Siamo tutti, in un modo o nell'altro, un volo interrotto. Precipitiamo dai nostri sogni, ma ciò che ci può distinguere e preservarci dall'inesorabilità del destino è la capacità di librarci ancora non verso ciò che siamo ma verso ciò che vorremmo essere.
(Dario Cresto - Dina)
venerdì 29 maggio 2009
IN LOCO
E' una associazione nata da poco tempo ma che si è già distinta per professionalità, entusiasmo, voglia di rompere i canoni tradizionali. Si tratta dell'associazione "Karabos" che questo week end propone una iniziativa assolutamente inusuale e interessante, In Loco. Individuati alcuni luoghi strategici di Mira (ad esempio la Villa dei Leoni, la Piazza IX Martiri) nel pomeriggio di sabato e domenica artisti, personaggi più o meno illustri, persone qualunque si alterneranno in un happening di letture, canzoni attorno a temi diversi per ciascuno dei diversi luoghi che ospitano l'iniziativa. Ad esempio il tema scelto per l'happening in Piazza IX Martiri è l'agorà.Gli amici di Karabos sono comunque coraggiosi. E molto. Infatti hanno chiesto di partecipare a questa iniziativa anche al....sottoscritto. Non c'é che dire: se no i xe mati no i voemo. Qui sotto il programma dettagliato. Non mancate!
E già che ci siamo....oltre a In loco e a TAMTAM, domenica 31 maggio tutta la suggestiva Riviera Silvio Trentin sarà occupata da decine di artisti che esporranno le loro opere nell'ambito della 12^ edizione di Arte in Villa organizzata, come sempre, da quegli straordinari amici di Forma & colore. Gli artisti esporranno dalle 11 alle 20.
L'Amministrazione Comunale di Mira è stata la prima a varare, in concerto con imprenditori, organizzazioni sindacali, operatori economici e sociali, istituti di credito, un pacchetto di misure "anticrisi". Sono misure fortemente volute dal sindaco, Michele Carpinetti (nella foto) e assolutamente concrete che vanno dalla rateizzazione delle bollette, l'anticipo delle indennità di disoccupazione e cassaintegrazione, sconti sui farmaci da banco presso le farmacie comunali e così via.
Dopo due anni di assenza, è finalmente tornato il TAM TAM, il festival etno-musicale che, attraverso i suoni e i colori, regalerà a quanti lo frequenteranno l'imperdibile occasione di un "giro del mondo" attraverso il meglio che offre il panorama culturale. Attraverso questa finestra virtuale voglio dire "grazie" agli amici dell'ASSOCIAZIONE SRAZZ: senza la loro abnegazione, determinazione, entusiasmo questa edizione non sarebbe stata possibile. E allora..che aspettate? Tutti, ma proprio tutti, da stasera e fino al 28 giugno al Parco Valmarana e...buon divertimento!
Visto che, fra pochissimo, sarà in libreria con la sua ultima fatica letteraria e che al solito mi regalerà con la speranza (purtroppo vana) di convertirmi a questi argomenti......
Tutti i segreti di Riccardo Meggiato di Francesca Cappennani
Incontro con l'autore. Inaugura il salottino editoriale della redazione Apogeo un giornalista ecclettico e un divulgatore raro, allergico agli sbadigli e convinto che al lettore si debba dare del tu
Riccardo Meggiato, giornalista, tecnofilo e tecnologo, con un passato da programmatore di videogiochi, è una firma ormai consolidata e stimata di numerosi manuali di Apogeo. L’abbiamo incontrato e intervistato per svelare ai lettori come nascono i suoi libri e sapere qualcosa in più di questo autore versatile e competente, che nelle sue pubblicazioni non trascura un obiettivo importante: far sorridere i lettori, anche di manuali di informatica.
Riccardo, quando ci siamo conosciuti all’inizio del 2005, tu, eclettico come sei, avevi un passato già molto denso di esperienze in ambiti diversificati, dalla programmazione di videogame alla traduzione, dal giornalismo freelance alla divulgazione tecnologica. Ancora però non ti eri cimentato come autore di libri. Poi, è uscito il “nostro” primo manuale Tutti i segreti del DVD, che, ricordo, mi presentasti in manoscritto già completo e concluso – quasi un sogno, direi, per un redattore. Pensai che, se quello era il tuo primo libro, beh, non sarebbe stato difficile fartene scrivere altri. Ripensando a quell’esperienza, da che cosa scaturì l’esigenza di avventurarti nella stesura di un libro?
Ricordo il giorno del nostro incontro: io, te, Marco, una grande sala riunioni. Nessuna delle mie esperienze mi aveva mai messo di fronte a una situazione al tempo stesso così formale, ma anche così entusiasmante come quella di scrivere un libro. Fatto sta che Tutti i segreti del DVD è nato un po’ per caso. Mi era stato chiesto da un amico di scrivere una breve guida sulla masterizzazione, ma poi vidi che mano a mano che il tempo passava, il malloppo cresceva e cresceva. Da qui, l’idea di un libro. Però, detto tra noi, non ci speravo proprio nella pubblicazione. Il fatto di alternare la sua stesura alla realizzazione dei miei abituali articoli, mi imponeva psicologicamente una sorta di omogeneità di stile, che è poi il mio: l’uso del “tu”, che fa rivoltare i puristi della manualistica di un certo livello; l’utilizzo di frasi ironiche, ma anche la voglia di approfondire temi spesso trattati in modo superficiale. Molti colleghi di lungo corso sostengono che sono stato il primo in Italia a utilizzare il “tu” nell’editoria informatica e che, proprio per questo, dovevo già ringraziare il Cielo di scrivere articoli nelle riviste tecniche. Dunque, guai a parlare loro di un libro con quello stile. Eppure…
Rilevando la disparità dei temi affrontati nei tuoi libri, alcuni potrebbero rimproverarti di essere una sorta di tuttologo tecnologico, sostenuti in questo da un ragionevole scetticismo sulla reale preparazione di chi parla “di tutto un po’”. Che cosa risponderesti a questi eventuali detrattori? Come hai costruito e come costruisci le tue competenze in questo mondo in così rapida evoluzione come quello della tecnologia? E, in buona sostanza, come progetti e ti attrezzi quando ti appresti alla scrittura di un nuovo libro?
