglio che spalare la merda” e sono passati 40 anni. Mi chiedo cosa siano le magnifiche sorti e progressive se il progresso ha condotto a questo. Il progresso o gli uomini? Abbiamo un ministro che ci ha tagliato i fondi. Non solo quelli che hanno buttato per strada migliaia di colleghi, ma ha tagliato i fondi per evitare che i miei Giovanni sia curati uno ad uno, che siano rimessi nelle stesse identiche condizioni dei Pierini più fortunati per operare una scelta.
Ti dico di più: come faccio a convincerli che solo la conoscenza li salverà? Solo la conoscenza li farà padroni del mondo? Solo la conoscenza ne farà adulti consapevoli? Come faccio a convincerli che la scuola non è un “servizio” ma un diritto alto? Se poi i loro fratelli più grandi, che faticosamente arrivano alla laurea e sono più bravi degli altri perché hanno studiato sodo e da soli, e poi magari decidono di accedere alle cariche o alle carriere che meriterebbero, cioè le migliori, beh, per quei ragazzi qua a Palermo, non c’è altra via che andarsene?... a Palermo? Correggo: in Italia. E allora a che serve battersi per una scuola pubblica? Per la diffusione della conoscenza, per la promozione del merito? A che serve scendere in piazza a scioperare il 12 marzo se non per testimoniare che quello che si sta verificando nelle scuole di ogni ordine e grado è la vera emergenza democratica del nostro paese? A che serve se non è un pensiero condiviso?
A che serve se nessuno si rende conto che quella ad essere davvero messa in discussione, con la distruzione della scuola pubblica italiana, è la natura stessa della democrazia? Chi vuole veramente assicurare ai nostri figli oggi quel pensiero critico e libero che solo una scuola pubblica sana e voluta da tutti potrebbe ottenere? Chi? Mi giro intorno e vedo solo qualcun altro come me, qualche altro professore. E nemmeno tutti.
Non vedo classi dirigenti che gridano allo scandalo. No. Non vedo intellettuali. Non vedo scrittori, artisti, giornalisti. Non ne vedo nessuno che sia sceso con me a darmi forza e a sostenermi. Nemmeno quelli che hanno denunziato altri fatti terribili, ma, lasciamelo dire, meno gravi. Perché che senso ha denunziare la criminalità e l’illegalità e il non rispetto delle regole se poi si tace di fronte alle cause primarie della criminalità diffusa e dell’assenza di valori sani e di cultura? Valori e cultura che da sempre sono stati trasmessi tra le generazioni attraverso la scuola? Dove sono oggi Pasolini e Sciascia? Cosa farebbero oggi di fronte a tale scempio silenzioso?
Anzi, quegli stessi intellettuali, da una lontananza ben più siderale di quella di cui tu, caro don Lorenzo, accusavi me, professoressa, quasi quasi, mi additano sospettosi. Non sei brava, hai due mesi di vacanze, hai tanti privilegi, siete troppi. E non sono mai entrati in una mia aula. Non hanno mai visto in che condizioni lavoro, in che condizioni costringo i miei ragazzi alla disciplina, quando vorrei che spaccassero quelle pareti sporche e facessero la rivoluzione anche contro di me, che non ho la forza che hai avuto tu, caro don Lorenzo, di spiegarglielo a tutti gli italiani cosa voglia dire fare scuola.
Il valore di un popolo è direttamente proporzionale al valore che attribuisce alla scuola e alla conoscenza. E mi rattrista riconoscere che il valore del nostro popolo si sta frantumando come la mappa di Borges proprio mentre da più parti per molto meno le folle si riuniscono chiamate dal piffero della telecrazia imperante. Tutte le mattine mi siedo alla mia cattedra, faccio l’appello, inizio la mia lezione restituendo il sorriso della vita che mi regalano i ragazzi e mi ripeto che quella forza la devo ritrovare intera. Perché io non rimango muta di fronte a questa ignobile distruzione: io non ne sarò complice. Siatelo voi, complici. Io no. E da quando mi sveglierò la mattina a quando andrò a letto la sera, in ogni angolo e con tutta la voce che ho lo ripeterò fino a quando non mi ascolteranno: stanno distruggendo la scuola, evitiamolo.
(11 marzo 2010)
Che la forza sia con voi!