Ma allora devo svelare i miei segreti! Non è che ci scriviamo su un bel Tutti i segreti di Ricky? Così quelli che sostengono che sono un tuttologo avranno nuova carne da abbrustolire al fuoco. Scherzi a parte, io credo che il lavoro di divulgatore, che è poi quello che faccio io, non imponga di essere esperti di qualcosa, ma di diventarlo e quindi di spiegare agli altri quel dato argomento. La differenza è sottile, ma importante: esperti bisogna diventare, non esserlo a priori. Altrimenti già poni una barriera tra te e il lettore. Quando decido di scrivere un libro, come un articolo, passo moltissimo tempo a documentarmi, a effettuare prove, a sperimentare. Diciamo che nel mio lavoro circa il 70-80% del tempo lo passo a documentarmi, a testare la tecnologia di prima mano, a metterla in pratica, mentre il resto a scrivere. Parto sempre consultando la Rete, quindi passo ad acquistare tutti i libri su quel dato argomento. E quando dico tutti, intendo proprio tutti (o, almeno, tutti quelli pubblicati nelle lingue che conosco). Quando sento di essere preparato, sperimento in prima persona tutte le possibilità di quella tecnologia o del tema che voglio spiegare. Se le idee sgorgano a fiotti, se trovo che c’è molto materiale originale da divulgare, allora è il momento di passare alla scrittura, altrimenti torno a sperimentare.
Una delle caratteristiche che ritenni particolarmente accattivante in quel tuo primo scritto, e che poi si è vista confermata anche nelle tue pubblicazioni successive, è, come già accennavi, lo stile frizzante, giocoso, ben bilanciato tra la necessità di non far cadere il lettore nella noia della manualistica canonica e l’esigenza di fornire contenuti seri, ampi e calibrati sul livello potenziale dei lettori a cui ti rivolgi. Un connubio che si è dimostrato efficace per i titoli entry level. Pensi che il tono informale che ti contraddistingue possa essere adottato senza remore anche nelle pubblicazioni rivolte al professionista?
Reputo fermamente di sì, anche se per Windows Vista Guida Completa siamo arrivati a un compromesso tra la mia esuberanza divulgativa e la vostra necessità di proporsi comunque in modo contenuto anche a un pubblico di lettori professionali. Non dubito su questa scelta, perché Apogeo ha una tradizione manualistica rispettata e rispettabilissima; ma da quanto ho visto, uno stile brioso e ironico viene apprezzato moltissimo anche dai professionisti. Le prove, tangibili, sono arrivate coi commenti dei lettori a L’investigatore informatico: sia professionisti di investigazioni informatiche che lettori neofiti mi hanno letteralmente sommerso di email di apprezzamento per essere riuscito nell’impresa di spiegare concetti molto ostici in modo comprensibile anche a chi sa fare solo “clic”. Sicuramente, il mio futuro editoriale continuerà a essere contraddistinto da questo stile. E chi storce il naso, forse, lo fa perché pensa che leggere d’informatica implichi un susseguirsi ininterrotto di sbadigli. Sveglia!
I tuoi libri sono stati , su taluni argomenti almeno, dei precursori nel mercato editoriale italiano. Mi riferisco per esempio a Skype Che funziona, primo manuale pubblicato in Italia su questa tecnologia che permette di effettuare telefonate gratuite o quasi tramite Internet. Mi riferisco anche all’Investigatore informatico, appunto, con il quale per primo hai cercato di rendere commestibile anche per i lettori con una conoscenza elementare dell’informatica alcune delle tecniche e degli strumenti adottati da una disciplina complessa come la computer forensics. Da che cosa è nata l’idea di questo libro, quali sono le sue finalità e i suoi punti di forza?
La genesi de L’investigatore informatico l’ho spiegata nell’introduzione del libro e non è assolutamente inventata, per fare effetto. Stavo gustandomi una puntata di C.S.I., il noto telefilm dedicato alle investigazioni sulle scene del crimine, quando mi è venuto in mente che anche quando si trova un computer sul luogo di un delitto, per esempio, si eseguono delle analisi. Era un argomento sicuramente ostico, ma con le dovute semplificazioni se ne poteva ricavare qualcosa di estremamente appassionante. In fondo anche C.S.I. semplifica moltissimo le procedure investigative, quindi perché non farlo parlando di investigazioni informatiche? Da qui, l’idea.
La tua ultima fatica, che coincide con il tuo primo libro di fascia alta sia per target sia per dimensioni dell’opera, è dedicata al mondo Microsoft e in particolare al nuovo e tanto atteso sistema operativo Windows Vista. Non a caso, dal momento che eri tra i beta tester del sistema operativo e chi quindi hai avuto la possibilità di conoscere Vista fin nei meandri più segreti. Ci dai tre buone ragioni per cui varrebbe la pena a tuo parere convertirsi a Vista?
Sarò breve, letale e convincente! Uno: è stabilissimo. Due: è molto sicuro. Tre: è completissimo.
Bene, e ora tre altrettanto buone ragioni per scegliere il tuo Windows Vista Guida completa, anziché uno dei tanti altri manuali disponibili a scaffale sul tema.
Sarò di nuovo breve, letale e convincente! Uno: è stabilissimo; ci potete anche appoggiare sopra la gamba di un tavolo e non si smuoverà, grosso com’è. Due: è molto sicuro; tiratelo in testa a qualcuno che vi sta antipatico e il risultato è garantito. Tre: è completissimo; oltre alle pagine c’è anche la copertina e perfino una mia piccola foto. Il poster proprio non ci stava…
Tu scherzi, ma Windows Vista Guida Completa è un libro accessibile a tutti e dedicato a tutti. Anzi, azzardo: è il più accessibile che possiate trovare in libreria. Chi non sa nulla d’informatica sarà accompagnato passo dopo passo alla scoperta della più recente versione di Windows, mentre chi è esperto troverà una moltitudine di procedure e trucchi spesso nemmeno documentati altrove.
Oggi, con una decina di manuali pubblicati e altri in arrivo, puoi dirti un autore a tutti gli effetti. Quale sarà la tua prossima mossa?
Sto respirando l’aria pulita del mio giardino, ma le particelle di carta (quella dei libri) iniziano a inebriarmi di nuovo, segno che è tempo di tornare alla tastiera. C’è in ballo di sicuro un argomento totalmente nuovo rispetto ai precedenti e… un seguito. In più, ci sono almeno altri due argomenti che pochi hanno trattato in modo esaustivo nell’editoria tecnologica e ai quali mi piacerebbe dare il giusto spazio. Nel frattempo do appuntamento ai lettori nel mio blog.
Un grazie a te, per i tuoi manuali e per questa intervista, ad Annalisa, tua moglie, per la pazienza, e a Fonzie, il tuo “cucciolo”, che rinuncia alla sue passeggiate forse un po’ anche per un inconsapevole amore verso i tuoi libri.
Sicuramente: e poi spesso compare in qualche foto dei miei libri, quindi è ben lieto della notorietà. Approfitto per ringraziaranche io, nuovamente e mai abbastanza, Annalisa; ma anche te, Francesca, e tutta Apogeo, che avete sopportato stoicamente i miei ritardi. Stoicamente: visto che le parole difficili le so scrivere pure io?
Sono distante, anni luce, da molte delle battaglie, che riconosco comunque civilissime, e dei metodi seguiti per combatterle che hanno caratterizzato la vita di Marco Pannella. E però a lui ho, da sempre, riconosciuto il merito di essere non solo coerente con le proprie idee ma anche disposto a difenderle sino alle estreme conseguenze. E dunque ha assolutamente ragione Antonio Macaluso che, oggi, ne Il Corriere scrive:
Questa volta è diverso. È come se in molti, molti ma forse non ancora abbastanza, fosse davvero scattata l'idea, la paura, che Marco Pannella si sia spinto su un campo di battaglia che potrebbe essergli fatale. Come se le sabbie mobili dell'indifferenza o del già visto possano inghiottire questo pur astuto e navigato leader politico, illudendolo che alla fine qualcuno troverà il modo di fargli sospendere l'ennesimo sciopero della fame e, soprattutto, della sete. Di salvargli la pelle.E allora, proprio questo bisogna fare, salvargli la vita. Una Paese che si dice civile, democratico, non può lasciare che un vecchio combattente, un pezzo pregiato della sua storia repubblicana, venga lasciato solo proprio nel momento in cui l'età e gli acciacchi lo rendono più vulnerabile.Non ci vuole poi una gran quantità di coscienza individuale e collettiva per ammettere che la sua battaglia, quella per un'adeguata visibilità televisiva del suo movimento, poggia su delle verità. Alcuni diranno, come sempre quando Pannella smette di mangiare e di bere, che il governo, le istituzioni non possono «cedere al ricatto» perché «lui non è diverso dagli altri».A questi sacerdoti del rigore ci permettiamo di ricordare quante — tante — volte le battaglie di Pannella sono state battaglie di molti, per molti, in qualche caso per tutti.Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, quello della Camera Gianfranco Fini e molti altri, si sono spesi ieri per dare un segnale inequivocabile al leader radicale.Nell'altalenante e mai formale rapporto che con Pannella ha sempre avuto, ci piacerebbe ora che il presidente del Consiglio ci spiazzasse con un gesto d’affetto. Bello ma, questa volta sì, formale
Non sono giorni facili questi...siamo alle prese con una campagna elettorale complessa, caratterizzata - a me pare - da una sfiducia generalizzata verso la politica. Ho recuperato, dalla rete, questo discorso che Giorgio La Pira fece al Consiglio Comunale di Firenza (città della quale era sindaco) nel 1954. Ve lo affido perché a me pare che - al di là delle contingenze - esso spieghi cosa dovrebbe essere politica....
24 settembre 1954: intervento del Sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, in Consiglio Comunale:
Altri particolari, su questo punto, io non posso più darvi: una cosa è certa: se il sistema industriale e commerciale fiorentino non è crollato, se i redditi degli industriali e dei commercianti non si sono abbassati ma si sono di molto elevati, se il reddito globale della città non è stato gravemente ferito ma si è, anzi, notevolmente elevato, se la disoccupazione non è divenuta terribile, la causa è dovuta, signori, ai due fatti di cui vi ho parlato: i dodici mila milioni di investimenti da me procurati e la strenua difesa del sistema industriale da me efficacemente operata! Ma allora perché queste dimissioni? Vi sono altre cause? Vediamo: forse la requisizione di alloggi -vecchie ville disabitate e vecchi alloggi- per provvedere alla alluvione degli sfratti? Ma, signori, io dico a voi, chiunque voi siate: -se voi foste sfrattati? Se l'ufficiale giudiziario buttasse sulla strada voi, la vostra sposa, i vostri figli, i vostri mobili, voi che fareste? Se il vostro reddito, fosse, per esempio, di 30 mila, 40 mila, 50 mila lire al mese, come fareste a procurarvi una casa dove si paga 20 mila o 30 mila lire al mese di pigione? Ditemi voi, come fareste? Sapete quale è il numero degli sfratti coi quali abbiamo avuto da fare in questi tre anni? Se vi dico tremila non vi dico un numero eccessivo! Ebbene, io vi prego, signori Consiglieri liberali, potreste restare indifferenti davanti a questa marea che diventa disperante per chi ne è investito? In una comunità cittadina non bestiale ma umana è possibile lasciare senza soluzione un problema così drammatico per la sua improrogabilità ed urgenza? È possibile che un Sindaco, di qualunque parte sia, se ne resti indifferente davanti a tanta cruda sofferenza? Ripeto, se capitasse a voi di essere sfrattati e nelle condizioni di non potere pagare 20 mila lire di pigione avendo un reddito di 40 o 50 mila lire mensili, che fareste? Eppure è stata proprio questa una delle cause che più vi hanno irritato, signori Consiglieri liberali: ha requisito le case! che grave colpa! Ma che dovevo fare? Ho dato una mano di speranza -del resto sulla base di una legge!- a tante famiglie povere e disperate! Case vecchie, ville vecchie: provvedimenti di emergenza, come si fa quando il fiume straripa e l'alluvione costringe le Autorità a prendere i provvedimenti del caso! Lo so, signori Consiglieri liberali; vi ha dato anche noia la requisizione dell'officina del gas, ma solo così si impediva lo sciopero e si evitava ad una intiera città l'immenso disagio che deriva dalla mancanza di un elemento essenziale al normale svolgimento della vita quotidiana delle famiglie. Anche questo atto, rivolto al bene comune, non potrebbe legittimare le vostre dimissioni. Ed infine: forse la municipalizzazione della Nettezza Urbana? Ma è stata la maggioranza del Consiglio a volerla: e voi che siete, giustamente, per la libertà che deve ispirare le decisioni dei membri degli organi politici ed amministrativi non dovreste che essere lieti che ciascun Consigliere abbia votato secondo la sua coscienza. Problema dell’ATAF? È all'ordine del giorno ed i Consiglieri sono, qui pure, liberi di votare secondo la loro convinzione: né potete lamentarvi del voto sul bilancio: perché la verità va innanzi ad ogni cosa: il bilancio preventivo ATAF approvato nella passata sessione è un bilancio ottimo: un bilancio in pareggio: in Italia è l'unico bilancio in pareggio di Aziende Tranviarie. Le altre Aziende hanno sbilanci che in alcune città si misurano a miliardi. Questo va detto, per l'onestà che ci impone di riconoscere le cose vere. Capisco anche le impostazioni politiche, ma sempre nell'orbita della verità. E comunque i Consiglieri affronteranno serenamente anche questo problema e lo risolveranno secondo le loro valutazioni complessive che sono anche politiche. Problema del Sovrintendente del Comunale? Ma signori, non dipende da noi la soluzione di esso: noi abbiamo un solo potere: fare una terna e proporla al Ministro: sarà il Ministro a decidere. Ma ricordatevi, signori, che nelle relazioni fra gli uomini bisogna sempre porsi questa domanda nella quale sta l'essenza della legge di amore che il Signore ci comanda: -se tu fossi in una determinata posizione cosa vorresti che venisse a te fatto? Non si sbaglia mai quando si sbaglia per eccesso di generosità e di amore: si sbaglia sempre, invece, quando si sbaglia per difetto di comprensione e di amore! Ed infine, signori Consiglieri, mi viene imputato di prendere iniziative personali senza preventivi accordi con la Giunta! Quali? Non ho preso nessuna iniziativa che non rientrasse nei miei diritti e doveri e responsabilità di Sindaco. Si allude forse ai miei interventi per i licenziamenti e per gli sfratti e per altre situazioni nelle quali si richiedeva a favore degli umili, e non solo di essi, l'intervento immediato, agile, operoso del capo della città? Ebbene, signori Consiglieri, io ve lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa: voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco non si interessi delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.). È il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette discriminazioni e che mi deriva prima che dalla mia posizione di capo della città -e quindi capo della unica e solidale famiglia cittadina- dalla mia coscienza di cristiano: c'è qui in giuoco la sostanza stessa della grazia e dell 'Evangelo! Se c'è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi con tutti gli accorgimenti che l'amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia o diminuita o lenita. Altra norma di condotta per un Sindaco in genere e per un Sindaco cristiano in ispecie non c'è! Quindi, signori Consiglieri, è bene parlare chiaro su questo punto! Ripeto, voi avete un diritto nei miei confronti: negarmi la fiducia: dirmi con fraterna chiarezza: signor La Pira lei è troppo fantastico e non fa per noi! Ed io vi ringrazierò: perché se c'è una cosa cui aspiro dal fondo dell'anima è il mio ritorno al silenzio ed alla pace della cella di San Marco, mia sola ricchezza e mia sola speranza! Ed è forse bene, amici, che voi vi decidiate così! lo non sono fatto per la vita politica nel senso comune di questa parola: non amo le furbizie dei politici ed i loro calcoli elettorali; amo la verità che è come la luce; la giustizia, che è un aspetto essenziale dell'amore; mi piace di dire a tutti le cose come stanno: bene al bene e male al male. Un uomo così fatto non deve restare più oltre nella vita politica che esige -o almeno si crede che esiga- altre dimensioni tattiche e furbe! Ma se volete che resti ancora sino al termine del vostro viaggio allora voi non potete che accettarmi come sono: senza calcolo: col solo calcolo di cui parla l'Evangelo: fare il bene perché è bene! Alle conseguenze del bene fatto ci penserà Iddio! Signori Consiglieri, ecco, dunque, individuate le cause lontane e prossime delle dimissioni degli assessori liberali: si chiamano Pignone, Manetti e Roberts, requisizione di case per sfrattati, interventi per assistenza e così via: cioè si chiamano una certa visione essenzialmente sociale e cristiana nel condurre la vita cittadina! Permettete, signori Consiglieri liberali, che io vi dica: -quanta distanza da quel liberalismo luminoso che ha fatto, in Inghilterra, da luce e guida allo stesso movimento laburista e che viene sigillato con due qualifiche piene di valore sociale ed umano: il liberalismo del pieno impiego e della totale assistenza sociale (piano Beveridge liberale!). Signori Consiglieri, ho finito: perdonatemi questa esposizione un po' lunga e sommaria insieme. Ho voluto scriverla perché ho l'impressione che questa seduta abbia un particolare valore nel tessuto della vita amministrativa e politica di Firenze. Le cose scritte sono documenti che restano: contra scriptum non valet argomentum! Alla domanda conclusiva che voi ora mi fate:- e cioè, come pensa l'Amministrazione di sostituire i due assessori liberali? E cosa si pensa di fare per l'avvenire? Eleggerete voi i nuovi! E quanto all'avvenire il nostro punto di vista rimane quello medesimo che indicammo all'inizio della nostra navigazione amministrativa: miriamo al bene della città: alla pacifica e fraterna coesistenza dei cittadini; alla effettiva ed efficace tutela degli operai e degli umili; ad una politica crescente di edilizia popolare; alla elevazione del reddito cittadino; alla difesa delle industrie ed allo sviluppo degli investimenti; alla crescente attrazione di questa città così misteriosa e così bella per tutta l'orbita della civiltà cristiana ed umana. Miriamo a fare di Firenze un punto di pace cristiana nel quale possano trovare speranza e amicizia, senza distinzioni, i popoli tutti della terra! Questo -immutato!- il nostro ideale di ieri, di oggi, di domani. E non posso finire senza fare un ammonimento fraterno: chiedo a tutti, per amore di Dio, di non ferirmi con fa menzogna e con la ingiustizia! Ripeto: voi avete il diritto di negarmi la fiducia, liberandomi così dalle mie pesanti responsabilità: ma nessuno ha il diritto di ingiuriarmi! Nessuno ha il diritto di ostacolare, di proposito, con la menzogna, la navigazione già così faticosa nella quale siamo impegnati. Se qualcuno pensasse di farlo io mi permetto di fargli presente una cosa di estrema serietà. È questa: -gli uomini investiti di pubbliche responsabilità -quando tali responsabilità non siano state cercate e mirino, per amore di Dio, al bene ed alla pace di tutti- sono portatori di una investitura misteriosa e sacra. Rileggete, signori, in proposito le pagine severe ed ammonitrici del l'Antico Testamento. Il Signore stesso è di questi uomini la forza ed il rifugio. Essi non confidano né nella potenza, né nel danaro, né nella furbizia: confidano in Dio solo. E Dio è la forza misteriosa che abbatte, senza risparmio, tutti coloro che si oppongono ai loro divisamenti di amore e di pace! Aflligam afllingentes te et inimicus ero inimicis tuis. Signori Consiglieri, queste non sono parole mie, non sono tesi mie: sono parole ispirate a tesi ispirate: Dio stesso le ha consegnate nelle pagine e nei testi dell'Antico Patto. È questo l'ammonimento fraterno che io vi faccio: un ammonimento della cui efficacia misteriosa io ho già una lunga e severa esperienza! L'augurio che a tutti voi io faccio in questo giorno di settembre dedicato alla festività di Maria, dal titolo della Mercede, è che tutti insieme, senza distinzione di parte, si miri al bene di questa nostra città incomparabile, che è per il mondo come un faro di bellezza e di speranza. Firenze ci unisca: e nel nome di Firenze e della missione di Firenze nel mondo, noi possiamo trovare tutti insieme, un punto di convergenza ed una efficace speranza di fraternità e di bene!
La scure di Schwarzenegger sull’università di Padova
PADOVA – Conan il barbaro se l'è presa con il Bo. Ma questo non è un film che fa divertire. Il problema, anzi, è serio. Arnold Schwarzenegger, governatore della California, stretto da una crisi di bilancio senza precedenti, ha deciso di tagliare i fondi per l'istruzione universitaria. Ben 13 milioni di euro. E tra le prime realtà a cadere sotto la scure è finito proprio lo storico «Centro Studi » padovano della University of California: un'istituzione dove dal 1963, anno in cui il rettore Guido Ferro stipulò la convenzione con l'ateneo americano (in realtà un sistema complesso, composto da dieci campus), sono transitati migliaia di studenti, italiani e statunitensi. Licenziamenti Il primo aprile le quattro dipendenti del Centro – Bonnie Ponthier, Elisabetta Convento, Raffaella Capanna e Margharet Tiso – hanno ricevuto la spiacevole sorpresa della lettera di licenziamento. Qualche settimana prima, intuendo l'aria di crisi e le intenzioni del governo di Sacramento, loro stesse avevano proposto di decurtarsi lo stipendio, ma non c'è stato nulla da fare. Bonnie, Elisabetta e Raffaella smetteranno a giugno; Maggie, invece, rimarrà da sola fino a febbraio, quando il Centro, che ha sede nella centralissima via Oberdan e per il quale l'Università di Padova paga l'affitto mensile, dovrebbe serrare definitivamente i battenti. Programma addio Nelle forbici del Governator - crasi di Governor e Terminetor, molto usata negli States - non è finito tuttavia solo il «Centro Studi». Pure il «Programma», ossia l'accordo di scambio che consente anche agli studenti italiani di recarsi nei campus californiani - da Berkeley a Santa Cruz - subirà un forte ridimensionamento: terminerà nel 2012, come prevede la convenzione, ma poi non sarà rinnovato per intero e molti flussi verranno dirottati a Bologna. Il fatto rappresenterebbe una perdita enorme per Padova, che già soffre di una sorta di crisi di identità a livello internazionale. Si pensi che solo l'ultimo anno sono stati ben 75 i ragazzi americani che, attraverso il «Programma », hanno studiato al Bo. Mentre sono 56 quelli padovani spediti in California. Le contromisure Ieri mattina al Bo il Magnifico Vincenzo Milanesi, assieme al professor Carlo Someda, delegato del rettore per i rapporti con il mondo anglosassone e alla professoressa Marina Pianca, direttrice del Centro studi di Padova e di Bologna, hanno reso pubbliche le controproposte presentate dall'ateneo patavino alla University of California, affinché non lasci definitivamente la città. L'idea per il «Centro Studi » è quella di gestirlo attraverso la creazione di un consorzio di università internazionali (tra cui, pare, alcune sudamericane), in modo da alleggerire la spesa. Per il «Programma», invece, si pensa ad una duplice direzione. «Vogliamo istituire due corsi che possano attrarre gli studenti dagli Stati Uniti - ha detto il professor Someda - . L'uno chiamato “Certificate Program”, con un offerta varia mirata alla qualità, il secondo detto “Academic Internschip Program”, con il quale vorremo portare 10, 15 studenti americani direttamente nei dipartimenti a fare ricerca ». Basterà per convincere l'implacabile Schwarzenegger?
Di lui Messner con tipica semplicità montanara ebbe a dire soltanto: cuore e polmoni, fu l'ultimo eroe. E sarà anche vero (come ebbe modo di dimostrare al termine di una complicatissima e lunga indagine la commissione di inchiesta appositamente costituita dal CAI) che il 31 luglio del 1954 lui, insieme a Lino Lacedelli, in vetta al K2 ci arrivarono usando bombole e maschere (e dunque acclarando la verità storica da sempre sostenuta da Walter Bonatti; dichiarò l'Achille: "il K2 non l'hanno conquistato Compagnoni e Lacedelli . L'ha conquistato una piramide umana di persone che col lavoro di mesi ha reso possibile il raggiungimento dell'obiettivo") ma intanto l'Achille è stato il primo a toccare quota 8611 metri lungo la via "normale" che poi in pochissimi tentarono stante la sua enorme difficoltà e pericolosità (il K2 è tutto, ma proprio tutto, difficile; basti pensare che dal 1954 ad oggi solo 285 uomini e 11 donne sono saliti fino in vetta e ben 31 di questi sono morti scendendone). E per chi va in montagna, con cuore e passione, con senso di libertà ma anche amore profondo, il K2 non è "solo" la seconda montagna più alta del mondo ma è, molto più semplicemente, "la vetta": quella che quando raggiungi puoi dirti nell'Olimpo degli eroi, degli dei, di coloro ai quali davvero tutto, ma proprio tutto, ora è permesso. Anche di morire in un letto d'ospedale a 94 anni come toccato in sorte all'Achille (Compagnoni va aggiunto, ma quando si parla di montagna lui è semplicemente l'Achille) che se ne è andato l'altra notte ad Aosta per via di alcuni malanni che da tempo si trascinava dietro. Ciao Maestro e se sei già salito sul tuo amato Cervino continua a guardarci con quei tuoi occhi che ridevano delle nostre miserie umane.
Quando senti che tutto sta per finire se sei un uomo probabilmente ti disperi, se sei un poeta riesci a fare questo:
L'amico Andrea Ferrazzi mi ha inviato questo articolo (da Repubblica)
Il racconto.
Tra le reduci del Pinar: meglio morire che tornare lì"
Voi italiani siete buoni, come potete fare una cosa del genere?" "Li avete mandati al massacro in quei lager stupri e torture" Le lacrime di Hope e Florence per i disperati riportati in Libia: i nostri mesi all'inferno
dal nostro inviato FRANCESCO VIVIANO
LAMPEDUSA - "Li hanno mandati al massacro. Li uccideranno, uccideranno anche i loro bambini. Gli italiani non devono permettere tutto questo. In Libia ci hanno torturate, picchiate, stuprate, trattate come schiave per mesi. Meglio finire in fondo al mare. Morire nel deserto. Ma in Libia no". Hanno le lacrime agli occhi le donne nigeriane, etiopi, somale, le "fortunate" che sono arrivate a Lampedusa nelle settimane scorse e quelle reduci dal mercantile turco Pinar. Hanno saputo che oltre 200 disgraziati come loro sono stati raccolti in mare dalle motovedette italiane e rispediti "nell'inferno libico", dove sono sbarcati ieri mattina. Tra di loro anche 41 donne. Alcuni hanno gravi ustioni, altri sintomi di disidratazione. Ma la malattia più grave, è quella di essere stati riportati in Libia. Da dove "erano fuggite dopo essere state violentati e torturati. Non solo le donne, ma anche gli uomini". I visi di chi invece si è salvato, ed è a Lampedusa raccontano una tragedia universale. La raccontano le ferite che hanno sul corpo, le tracce sigarette spente sulle braccia o sulla faccia dai trafficanti di essere umani. Storie terribili che non dimenticheranno mai. Come quella che racconta Florence, nigeriana, arrivata a Lampedusa qualche mese fa con una bambina di pochissimi giorni. L'ha battezzata nella chiesa di Lampedusa e l'ha chiamata "Sharon", ma quel giorno i suoi occhi, nerissimi, e splendenti come due cocci di ossidiana, erano tristi. Quella bambina non aveva un padre e non l'avrà mai. "Mi hanno violentata ripetutamente in tre o quattro, anche se ero sfinita e gridavo pietà loro continuavano e sono rimasta incinta. Non so chi sia il padre di Sharon, voglio soltanto dimenticare e chiedo a Dio di farla vivere in pace". Accanto a Florence, c'è una ragazza somala. Anche lei ha subito le pene dell'inferno. "Quando ho lasciato il mio villaggio ho impiegato quattro mesi per arrivare al confine libico, e lì ci hanno vendute ai trafficanti e ai poliziotti libici. Ci hanno messo dentro dei container, la sera venivano a prenderci, una ad una e ci violentavano. Non potevamo fare nulla, soltanto pregare perché quell'incubo finisse". Raccontano il loro peregrinare nel deserto in balia di poliziotti e trafficanti. "Ci chiedevano sempre denaro, ma non avevamo più nulla. Ma loro continuavano, ci tenevano legate per giorni e giorni, sperando di ottenere altro denaro". Il racconto s'interrompe spesso, le donne piangono ricordando quei giorni, quei mesi, dentro i capannoni nel deserto. Vicino alle spiagge nella speranza che un giorno o l'altro potessero partire. E ricordano un loro cugino, un ragazzo di 17 anni, che è diventato matto per le sevizie che ha subito e per i colpi di bastone che i poliziotti libici gli avevano sferrato sulla testa. "È ancora lì, in Libia, è diventato pazzo. Lo trattano come uno schiavo, gli fanno fare i lavori più umilianti. Gira per le strade come un fantasma. La sua colpa era quella di essere nero, di chiamarsi Abramo e di essere "israelita". Lo hanno picchiato a sangue sulla testa, lo hanno anche stuprato. Quel ragazzo non ha più vita, gli hanno tolto anche l'anima. Preghiamo per lui. Non perché viva, ma perché muoia presto, perché, finalmente, possa trovare la pace". Le settimane, i mesi, trascorsi nelle "prigioni" libiche allestite vicino alla costa di Zuwara, non le dimenticheranno mai. "Molte di noi rimanevano incinte, ma anche in quelle condizioni ci violentavamo, non ci davano pace. Molti hanno tentato di suicidarsi, aspettavano la notte per non farsi vedere, poi prendevano una corda, un lenzuolo, qualunque cosa per potersi impiccare. Non so se era meglio essere vivi o morti. Adesso che siamo in Italia siamo più tranquille, ma non posso non stare male pensando che molte altre donne e uomini nelle nostre stesse condizioni siano state salvate in mare e poi rispedite in quell'inferno, non è giusto, non è umano, non si può dormire pensando ad una cosa del genere. Perché lo avete fatto?". "Noi eravamo sole, ma c'erano anche coppie. Spesso gli uomini morivano per le sevizie e le torture che subivano. Le loro mogli imploravano di essere uccise con loro. La rabbia, il dolore, l'impotenza, cambiavano i loro volti, i loro occhi, diventavano esseri senza anima e senza corpo. Aiutateci, aiutateli. Voi italiani non siete cattivi. Non possiamo rischiare di morire nel deserto, in mare, per poi essere rispediti come carne da macello a subire quello che cerchiamo inutilmente di dimenticare". Hope, 22 anni, nigeriana è una delle sopravvissute ad una terribile traversata. Con lei in barca c'era anche un'amica con il compagno. Viaggiavano insieme ai loro due figlioletti. Morirono per gli stenti delle fame e della sete, i corpi buttati in mare. "Come possiamo dimenticare queste cose?". Anche loro erano in Libia, anche loro avevano subito torture e sevizie, non ci davano acqua, non ci davano da mangiare, ci trattavano come animali. Ci avevano rubati tutti i soldi. Per mesi e mesi ci hanno fatto lavorare nelle loro case, nelle loro aziende, come schiavi, per dieci, venti dollari al mese. Ma non dovevamo camminare per strada perché ci trattavano come degli appestati. Schiavi, prigionieri in quei terribili capannoni dove finiranno quelli che l'Italia ha rispedito indietro. Nessuno saprà mai che fine faranno, se riusciranno a sopravvivere oppure no e quelli che sopravviveranno saranno rispediti indietro, in Somalia, in Nigeria, in Sudan, in Etiopia. Se dovesse accadere questo prego Dio che li faccia morire subito". (8 maggio 2009)
Nell’estate del 1951 Giuseppe Dossetti lasciava la vita politica. Si ritirava a Bologna dove aveva creato "il centro documentazione" sulla vita della Chiesa e della società italiane. Si avviava il percorso che lo avrebbe portato al sacerdozio. Ma nel 1956, in occasione delle elezioni comunali, nel capoluogo emiliano governato da un politico di razza e molto popolare, Giuseppe Dozza, accettava di capeggiare la lista della Democrazia cristiana. Accompagnava questa scelta la presentazione di un corposo Libro bianco, di ben 170 pagine, non diffuso gratuitamente ma venduto a 600 lire (e già questa era una novità per la politica del tempo) nel quale esponeva il suo articolato progetto di città partecipata con la proposta innovativa dei quartieri, progetto fondato su analisi e studi condotti con rigore (una collaborazione fattiva fu, tra le altre, quella di Achille Ardigò) caratterizzato da una capacità affascinante di comunicazione (non ci furono praticamente aree centrali e periferiche di Bologna che non venissero raggiunte dai suoi giovani ed entusiasti collaboratori) e animato dall’idea di fondo che «per fare politica occorre informarsi, studiare e alzare lo sguardo oltre il particolare…». Lo scrive Gianni Boselli che ha curato la ristampa integrale del Libro bianco (in uscita per l’editore Diabasis). Ad oltre cinquant’anni da quelle elezioni e mentre Bologna, con altre città, si prepara al rinnovo del Consiglio, può sembrare una sorta di archeologia politica questo ripescaggio. Troppe cose sono cambiate da allora. È cambiata la città; i partiti sono in crisi o scomparsi, la disaffezione dei cittadini verso le istituzioni è crescente, un programma di oltre 170 pagine è oggi impensabile; il buon governo dell’amministrazione bolognese, che per anni il Pci ha sbandierato come modello, è alle spalle per la prevalenza di un "conservatorismo di sinistra" che già Dossetti denunciava negli infuocati comizi del 1956 provocando la risentita reazione, altrettanto infuocata, di Togliatti e degli altri leader comunisti. Eppure i tre saggi di Luigi Pedrazzi (Dossetti lo chiamò nella sua lista per il Comune), del ricercatore Luigi Giorgi e del politologo Paolo Pombeni consentono di collocare la novità del Libro bianco (che tale fu anche se non poche delle proposte sono state "copiate" in numerose città), fondato sul principio della partecipazione dal basso, nello scenario della politica interna e internazionale (il 1956 è l’anno del Rapporto Kruscev, cui seguirà nell’autunno l’invasione dell’Ungheria e la crisi di Suez) e in una realtà ecclesiale che, anche se papa Giovanni e il Concilio erano ancora inimmaginabili, appariva più mossa e meno uniforme. Le relazioni quasi naturali tra la Dc retta con polso fermo da Fanfani e la Chiesa italiana rendevano le elezioni in una città importante come Bologna un test che non si poteva ignorare.Nel 1951 le elezioni per il rinnovo del Consiglio – ricorda Pedrazzi – si erano concluse con un ridottissimo margine di vantaggio per il Pci. Meno di un punto percentuale aveva diviso la coalizione di sinistra da quella centrista, Dc e partiti laici minori. C’era quindi nei partiti anticomunisti la speranza di conquistare il Comune. Perché si ricorse a Dossetti che dal 1951 era fuori gioco anche se non disinteressato alle vicende italiane e internazionali? Si è sempre parlato e scritto di un intervento dell’arcivescovo Lercaro, che quasi impose "per obbedienza" a Dossetti di candidarsi. Ma oltre al cardinale, anche un esponente autorevole, l’onorevole Angelo Salizzoni guardava al "professorino" come unica carta per vincere la sfida con un Pci fortemente radicato in città. Dossetti si piegò alle sollecitazioni di Salizzoni e di Lercaro. Strappò a un Fanfani riluttante, in un incontro a Roma con il segretario del partito, l’autorizzazione a essere candidato «ma dal voto primario di tutti gli iscritti alla Dc bolognese» e non da un comitato ristretto di notabili del partito. Dossetti fu sempre attento a non coinvolgere nella sua campagna parti significative della Chiesa bolognese. Ma la candidatura fu da lui vissuta – lo avrebbe ricordato alcuni anni dopo – come qualcosa «che gli tagliava la faccia». Dossetti – scrive ancora Pedrazzi – «fu interiormente orripilato e in qualche modo offeso da una proposta così lontana da una strada su cui intendeva camminare». Ma una volta dato il suo assenso, si gettò con passione e grinta contro «l’immobilismo conservatore» di un’amministrazione che non corrispondeva, a suo giudizio, «alle possibilità reali del popolo di Bologna». Senza mai illudersi sul risultato («noi perderemo – avrebbe detto a Pedrazzi – ma il nostro impegno è dire quanto ci sembra giusto. Saranno poi i cittadini a decidere»).Dozza avrebbe vinto. E Dossetti, come annota Giorgi, per due anni, fino a quando entrò in seminario, «fu uomo di opposizione, ma di una opposizione costruttiva, mai pregiudiziale». Pombeni sottolinea una certa ambivalenza «e persino ambiguità» della sua presenza pubblica. Dossetti aveva però avvertito da tempo: «I cattolici italiani non sono maggioranza, noi siamo minoranza…». Il Libro bianco riflette una stagione conclusa da tempo. Ma questo obiettivo – come nota Giorgi – «di sentire la città, di vederla crescere secondo uno sviluppo organico», ci sembra ancora attuale mentre milioni di italiani voteranno a giugno per rinnovare i consigli comunale di molte città, Bologna in testa.
Che la forza sia con voi
Non ne ho ancora usata una intera cassa...ma il mal di stomaco sta passando e allora....