Etichette: ,

venerdì 12 marzo 2010

EROI MODERNI





OSCAR ARNULFO ROMERO
memoria di liberazione per i nostri tempi difficili


24 Marzo alle 21
Cappellina dell'hospedalito, Via Fratelli Bandiera 112 MARGHERA
intervengono:
Emanuele Maspoli che presenta il suo libro
Ignacio Ellacurìa e i martiri di San Salvador, Edizioni Paoline
un prete brasiliano testimone della chiesa latinoamericana



“Finché i contadini, e gli operai e i loro dirigenti non hanno sicurezza; finché il popolo viene sistematicamente assassinato dalle forze di repressione della giunta, io, che sono un semplice servitore del popolo, non ho nessun diritto di cercare misure di sicurezza. Sì, possono uccidermi; anzi, mi uccideranno, benché alcuni pensino che sarebbe un grave errore politico; ma lo faranno ugualmente, perché pensano che il popolo sia insorto dietro le pressioni di un vescovo. Ma non è vero: il popolo è pienamente consapevole di chi sono i suoi nemici; e altrettanto conosce bene i propri bisogni e le alternative che si presentano.
Se uccidono me, resterà sempre il popolo, il mio popolo. Un popolo non lo si può ammazzare”.

(Oscar Arnulfo Romero, otto giorni prima del suo assassinio. Da una intervista rilasciata al domenicano spagnolo Juan Carmelo Garcia)


In memoria del vescovo Romero
(David Maria Turoldo)
In nome di Dio vi prego, vi scongiuro,vi ordino: non uccidete!Soldati, gettate le armi...Chi ti ricorda ancora,fratello Romero?Ucciso infinite voltedal loro piombo e dal nostro silenzio.Ucciso per tutti gli uccisi;neppure uomo,sacerdozio che tutte le vittimeriassumi e consacri.Ucciso perché fatto popolo:ucciso perché facevicascare le bracciaai poveri armati,più poveri degli stessi uccisi:per questo ancora e sempre ucciso.Romero, tu sarai sempre ucciso,e mai ci sarà un Etiopeche supplichi qualcunoad avere pietà.Non ci sarà un potente, mai,che abbia pietàdi queste turbe, Signore?nessuno che non venga ucciso?
Sarà sempre così, Signore?






“Nessun soldato è obbligato ad obbedire ad un ordine contro la legge di Dio … Nessuno è obbligato ad adempiere una legge immorale … Ormai è tempo che recuperiate la vostra coscienza e che obbediate alla vostra coscienza piuttosto che all’ordine del peccato … In nome di Dio, quindi, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo, ogni giorno più tumultuosi, vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!”
(Oscar Romero)
Che la forza sia con voi!

giovedì 11 marzo 2010

SENZA PAROLE

E poi ci chiediamo perchè non vinciamo le elezioni....

Purtroppo non è una barzelletta

Etichette:

UN PARTITO PRIGIONIERO

Da Il Corriere della Sera
di Angelo Panebianco
La tragicommedia non è ancora finita. Per ora il «golpe » (come certi oppositori, dotati, come ognun vede, di senso della misura e dell’equilibrio, hanno subito definito il decreto salva-liste) è stato bloccato da un Tar. Ieri la lista pdl nella provincia di Roma ha subito un nuovo stop. Vedremo gli sviluppi. Al momento, si constatano due conseguenze. La prima è data dal grave danno d’immagine che il centrodestra si è auto-inflitto e di cui è il solo responsabile. La seconda riguarda gli effetti sull’opposizione. La reazione del Partito democratico fa riflettere. È possibile che abbia ragione Giuliano Ferrara («Il Foglio», 8 marzo): il Pdl aveva fatto un clamoroso autogol ma il Pd non è stato poi capace di approfittarne. I dirigenti del Pd avrebbero potuto dire: accertato che i nostri avversari sono dei pasticcioni, noi che abbiamo a cuore la sorte della democrazia e che non possiamo accettare che una competizione democratica venga svuotata di significato per assenza del nostro principale antagonista, sosterremo le scelte che farà il presidente della Repubblica per sanare questa anomala situazione. Sarebbero usciti da questa vicenda a testa alta, come l’unico partito importante dotato di senso delle istituzioni. Ma ciò avrebbe anche richiesto che il Pd fosse un partito diverso da ciò che è, un partito forte, capace di decidere da solo la propria agenda politica, non un partito debole e etero- diretto, un partito che l’agenda, nei momenti critici, se la fa dettare sempre da altri, si tratti dei giornali di riferimento o di Antonio Di Pietro.

All’indomani del decreto, incapaci di sfruttare il grande vantaggio tattico che il Pdl aveva loro offerto, i dirigenti del Partito democratico si sono subito infilati in una trappola. Parlo della manifestazione di sabato prossimo. Se non verrà annullata, risulterà per il Pd un boomerang e un pasticcio politico, in qualche modo summa e specchio di tutte le sue debolezze. I dirigenti del Pd possono negarlo quanto vogliono ma la manifestazione avrebbe necessariamente il carattere di una presa di posizione contro il capo dello Stato e non solo contro il governo. Il decreto salva-liste, infatti, è stato firmato e difeso da Napolitano. In questa situazione, la stella di Di Pietro, oggi vero leader morale dell’opposizione, brillerebbe: egli è infatti il solo non-ipocrita della compagnia, quello che dice pane al pane, quello che ha chiesto subito l’impeachment per il capo dello Stato. Si badi: se fosse vera la tesi (ma i costituzionalisti sono assai divisi ) secondo cui il decreto crea un grave vulnus al processo democratico, allora Di Pietro avrebbe mille volte ragione a proporre l’impeachment. Quello del Pd risulterebbe dunque un capolavoro politico alla rovescia. Consentirebbe (e ha già consentito) al centrodestra, responsabile del pasticcio, di fare la vittima e di ergersi a difensore del presidente della Repubblica.

L’intera vicenda si presta a considerazioni amare sulla qualità, la tempra e la professionalità della classe politica, di destra e di sinistra. Sulle debolezze (tante e complesse) del centrodestra avremo modo di ragionare in seguito. Per quanto riguarda il Pd, basti ricordare che esso, incapace di tracciare una linea di divisione netta fra sé e il movimento giustizialista, incapace di combattere i giustizialisti (apprezzati da tanti anche al suo interno), ha finito per abbracciarli. E questo è il risultato.
Che la forza sia con voi

Etichette:

mercoledì 10 marzo 2010

IN MEMORIA

Mi han detto che il tempo guarisce, che - alla fine - le ore, i giorni, le settimane, i mesi e gli anni costruiscono sopra le ferite, cicatrici spesse che nessuna lama può più riaprire. Mi han detto che alla fine rimarrà solo il ricordo, magari sfocato. Mi han detto che alla fine comunque avrò ancora voglia di guardare il giorno che verrà. Balle! Tutte balle!
Cinque anni sono passati. Cosa sono 60 mesi? Nulla, un battito di ciglia commisurato all'età del mondo. Il tutto per il mio cuore. Cinque anni dall'ultimo abbraccio. Dall'ultima carezza. Da un ultimo, fugace, bacio su una fronte fredda e sudata. Cinque anni da quei tubi dismessi per dare vita ad altri. Ad altri cuori che palpitino. Ad altri occhi che luccichino d'amore o si unimidiscono di lacrime. Cinque anni da una lettera furtivamente messati accanto.Cinque anni da una strizzata d'occhio. Cinque anni da una casa divenuta fredda e dalla quale scappare il più in fretta possibile giacché il tuo ricordo, amplificato in quelle stanze, era troppo greve da sopportare. .E sono ancora qui. A chiedere "perché?". A non rassegnarmi che quello fosse stato l'ultimo bacio, l'ultimo abbraccio, l'ultima carezza, l'ultimo ciao. E ieri, in cui abbiam ricordato questi maledetti 60 mesi, sono entrato in Chiesa. Mi sono seduto, come faccio sempre, nell'ultima fila: è lì che mi siedo sempre. Forse, chissà, è una maniera per ricordarmi dei tanti che in Chiesa non entrano perché hanno i piedi sporchi, il cuore oppresso o semplicemente perché hanno i pugni chiusi di rabbia e l'anima greve di solitudine. E che comunque sono sempre migliori di me. Pensavo che tutto fosse passato. In fondo erano già cinque anni da quel giorno, da quel legno steso per terra. Il crocefisso era coperto, un telo viola a ricordarci che lì è l'Uomo che muore per mano di altri uomini, il costato trafitto e mani e piedi inchiodati. Mi sono seduto. Ho chiuso gli occhi. E le lacrime sono scese. Ancora. Come quel giorno di cinque anni fa.
Ciao mamma...io sono quel che tu eri.



Etichette:

lunedì 8 marzo 2010

(DIS)INFORMAZIONE

Nel 1996 il mai sufficientemente compianto Andrea Barbato pubblicò (Roma, Editori Riuniti) un agevole pamphlet titolato Come si manipola l'informazione: il maccartismo e il ruolo dei media.
Come alcuni di voi ricorderanno negli anni '50, negli Stati Uniti, iniziò una caccia alle streghe nei confronti di moltissimi funzionari dello Stato, giornalisti accusati di essere filo-comunisti. Questa campagna fu avviata da Joseph McCarthy, senatore repubblicano, che il 9 febbraio 1950, ospite del Club delle Donne Repubblicane di Wheeling in West Virginia, agitando dei fogli disse ho qui una lista di 205 (in seguito ridotta a 57) persone, che sono note al Segretario di Stato per essere membri del Partito comunista e che, nonostante questo, ancora lavorano al Dipartimento, formandone la politica. Si badi bene: McCarthy non diede MAI a nessuno copia di quei fogli che, secondo Barnbato (e non solo lui tanto che anni dopo il senatore repubblicano fu pubblicamente censurato dai suoi pari) in realtà erano assolutamente...vuoti. Però parole giuste dette al momento giusto portarono al risultato che tutti conosciamo.

Mi pare che ciò che sta accadendo in questi giorni sia un perfetto esempio di come sia facilissimo manipolare l'informazione (e dunque la verità) nel nostro Paese. E' accaduto che, nel Lazio, i rappresentanti del PDL non hannom rispettato il temrine ultimo per la presentazione delle liste. Errore marchiano, grossolano, sciocco e stupido. Ma errore. Evidente e chiaro. C'è una regola e questa regola va rispettata. Ebbene: è ovvio che NESSUNO poteva certo permettersi il lusso di escludere una parte consistente dell'elettorato. E' altrettanto normale che il Presidente della Repubblica non potesse che firmare il DECRETO INTERPRETATIVO approvato in extremis dal governo.

Ciò che indigna però è:

1) le dichiarazioniu degli esponenti del centrodestra che, di fronte a quanto accaduto, se la pigliano con la sinistra che sa solo insultare;

2) il fatto che NESSUNO, ma proprio NESSUNO, abbia chiesto scusa agli italiani in generale e al resto di partiti e movimenti che le regole (e gli orari limite) li hanno rispettati.

Che la forza sia con voi!

Etichette: