sabato 25 dicembre 2010
di Hirokazu Ogura
Perché
dappertutto ci sono cosi tanti recinti?
In fondo tutto il mondo e un grande recinto.
Perché
la gente parla lingue diverse?
In fondo tutti diciamo le stesse cose.
Perché
il colore della pelle non e indifferente?
In fondo siamo tutti diversi.
Perché
gli adulti fanno la guerra?
Dio certamente non lo vuole.
Perché
avvelenano la terra?
Abbiamo solo quella.
A Natale - un giorno - gli uomini andranno d’accordo in tutto il mondo.
Allora ci sarà un enorme albero di Natale con milioni di candele.
Ognuno ne terrà una in mano, e nessuno riuscirà a vedere l’enorme albero fino alla
punta.
Allora sì tutti diranno "Buon Natale!" a Natale, un giorno.
Che la forza sia con voi! E....sursum corda!!!!!!
giovedì 23 dicembre 2010
BUON NATALE/1
Paolo Farinella prete così dirà alla celebrazione della Veglia di Natale nella sua parrocchia di San Torpete in Genova....(il grassetto è mio)
(...) Troppa retorica si fa intorno al Natale, perdendo di vista il nucleo essenziale, senza del quale ciò che facciamo questa sera è solo la rappresentazione di una fiaba e non il cuore stesso travolto e travolgente del mistero di Dio che si fa uomo per renderci più facile la possibilità d’incontrarlo e di amarlo. A natale bisogna sapere e avere coscienza che il Bambino che chiede di nascere…
- è un extracomunitario perché è un palestinese di Nàzaret;
- è un emigrato in Egitto, perché perseguitato politico e religioso fin dalla nascita;
- è vittima delle leggi razziali e razziste delle politiche di espulsione perché senza permesso di soggiorno;
- è ebreo di nascita e ricercato per essere eliminato;
- è palestinese di nazionalità perché figlio di quella terra;
- è un fuorilegge perché è un clandestino e ricercato dalla polizia;
- è un poco di buono perché figlio di una ragazza-madre, appena adolescente;
- è oppositore del potere religioso e politico e finisce morto ammazzato;
- è povero dalla parte dei poveri e deve essere eliminato;
- è un laico credente atipico e controcorrente;
- è poco raccomandabile perché frequenta lebbrosi e prostitute;
- è Dio perché i suoi pensieri non sono i pensieri dei benpensanti (Is 55,8).
Che la forza sia con voi!
(...) Troppa retorica si fa intorno al Natale, perdendo di vista il nucleo essenziale, senza del quale ciò che facciamo questa sera è solo la rappresentazione di una fiaba e non il cuore stesso travolto e travolgente del mistero di Dio che si fa uomo per renderci più facile la possibilità d’incontrarlo e di amarlo. A natale bisogna sapere e avere coscienza che il Bambino che chiede di nascere…
- è un extracomunitario perché è un palestinese di Nàzaret;
- è un emigrato in Egitto, perché perseguitato politico e religioso fin dalla nascita;
- è vittima delle leggi razziali e razziste delle politiche di espulsione perché senza permesso di soggiorno;
- è ebreo di nascita e ricercato per essere eliminato;
- è palestinese di nazionalità perché figlio di quella terra;
- è un fuorilegge perché è un clandestino e ricercato dalla polizia;
- è un poco di buono perché figlio di una ragazza-madre, appena adolescente;
- è oppositore del potere religioso e politico e finisce morto ammazzato;
- è povero dalla parte dei poveri e deve essere eliminato;
- è un laico credente atipico e controcorrente;
- è poco raccomandabile perché frequenta lebbrosi e prostitute;
- è Dio perché i suoi pensieri non sono i pensieri dei benpensanti (Is 55,8).
Che la forza sia con voi!
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mercoledì 22 dicembre 2010
OPINIONI CONDIVISE
Massimo Gramellini ne La Stampa dello scorso 8 dicembre:
La nomenclatura del Pd sta crocifiggendo Matteo Renzi perché il sindaco di Firenze è andato a fare merenda ad Arcore da Berlusconi, pur di ottenere dal governo un provvedimento fiscale a favore della sua città. Certo, sarebbe stato meglio se l’incontro fra i due furbacchioni fosse avvenuto a Palazzo Chigi anziché nell’abitazione privata del sovrano, nota agli annali per le cene a lume di candelotto con Bossi e le barzellette sul bunga bunga. Però il peccato veniale del giovane sindaco non oscura la realtà. Dopo il prepensionamento di Prodi, Renzi è l’unico politico del centrosinistra in grado di battere Berlusconi in una campagna elettorale.
Se il Pd intende governare davvero, deve aumentare i propri voti, non solo i propri alleati. Deve cioè convincere una parte degli elettori del Caimano a scegliere i democratici. Ora, conosco tanti berlusconiani delusi, ma neanche uno disposto a votare per Bersani, Vendola o chiunque altro sia stato iscritto al Pci. Mentre ne conosco parecchi che, nauseati da Silvio, sarebbero pronti a dirottare la loro preferenza su questo boy scout spregiudicato e post-ideologico, che a Firenze si è candidato in barba al Cremlino locale e l’ha fatto secco. La sinistra imputa a Renzi proprio questa «compatibilità» caratteriale con gli arci-italiani del fronte avverso. Il suo modo di essere, di fare e persino di parlare irrita i dirigenti del Pd, ma evidentemente non gli elettori. Non so dirvi chi abbia ragione. Ma so che Renzi, nel bene e nel male, appartiene all’attualità. Gli altri, al museo del Novecento.
Che la forza sia con voi!
La nomenclatura del Pd sta crocifiggendo Matteo Renzi perché il sindaco di Firenze è andato a fare merenda ad Arcore da Berlusconi, pur di ottenere dal governo un provvedimento fiscale a favore della sua città. Certo, sarebbe stato meglio se l’incontro fra i due furbacchioni fosse avvenuto a Palazzo Chigi anziché nell’abitazione privata del sovrano, nota agli annali per le cene a lume di candelotto con Bossi e le barzellette sul bunga bunga. Però il peccato veniale del giovane sindaco non oscura la realtà. Dopo il prepensionamento di Prodi, Renzi è l’unico politico del centrosinistra in grado di battere Berlusconi in una campagna elettorale.
Se il Pd intende governare davvero, deve aumentare i propri voti, non solo i propri alleati. Deve cioè convincere una parte degli elettori del Caimano a scegliere i democratici. Ora, conosco tanti berlusconiani delusi, ma neanche uno disposto a votare per Bersani, Vendola o chiunque altro sia stato iscritto al Pci. Mentre ne conosco parecchi che, nauseati da Silvio, sarebbero pronti a dirottare la loro preferenza su questo boy scout spregiudicato e post-ideologico, che a Firenze si è candidato in barba al Cremlino locale e l’ha fatto secco. La sinistra imputa a Renzi proprio questa «compatibilità» caratteriale con gli arci-italiani del fronte avverso. Il suo modo di essere, di fare e persino di parlare irrita i dirigenti del Pd, ma evidentemente non gli elettori. Non so dirvi chi abbia ragione. Ma so che Renzi, nel bene e nel male, appartiene all’attualità. Gli altri, al museo del Novecento.
Che la forza sia con voi!
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martedì 21 dicembre 2010
REGOLE
In algebra la proprietà commutativa ti insegna che se cambi l'ordine degli addendi, il risultato dell'addizione non cambia. Regola semplice, semplice (perfino ad uno come me) che dovrebbe valere oro anche in politica. In politica poi una regola non scritta ma che, laddove applicata, è sempre stata foriera di ottimi risultati insegna che prima si elabora un programma poi, su di esso, si cercano i consensi ed infine (ma solo infine!) il leader cui affidarlo.
Queste ultime ore mostrano come in taluni queste due regole non sono sufficientemente chiare. Ho da sempre dichiarato che nei miei "sogni" il ticket bello e affascinante con cui il centrosinistra potrebbe governare questo paese è quello composto da Nichi Vendola e Matteo Renzi. Candidature, entrambe, dirompenti ed innovative (a proposito: non sono stato per nulla scandalizzato dall'incontro tra Matteo e Berlusconi ad Arcore; quando sei sindaco di una città vai in qualunque posto - anche a casa del...diavolo - pur di portare a casa gli strumenti necessari ad amministrarla). Ma qual è l'obiettivo di Vendola e SEL? Quello di pescare in casa del PD? Se l'obiettivo è questo temo faremo poca strada proprio in virtù della proprietà commutativa: se PD + SEL hanno il (circa) 32% con un PD al 25 e SEL al 7, sempre 32% avrebbero se il PD fosse al 20 e SEL al 12! Io sono felice se una parte del centrosinistra accresce i propri consensi (anche se non applaudo...ma "solo" per una questione di stile) ma non a scapito degli altri suoi alleati piuttosto se riesce ad aumentarli attraendo quanti, oggi, hanno deciso di non votare o di votare per la coalizione avversaria. Lo stesso sia chiaro vale per il mio PD! Credo che l'obiettivo di SEL debba prima di tutto essere quello di recuperare quell'elettorato che, tre anni fa, voltò repentinamente le spalle a Rifondazione Comunista e ai derivati di quella sinistra italiana il cui male è da sempre stato le frammentazioni.
L'altro elemento: ha senso oggi discutere sul futuro leader del centrosinistra? Vendola? Casini? Bersani?Qualche altro papa nero (che noi veneziani già conosciamo in virtù della celebre canzone dei Pitura Freska)? Io dico di no. E lo dico perché credo sia certamente possibile realizzare in Italia una coalizione ampia, che vada da SEL all'UDC passando per l'Italia dei Valori ma che questa coalizione sia in grado di governare questo paese solo se, come elemento prioritario, vi sia la condivisione di una piattaforma programmatica: senza alcun "accordo di desistenza" ma soltanto attraverso la sottoscrizione pubblica e formale di tale piattaforma.
Che la forza sia con voi!
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sabato 18 dicembre 2010
SOLIDARIETA
Il signore che vedete nella foto a sinistra si chiama Giorgio Devoto, ha 69 anni e fino all'altro ieri era assessore alla cultura della Provincia di Genova come rappresentante dei Comunisti Italiani. Alcuni giorni fa il Presidente della Provincia, Repetto, ha deciso di allargare la maggioranza aprendo all'UDC e di sostituire Devoto con l'attuale presidente del Consiglio Provinciale, Agostino Barisione (PD). Non conosco Giorgio Devoto ma giusto oggi (ieri per chi legge) il mio amico Paolo Farinella prete (come ama firmarsi) mi ha inviato una mail in cui esprime tutta la sua amarezza per questa decisione. La prima considerazione che faccio è che certamente Devoto ha assolto in maniera egregia al suo compito: lo si capisce non solo dalle parole con cui il Presidente lo ha "liquidato" (che certo suonano molto di prammatica) ma anche da alcune attestazioni di stima che ho reperito in Internet. La seconda è che Devoto è un raffinato editore di poesia. Ora: una persona che dedica la sua vità a ciò che Montale definiva un prodotto assolutamente inutile ma quasi mai nocivo è, ai miei occhi, meritorio di qualunque forma di solidarietà, affetto e stima (deliziosa la mail che mi ha scritto). E se poi si sfoglia pure il catalogo delle sue edizioni si capisce subito che ad un editore raffinato corrisponde un...intellettuale raffinato e dunque ...un uomo onesto e giusto: Devoto pubblica fra l'altro il mio amatissimo Caproni, quel Silvio Ramat ch'io ho avuto la fortuna di avere come docente di Letteratura Italiana moderna e contemporanea all'Università di Padova e poi Sandro Penna, Franco Fortini e molti autori stranieri.
Ripeto: non conosco personalmente Giorgio Devoto ma mi è bastato leggerne da Paolo Farinella prete e sfogliarne il catalogo della sua casa editrice per avere subito un sentimento di profonda stima e di disagio nei confronti di questi rimpasti che obbediscono a mere ragioni partitiche e non meritocratiche.
Che la forza sia con voi!
Ripeto: non conosco personalmente Giorgio Devoto ma mi è bastato leggerne da Paolo Farinella prete e sfogliarne il catalogo della sua casa editrice per avere subito un sentimento di profonda stima e di disagio nei confronti di questi rimpasti che obbediscono a mere ragioni partitiche e non meritocratiche.
Che la forza sia con voi!
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venerdì 17 dicembre 2010
RESPONSABILITA'
C'è una specie di nuovo Bersani all'orrizzonte. Nelle ultime settimane il segretario del PD ha saputo tenere dritta la barra del partito (si pensi alla compattezza del voto a sostegno della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente del Consiglio), ha attivamente partecipato alle proteste contro la Riforma dell'Università proposta dal ministro Gelimini, ha indetto una straordinaria manifestazione come quella romana dell'11 dicembre, ha salvaguardato la realtà multisensibile del PD "stoppando" tentativi di matrimoni senza che siano passati attraverso un più o meno lungo periodo di fidanzamento (e noi che il PD l'abbiamo fondato di matrimoni subitanei ne sappiamo qualcosa). Ieri, infine, a Repubblica ha rilasciato una intervista nella quale afferma, a me pare con grande chiarezza, la vocazione assolutamente maggioritaria di un PD che prima delle alleanze pone seriamente il problema di quale proposta di governo intende presentare al Paese. Certo: su questo vi è indubbia consonanza tra Bersani e Vendola entrambi assolutamente in sintonia che il problema non sia sconfiggere Berlusocni quanto il berlusconismo. E che per farlo occorre varare una serie di riforme strutturali a partire da quella di un fisco che dovrebbe tassare le rendite finanziarie (e qui a qualcuno del PD le orecchie dovrebbero pure fischiare). Ma è sull'apertura chiara e diretta al cosiddetto terzo polo che vi è la novità di queste ultime ore: Casini/Rutelli/Fini come interlocutori naturali con cui confrantarsi sul merito delle proposte progettuali. L'altra novità è sostanzialmente l'abbandono delle primarie (e qui si rischia la rottura con Vendola ma anche con Renzi). Spiega Bersani: In nome di una strategia che chiede a ogni forza politica di non peccare di egoismo e di dare qualcosa, siamo pronti a mettere in discussione anche i nostri strumenti. Ci interessa l'obiettivo e riconosce che le primarie (specialmente quelle per le amministrative; vedi, ad esempio, il caso di Milano)Possono inibire rapporti più aperti e più larghi non solo con i partiti ma con la società civile. E possono portare elementi di dissociazione dentro il Pd che non fanno bene a nessuno. Bisogna dunque riformarle.
Questa dunque è la linea del PD. "Finalmente" verrebbe da dire giacché sino ad ora siamo parsi un partito della rincorsa, in perenne attesa di ciò che facevano gli altri piuttosto che essere noi a dettare le condizioni. Non è un caso che, negli ultimi sondaggi, il PD stia aumentando i consensi (per carità: siamo poco sopra il 25% ma è già qualcosa...). Non è un caso che questo incremento coincida con una fase nella quale le inevitabili difformità di pensiero, assolutamente lecite in un partito come il nostro, siano comunque oggetto di discussione e non di scontro. Ciò che sta emergendo in questi ultimi giorni è un PD in qualche modo finalmente autorevole. Speriamo che duri fino alle elezioni....
Che la forza sia con voi!
Questa dunque è la linea del PD. "Finalmente" verrebbe da dire giacché sino ad ora siamo parsi un partito della rincorsa, in perenne attesa di ciò che facevano gli altri piuttosto che essere noi a dettare le condizioni. Non è un caso che, negli ultimi sondaggi, il PD stia aumentando i consensi (per carità: siamo poco sopra il 25% ma è già qualcosa...). Non è un caso che questo incremento coincida con una fase nella quale le inevitabili difformità di pensiero, assolutamente lecite in un partito come il nostro, siano comunque oggetto di discussione e non di scontro. Ciò che sta emergendo in questi ultimi giorni è un PD in qualche modo finalmente autorevole. Speriamo che duri fino alle elezioni....
Che la forza sia con voi!
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mercoledì 15 dicembre 2010
RIFLESSIONI
L'amico Rodolfo Viola nel suo blog....
Sono le 5 del pomeriggio e sono nel mio ufficio presso la Camera.
Per spostarmi da Montecitorio a qui (poche centinaia di metri) ho dovuto superare diversi posti di blocco delle forze dell’Ordine che presidiavano il Parlamento.
Da fuori arrivano gli echi delle sirene: sappiamo dalle agenzie di stampa e da internet che ci sono stati scontri tra i manifestanti e la polizia con diversi feriti.
Non riesco a capire né a giustificare nessuna forma di violenza tantomeno oggi, mentre si svolgeva il dibattito nelle aule del Parlamento sul voto di sfiducia al governo. Non è tollerabile che venga strumentalizzata con la violenza la legittima protesta di chi vuole contestare l’operato del Governo. C’è stata un’evidente infiltrazione di black block tra i manifestanti. Le immagini rimbalzate dai siti web ci dicono chiaramente che questo è avvenuto contro la volontà degli studenti che manifestavano e bene hanno fatto le forze dell’ordine a reagire alla violenza e a loro va la mia solidarietà.
Come è noto il dibattito alla Camera si è concluso con la vittoria del Governo di destra (314 voti a 311) contro le mozioni di sfiducia che avevano presentato PD e IDV da un lato e UDC, FLI e MPA dall’altro.
Alcune defezioni in FLI e dei cambi di casacca, in modo particolare di 3 Deputati, hanno consentito al Governo di mantenere la maggioranza. Una maggioranza risicata che andrà valutata nelle prossime ore e nei prossimi giorni a mente fredda, ma fin d’ora possiamo dire alcune cose.
L’operazione di Fini di creare un’alternativa nella Destra alla leadership di Berlusconi subisce una grave battuta d’arresto. Il Presidente della Camera è il vero sconfitto del voto odierno e sarà da capire se riuscirà a resistere alla richiesta di dimissioni che già oggi, immediatamente dopo il voto si levavano da destra. Berlusconi, al contrario, ha dimostrato per l’ennesima volta di riuscire a governare meglio i rapporti e le relazioni fuori dall’aula che le gravi emergenze del Paese: di questa cosa dobbiamo essere coscienti se vogliamo tentare di creare alternative vere per il bene della nazione.
Il secondo elemento di valutazione è che anche il progetto del terzo polo esce ammaccato da questa vicenda e per di più chiarisce, per le cose dette in questi giorni e per la presenza di FLI, che questo progetto nasceva saldamente ancorato all’esperienza della destra.
Questi elementi, uniti alla coerente e unita posizione del PD, ci dicono che però serve da parte del Partito Democratico un nuova consapevolezza del proprio ruolo. Non si può pensare solo a rispondere tatticamente a quello che accade negli altri schieramenti o vicino a noi, ma il PD, con la sua proposta politica, deve tornare ad essere il punto di riferimento del centro sinistra, sapendo che solo se riuscirà in questo intento potrà diventare alternativa credibile per il governo del Paese.
Rodolfo Viola
Sono le 5 del pomeriggio e sono nel mio ufficio presso la Camera.
Per spostarmi da Montecitorio a qui (poche centinaia di metri) ho dovuto superare diversi posti di blocco delle forze dell’Ordine che presidiavano il Parlamento.
Da fuori arrivano gli echi delle sirene: sappiamo dalle agenzie di stampa e da internet che ci sono stati scontri tra i manifestanti e la polizia con diversi feriti.
Non riesco a capire né a giustificare nessuna forma di violenza tantomeno oggi, mentre si svolgeva il dibattito nelle aule del Parlamento sul voto di sfiducia al governo. Non è tollerabile che venga strumentalizzata con la violenza la legittima protesta di chi vuole contestare l’operato del Governo. C’è stata un’evidente infiltrazione di black block tra i manifestanti. Le immagini rimbalzate dai siti web ci dicono chiaramente che questo è avvenuto contro la volontà degli studenti che manifestavano e bene hanno fatto le forze dell’ordine a reagire alla violenza e a loro va la mia solidarietà.
Come è noto il dibattito alla Camera si è concluso con la vittoria del Governo di destra (314 voti a 311) contro le mozioni di sfiducia che avevano presentato PD e IDV da un lato e UDC, FLI e MPA dall’altro.
Alcune defezioni in FLI e dei cambi di casacca, in modo particolare di 3 Deputati, hanno consentito al Governo di mantenere la maggioranza. Una maggioranza risicata che andrà valutata nelle prossime ore e nei prossimi giorni a mente fredda, ma fin d’ora possiamo dire alcune cose.
L’operazione di Fini di creare un’alternativa nella Destra alla leadership di Berlusconi subisce una grave battuta d’arresto. Il Presidente della Camera è il vero sconfitto del voto odierno e sarà da capire se riuscirà a resistere alla richiesta di dimissioni che già oggi, immediatamente dopo il voto si levavano da destra. Berlusconi, al contrario, ha dimostrato per l’ennesima volta di riuscire a governare meglio i rapporti e le relazioni fuori dall’aula che le gravi emergenze del Paese: di questa cosa dobbiamo essere coscienti se vogliamo tentare di creare alternative vere per il bene della nazione.
Il secondo elemento di valutazione è che anche il progetto del terzo polo esce ammaccato da questa vicenda e per di più chiarisce, per le cose dette in questi giorni e per la presenza di FLI, che questo progetto nasceva saldamente ancorato all’esperienza della destra.
Questi elementi, uniti alla coerente e unita posizione del PD, ci dicono che però serve da parte del Partito Democratico un nuova consapevolezza del proprio ruolo. Non si può pensare solo a rispondere tatticamente a quello che accade negli altri schieramenti o vicino a noi, ma il PD, con la sua proposta politica, deve tornare ad essere il punto di riferimento del centro sinistra, sapendo che solo se riuscirà in questo intento potrà diventare alternativa credibile per il governo del Paese.
Rodolfo Viola
martedì 14 dicembre 2010
LETTERA APERTA
Egregio on. Massimo Calearo Ciman,
scrivo di getto queste impressioni dopo aver avuto conferma della Sua decisione di concedere la fiducia al Governo presieduto dall'on. Silvio Berlusconi. Vede onorevole, Lei siede alla Camera dei Deputati non per volontà divina ma per scelta (che, glieLo confesso, a me era pure parsa buona) dell'allora segretario nazionale del PD Walter Veltroni in nome della vocazione originaria di questio mio partito che era quella di aprirsi alla società civile. Dalla sua, per di più, ha avuto pure una indubbia fortuna: per effetto, infatti, di una perversa legge elettorale, Lei non solo è stato designato direttamente dal Partito ma Le è anche stato assegnato d'ufficio un posto preciso nella lista. Non solo: Lei, sempre in virtù di questa perversa legge elettorale, non ha fatto una personale campagna elettorale assolutamente inutile nel momento in cui non si compete tra candidati giacché agli elettori viene negato il voto di preferenza. No on. Calearo: Lei siede in Parlamento grazie SOLTANTO allo sforzo bello, intenso, massiccio di migliaia di militanti (anche Suo per carità) di questo mio (io, on. Calearo, posso ben definirlo ancora "mio") partito che hanno impegnato tempo, risorse, volontà in nome di una passione politica pulita strappando (mi creda, ne so qualcosa...) ore ai propri affetti, al proprio tempo libero, al proprio giusto e doveroso riposo dalle fatiche quotidiane. Lo hanno fatto, on. Calearo, spinti da un sogno, anzi da un bisogno: dimostrare a sè stessi e agli altri che, sì!, un'altra Italia era possibile. Vede on. Calearo ciò che mi ha indignato non è stato soltanto la sua decisione di contribuire a tenere in vita questo Governo ma la dichiarazione che Lei ha fatto ad alcuni giornalisti: io sono qui per divertirmi. Ecco, on. Calearo nel mentre Lei diceva questo, tre disperati, a Marghera, erano appesi a 140 metri d'altezza per chiedere la salvguardia del posto di lavoro loro e dei loro colleghi (anzi: compagni perché io che non son mai stato comunista, da cattolico amo moltissimo questa parola che significa coloro che spezzano insieme il pane): davvero Lei crede che col Suo voto di fiducia, il nostro Paese uscirà da questa crisi economica? Onorevole Calearo Lei ha "giustificato" questa decisione asserendo che a chiederglielo siano stati i suoi colleghi di Confindustria: ne è davvero sicuro? Davvero Ella crede che un governo che, alla Camera, ha tre (3!) voti in più dell'opposizione riesce a fare ciò che non ha fatto in questi primi due anni? Davvero Ella crede, on. Calearo, che il nostro Paese ha bisogno di questo? Che di questo abbiano bisogno i tanti artigiani, piccoli imprenditori strangolati da una pressione fiscale che continua a crescere? Davvero on. Calearo Ella crede che il suo voto di fiducia permetterà a questo governo di dare risposte alle migliaia di persone che sono senza lavoro, ai precari della vita? Lei, on. Calearo, dando la fiducia al governo Berlusconi ne ha pure avvallato la Legge di Stabilità: parli col Sindaco del suo Comune, si faccia spiegare quali e quanti tagli sarà costretto a fare nel bilancio 2011 nei settori delle politiche sociali, delle politiche scolastiche. Ancora: immagino che tra i suoi tanti dipendenti (a proposito: leggo ne Il Corriere di oggi che la sua azienda, quest'anno, ha raddoppiato il fatturato: complimenti!) vi siano anche degli immigrati: chieda al Suo Sindaco se saranno possibili ancora politiche che ne agevolino l'integrazione.
Vede on. Calearo: la Sua decisione mi indigna. Mi indigna profondamente. Perché proprio in virtù di quella legge elettorale, lei non ha voti propri e, dunque, avrebbe dovuto fare un gesto tanto semplice quanto alto e nobile, quello di D I M E T T E R S I dal Parlamento Italiano. Perché, mi creda dr. Massimo Calearo Ciman, io questo Suo voto l'ho trovato davvero molto poco....onorevole.
Distinti saluti
Davide Meggiato
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venerdì 10 dicembre 2010
PD...(S)????
Il Partito Democratico nasce (così almeno ce l'avevano spiegato) per occupare uno spazio che le vecchie tradizioni del pensiero filosofico - politico non riuscivano a colmare. Di fronte ai dubbi, alle ansie, alla domande dell'uomo contemporaneo le risposte che, presi individualmente, potevano dare il socialismo democratico da un lato ed il cristianesimo democratico dall'altro non parevano bastevoli. Coniugare queste due nobili tradizioni con un nuovo afflato riformista era parsa la scelta vincente. E non soltanto a chi aderì al PD provenenendo dai DS o dalla Margherita (e qui occorre sciogliere l'ambiguità in cui cade chi associa questa esperienza all'esperienza popolare - che si conclude nel 2002 giustappunto quando nasce a tutti gli effetti questo nuovo soggetto - che vi è certamente confluita ma non da sola: nella Margherita militavano anche ex socialisti, esponenti delle liste civiche e così via) ma anche a persone che mai, prima di allora, avevano militato in qualche forma politica più o meno organizzata. Ovvia la scelta di campo - il centrosinistra con L'Ulivo - ovvia anche, io credo, una vocazione sostanzialmente maggioritaria nella quale il PD diventava l'elemento trainante di tutte le altre forze politiche di centrosinistra. Ognuna delle quali avrebbe dovuto, per propria parte, consolidare i rispettivi elettorati di riferimento così come ovvio (almeno secondo me) avrebbe dovuto essere chiaramente confermato che il PD è (era?) un partito di centrosinistra, coerente proprio con le impostazioni "ideologiche" dei soggetti fondatori. Per quanto in fibrillazione, per quanto compromesso l'attuale sistema politico italiano è dominato da un bipolarismo dove l'elemento fluido, magmatico, oscillante è proprio rappresentato dal centro: è questo l'elemento cui credo debba guardare il PD. La discesa in campo di Nichi Vendola è assolutamente salutare ed egli pare un candidato in grado di parlare a tutti i potenziali elettori del centrosinistra (meno forse che all'IDV ma questo è tema altro): ma che senso ha che oggi Vendola dichiari che attraverso le primarie si può costrtuire un PD che sia l'unico partito di sinistra? Con questa affermazione egli, io credo, commette un errore perché di fatto snatura il progetto originario del PD dando ulteriori motivi per inutili abbandoni da parte di chi milita in questo partito provenendo dal centro. Ha recentemente scritto su Europa Valter Verini (con una onestà intellettuale di cui occorre dargli assoluto merito): Aprire a Vendola? Messa così la cosa è male impostata. C’è una domanda sottintesa che viene prima: il Pd è un partito di sinistra o di centrosinistra? Per me la risposta è chiara. Come chiara pareva a tutti quando è nato il partito, creato per dar vita a un incrocio di culture di centrosinistra, non solo quelle degli eredi di Dc e Pci. E ancora noi non siamo nati per riorganizzare il campo della sinistra appaltando ad altri il compito di riorganizzare quello del centro. Infine: definire e praticare un profilo “di sinistra” del Pd avrebbe avuto la conseguenza di ledere fino a colpire irreparabilmente la sua ragione sociale fondativa.
Ecco perché io difendo, ad esempio, il cosiddetto documento dei 75 ; perché, come scrive lo stesso Verini, insomma, se siamo un partito di centrosinistra, dobbiamo aprire non tanto a questo o quel leader politico, ma a questa Italia, che nel 2008 ci aveva guardato (e in parte importante votato) con speranza. Un’Opa della società – di questa società positiva – verso il Pd non mi spaventerebbe, anzi, sarebbe linfa vitale per la politica, per i circoli, e rappresenterebbe anche un anticorpo forte alle metastasi di un certo correntismo che prescinde dalle idee e che costituisce un serio problema per questo partito. Ecco perché io credo che innanzitutto Vendola (che io voterei senza se e senza ma in caso di primarie per il candidato premier e la mia dichiarazione di voto potrebbe essere messa in seria difficoltà solo dalla eventuale candidatura di Matteo Renzi) dovrebbe essere prima di tutto il "garante" dell'elettorato di sinistra che si riconosce nel centrosinistra. Perché, come impariamo sin dalle elementari, in matematica se invertiamo gli addendi il risultato non cambia. Se invece la barra del PD si spostasse irrimediabilmente proprio a sinistra l'esperienza stessa del PD fallirebbe. E con essa lo stesso centrosinistra in un momento in cui, come testimonia anche la nascita del terzo polo, il centro è molto ma molto...appetibile.
Che la forza sia con voi!
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martedì 7 dicembre 2010
XENOFOBIA
Già nel Medioevo bastava poco: uno sguardo, un tic, una mania e subito si veniva etichettati, processati e - magari - bruciati. Poi viene la stagione delle grandi pestilenze e allora dagli agli untori quasi sempre individuati come foresti, stranieri. Sul primo tema ho avuto modo di studiare un bellissimo saggio curato dalla mai abbastanza compianta Marisa Milani (che fu mia docente nel corso di Lingua e letteratura delle tradizioni popolari all'Università di Padova): Streghe e diavoli nei processi del s. Uffizio di Venezia (1554-1587) [1998, Bassano del Grappa, Tassotti editore]; sul secondo v'è una pregevolissima riedizione -ahimè alquanto costosa, 90 euro ma è pur sempre la ripubblicazione di un'opera "vecchia" di 180 anni - (a cura della milanese Casa del Manzoni) della celeberrima opera del Ripamonti La peste di Milano del 1630. Ed oggi continua la persecuzione. Quanto accaduto a Brembate Sopra mi pare assolutamente significativo: è bastata una traduzione sbagliata perché si scatenasse ancora una volta la caccia all'untore, al diverso da noi. Certo: poi accade che a Lamezia Terme un altro immigrato uccida 7 persone ed è facile a chiunque, anche a quanti si professano non razzisti, trarre facili conclusioni. E poi magari ci mette pure la Giustizia che prima condanna all'ergastolo i colpevoli di un trucidissimo duplice omicidio per poi ridurgli sensibilmente la pena tanto da far esclamare al governatore veneto Zaia: ma che giustizia è questa?. Eppure anche in questo caso non mancano esempi che fanno riflettere. Il primo viene proprio dal sindaco - leghista - del paese della piccola Yara, Diego Locatelli, che alla prima comparsa dei soliti manifesti che inneggiavano alla vendetta commenta sono sicuro che la comunità saprà reagire con calma e razionalità, anche se ovviamente la speranza di tutti noi è che questa storia finisca bene", ha dichiarato il primo cittadino di Brembate, Diego Locatelli.
La seconda (e ce lo racconta Il Corriere della Sera oggi) viene da Teresina Natalino che in quell'incidente ha perduto il marito Fortunato Bernardi. Al parroco di Lamezia, Teresina ha detto - rivolgendosi all'immigrato - io lo perdono perché anche mio marito, se fosse vivo, avrebbe fatto la stessa cosa; perché sapete, per tutta la vita, noi due siamo stati educatori e prima ai nostri figli e poi a tutti gli alunni delle scuole abbiamo insegnato la legalità, la giustizia, la non violenza.
Ecco la logia che sorprende, che rivoluzione. Ma, soprattutto, ecco la logica che educa, che ammaestra, che insegna: perdono. Che si accompagna - ovvio! - al desiderio che la giustizia umana faccia il suo corso e che chi ha sbagliato venga condannato. Ma anche qui Teresina, con parole che rasentano il concetto più alto e nobile di santità - dice quello che m'importa veramente è che il ragazzo marocchino (attraverso il carcere ndr) capisca, che si renda conto, che impari qualcosa da tutto il male che ha fatto. Non conta la pena. Conta l'educazione.
Che la forza sia con voi!
P.S.Spero che almeno stavolta non ci siano errori ;)
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lunedì 6 dicembre 2010
SONDAGGIO
Cosa accadrà il 14 dicembre? Personalmente ho la sensazione che il risultato possa essere altro: una ampia fiducia al Senato ed una maggioranza risicatissima alla Camera. Ho pure la sensazione che questo sia esattamente il risultato sperato dal Presidente del Consiglio. Mi spiego: Berlusconi (mentre si attende - per il 15 - il parere sul legittimo impedimento) teme chiaramente il profilarsi di una maggioranza diversa da quella che l'ha sostenuto fino a qualche giorno fa; teme il profilo costituzionale di un governo tecnico che modifichi la legge elettorale, intervenga su alcune riforme oramai non più prorogabili e accompagni il Paese a nuove elezioni. Come opporsi a questo disegno? In un solo modo: ottenere la fiducia in entrambi i rami del Parlamento e presentarsi dimissionario (ma comunque con una maggioranza parlamentare che si è espressa favorevolmente sulla sua presidenza) da Napolitano, "stoppando" per così dire qualunque tentativo di governo "tecnico" e chiedendo nuove elezioni. Elezioni che (lo riconoscono tutti) per via di questa pessima legge elettorale consegnerebbero all'Italia un Parlamento diviso a metà: alla Camera la probabile vittoria del centrosinistra ma al Senato una chiara maggioranza di centrodestra con il terzo polo a far da bilancia. Scenario preoccupante e pesante.
Nell'altro caso si profilerebbe, per l'appunto, un governo tecnico. Solitamente quando si configura una simile ipotesi l'unico candidato cui guarda il Presidente della Repubblica è il governatore della Banca d'Italia: è accaduto con Dini e con Ciampi. Ma oggi si va discutendo su un candidato che non è Mario Draghi ma Giulio Tremonti. Correttamente l'unico a non sbilanciarsi sui nomi riconoscendo che questo è tema di assoluta prerogativa dell'ottimo Napolitano è stato Pierluigi Bersani. Ma mi chiedo: davvero il PD potrebbe sostenere la candidatura a premier dell'autore di leggi di stabilità contro cui ci siamo scagliati, abbiamo protestato in modo assolutamente giusto e doveroso?
Mancano pochi giorni e poi questi dubbi saranno al fine fugati. Nel frattempo: nuovo sondaggio cui vi invito a partecipare!
Che la forza sia con voi!
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venerdì 3 dicembre 2010
WHI?
Perché? I bambini alla conquista del mondo lo ripetono spessissimo ai genitori (talvolta imabarazzandoli perché spesso gli adulti - quando han perso la voglia di rimanere un pochino bambini - non sanno rispondere). Perché?Perché ancora oggi non v'è stata una risposta al perchè in Veneto il PD tra il 2008 e il 2010 ha dimezzato i propri elettori? Colpa delle divisioni? Colpa delle correnti (pardon delle sensibilità)? Perché di fronte alla più grave crisi politica dell'Italia post - prima repubblica l'opposizione (stando ai sondaggi) non riesce a gudagnare consensi? Perché il PD sembra soffrire della sindrome di Stoccarda (non di Stoccolma) e appena individua un leader già se ne decreta in un certo senso la fine? Perché se il PD ha vocazione maggioritaria (come io credo) non si preoccupa di diventare, lui stesso, soggetto catalizzatore dei possibili alleati anziché andare sempre al traino? Io credo occorra una cura depuratrice prima di qualunque altra cosa. Occorre depurarci innanzitutto del passato che, spessissimo, appare più un nostalgico sentimento che la capacità di rilanciare guardando al futuro. Occorre riscoprire le capacità progettuali di questo soggetto politico potenzialmente (se solo ne avessimo avuto tutti la volontà) in grado di compiere una mirabile sintesi tra il pensiero del socialismo riformista, democratico con quello del cattolicesimo democratico: vale a dire le due tradizioni di pensiero più proficue tra tutte in Europa. Se il PD è (era?) un partito nuovo, nuova doveva essere anche la sua capacità di decifrare, declinare le ansie della contemporaneità. Il guaio, a me pare, di questo PD è di aver smarrito, perduto la sua vocazione riformatrice. Solo recuperandola, solo scrollandosi di dosso le vecchie appartenenze quand'esse sono surrettizie al celare le vere questioni programmatiche, potremo tornare ad essere catalizzatori di tutti quei soggetti che, con noi, condividono l'idea appassionante e bella che la politica serva a delineare il futuro.
Che la forza sia con voi!
Che la forza sia con voi!
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giovedì 2 dicembre 2010
COMMENTO
Da Europa (edizione di mercoledì)
Franco Monaco
Il Pd che non capisco più
Il 14 dicembre, giorno dell’atteso voto sulla mozione di sfiducia al governo, non sarà il crinale apocalittico della storia. Tuttavia, esso rappresenta uno spartiacque di qualche rilievo per il seguito (o l’interruzione) della legislatura, per l’evoluzione del sistema politico e dunque anche per il Pd. Buon senso suggerirebbe ai suoi dirigenti di attendere quel passaggio, non indifferente ai fini degli sviluppi a seguire. E dunque di sospendere le pur legittime dispute interne al Pd circa le sue prospettive strategiche così da gestire unitariamente l’attuale situazione. In modo da riaprire poi la discussione disponendo di due elementi al momento sommamente incerti: la fiducia o la sfiducia al governo Berlusconi e la continuità o meno della legislatura.
Elementi niente affatto indifferenti dal punto di vista sistemico, cioè con riguardo all’evoluzione complessiva della democrazia italiana, della destra, del centro, della sinistra.
Tuttavia, a rischio di contraddirmi, e cioè di cedere anch’io alla tentazione di proiettarmi intempestivamente sulla sorte del Pd nel mediolungo periodo, sento l’esigenza di capire (mi contenterei di capire...) le posizioni interne al partito.
Non è un’impresa facile. Qualcuno parla di Babele. Provo a esemplificare. Non ho ben compreso Nicola Latorre. Non ho capito perché porre oggi il problema addirittura di una “rifondazione” di un Pd che ricomprenda Vendola e che rimetta in discussione le primarie di coalizione. Tesi audace e comunque, ripeto, fuori tempo. Ma ancor meno ho capito perché taluni veltroniani si siano stracciati le vesti. Chi stressa la visione del cosiddetto partito a vocazione maggioritaria non dovrebbe contrastare – in via di principio e a tempo debito – un processo teso all’allargamento del Pd a forze che hanno fatto una esplicita scelta di campo di centrosinistra e che, partecipando alle primarie, potrebbero muovere verso un partito coalizionale con cultura di governo (è il caso di Vendola).
Un Pd dai confini più larghi e non per questo snaturato. Non capisco la logica di chi predica un bipolarismo al limite del bipartitismo e poi si oppone a processi di progressiva integrazione tra forze del medesimo campo. Lo capisco di più dal punto di vista di Fioroni & company, che pongono discriminanti a sinistra del Pd. Il quale Fioroni, con il suo moderatismo centrista (di nuovo: non capisco che c’entrino i cattolici), oscilla poi a sua volta tra la propensione all’alleanza pressoché esclusiva con i centristi dell’Udc e la preoccupazione di consegnare ad essi la rappresentanza di quell’elettorato cui egli asserisce di dare voce dentro il Pd. La faccio breve: se Fioroni vuole un Pd su posizioni più centriste e meno di sinistra alleato con la sola Udc egli mette nel conto la dilatazione di uno spazio politico alla sinistra del Pd e dunque oggettivamente opera contro il dogma veltroniano del bipolarismo; se Veltroni propugna un partito a vocazione maggioritaria deve vedere di buon occhio processi di aggregazione progressiva a destra ma anche a sinistra del Pd.
Gli uni e gli altri dovrebbero mettersi d’accordo. A meno che la loro innaturale alleanza avesse una sola spiegazione: fare fronte comune contro la segreteria del Pd, pur coltivando opposte strategie. Da più di un segnale, in verità, si ha l’impressione che l’approdo sia un altro: la convergenza di Veltroni sul moderatismo centrista di Fioroni. Un esito avvalorato dalle posizioni di merito programmatico dei veltroniani sempre più inclini a tradurre il tanto declamato riformismo, corredato della parola magica “innovazione”, nelle posizioni del centrismo moderato. Un proposito niente affatto ambizioso, ma, al contrario, a dispetto dello slogan “cambiare e non difendere”, rinunciatario rispetto al proposito di “riformare” i rapporti sociali nel senso di un di più di uguaglianza. Perché riformismo dovrebbe essere anche questo: l’impegno a cambiare l’assetto dei rapporti sociali, la distribuzione del potere e delle risorse a beneficio di chi è più svantaggiato. Salvo che, in un’ossessione revisionista che si spinge fino alla subalternità culturale alla destra, della sinistra si intenda ripudiare non solo i mezzi datati ma anche il fine e cioè la tensione all’uguaglianza. A mio avviso, starebbe semmai in questa subalternità e in questa rinuncia lo snaturamento del Pd. Ma anche dentro la maggioranza congressuale, a tempo debito, sarà utile fare chiarezza. Penso a chi, come D’Alema e Letta, tutto, troppo scommettono su un asse privilegiato con l’Udc, la quale ci ha spiegato in mille modi che il suo orizzonte strategico è altro e diverso dal nostro (con o senza Vendola e Di Pietro), che essa mira a un centrodestra “normale” e comunque in competizione con noi nel dopo Berlusconi e che, diciamo la verità, ha dato a intendere di essere pronta ad entrare da subito in un nuovo governo anche a guida del Cavaliere. Forse Casini lo avrebbe già fatto se non fosse intervenuta l’opposizione della Lega.
Ecco perché mi confermo nella convinzione che noi dobbiamo applicarci al nostro cantiere, ad organizzare il campo del centrosinistra, a tenere la barra ferma e mirata a una limpida alternativa ideale e politica al centrodestra di oggi e di domani. La rotta futura, che tuttavia ci deve guidare sin d’ora, è ancora quella tracciata da Bersani solo un paio di mesi fa: nuovo Ulivo con le forze che facciano una chiara scelta di campo di centrosinistra (un progetto impegnativo e di lunga lena, che esige autocorrezioni e disciplina da parte di ciascun partner), l’offerta alle formazioni di centro di un patto e di un programma di governo per la prossima legislatura (dobbiamo avanzare la proposta, ancorchè, allo stato, esse si mostrino restie) e infine, come soluzione estrema a una deriva estrema in caso di elezioni ove la posta in gioco fosse la rottura costituzionale con il corollario di Berlusconi al Quirinale, un’alleanza democratica la più larga per sconfiggere il populismo di Berlusconi e Bossi, riscrivere le regole della competizione politica, per poi – battuta la coppia B&B –, dopo una legislatura di transizione, tornare a dividersi lungo l’asse destra-sinistra in condizioni di sicurezza democratica.
Al momento non mi pare che, per il Pd, altre strategie siano praticabili. Se vi sono, vorrei che fossero esibite, ma appunto di visioni e di strategie dovrebbe trattarsi, non di confuse mosse tattiche o di giochi di posizionamento interno.
Franco Monaco
mercoledì 1 dicembre 2010
DUBBI
Da Europa (edizione di martedì)
Quarantacinque giorni fa mi sono dimesso da vice segretario del Partito democratico veneto. L’ho fatto in modo aperto e onesto, dopo aver ripetutamente posto alcune questioni all’interno degli organismi deputati. L’ho fatto per mettere in luce, non una questione personale, bensì per creare l’occasione per dibattere sullo stato del partito, prima che sia troppo tardi.
Nell’aprile 2008, all’indomani della nascita del Pd, 812.406 elettori ci dettero la fiducia accordandoci il voto. Nell’aprile 2010, in occasione delle elezioni regionali, pur con il traino dei candidati e delle preferenze, abbiamo raccolto solo 436.309 voti. Abbiamo dimezzato il nostro corpo elettorale in poco meno di due anni e oggi, dal momento che in Veneto siamo 5 milioni, si può dire che nemmeno un cittadino ogni dieci è elettore del Pd.
Mentre i più autorevoli osservatori del centrosinistra del Veneto, come il filosofo Umberto Curi, si affrettavano a sottolineare la verità e la gravità delle ragioni da me sollevate, il gruppo dirigente veneto ha trattato la questione come se fosse una rinuncia personale. Nello stesso modo è stata trattata la fuoriuscita di Diego Bottacin dal partito, consigliere regionale in carica, cofondatore del Pd veneto e segretario della Margherita, quando era il primo partito del centrosinistra in Veneto. Come pure vige un silenzio assordante, da parte della dirigenza veneta, rispetto ai de profundis che uno dei fondatori più autorevoli del Pd, Massimo Cacciari, ci dedica quotidianamente.
La pratica di mistificare o peggio occultare la realtà è foriera di bruschi e dolorosi risvegli. Non credo che la metà del nostro corpo elettorale sia stata inghiottita dalle nebbie padane e sono propenso invece a pensare che questa sparizione di massa sia attribuibile alla distanza che il partito ha marcato con la società veneta. Una distanza drammatica frutto della scelta di rinunciare al profilo riformatore della politica italiana e alla vocazione di modernizzare un paese che osserva il tramonto della seconda repubblica, più povero, lacerato e deluso.
Una distanza legata al ripiegamento nel conservatorismo di sinistra che ci porta a essere poco credibili in Veneto quando affermiamo la necessità di batterci per un nuovo modello di sviluppo, per l’autonomia dei corpi intermedi, per un nuovo patto fiscale, per la modernizzazione della pubblica amministrazione attraverso la contrazione della spesa e il riconoscimento del merito e molte altre questioni. Eppure il nostro paese avrebbe bisogno di poter intravedere un’alternativa credibile, capace di parlare al cuore di una regione difficile come il Veneto. Una Regione ferita nel corpo e nell’anima. Segnata profondamente dalla violenza delle acque, che ha rotto gli argini dei fiumi in 20 punti, ne ha lesionati 300. Migliaia di abitazioni sono pesantemente danneggiate e otre tremila imprese non sono ad oggi in grado di riprendere la produzione. Una Regione che è anche ferita nell’anima da una crisi economica feroce che ha portato ad utilizzare nei primi dieci mesi del 2010, oltre 120 milioni di ore di cassa integrazione, contro la media delle 15 che si utilizzavano annualmente prima del 2008. Una Regione che sconta 400 crisi aziendali annue contro le 100 che si gestivano in via ordinaria.
Una Regione che, con 150 mila lavoratori in carico agli ammortizzatori sociali (14 ogni 100) sta pagando un costo umano e sociale enorme. Una Regione in balia della Lega nord, un partito che ogni giorno, in ogni sede, manifesta la volontà di appropriarsi delle istituzioni. Quelle pubbliche e anche quelle private, come le fondazioni bancarie. E lascia invece inevase le grandi questioni che sono legate al nostro futuro e a quello dei nostri figli, segnando quotidianamente l’incapacità di pensare a un nuovo modello di sviluppo, a una nuova politica del territorio, alla riorganizzazione del sistema socio sanitario e a una nuova generazione di infrastrutture fisiche e dei saperi.
Mentre tutto ciò accade, una parte del partito non vede o finge di non vedere e in molti casi si permette il lusso di affidare le responsabilità con la selezione all’incontrario, senza tenere conto del consenso, del merito, della competenza, della sensibilità e dell’esperienza. Così che il malato grave si trova spesso in cura del medico inesperto o incapace.
La responsabilità del movimento democratico è perciò quella di riuscire a fare qualcosa prima che sia troppo tardi e prima che gli elettori certifichino con il loro non voto, l’insignificanza del Pd. Ogni tanto qualche amico mi spiega che bisogna attendere, avere pazienza, non essere intemperanti e continuare a sperare. Continuare a sperare si deve e si può.
Tuttavia la speranza che intendo io, se mi posso permettere di dirlo con le parole di Bonoeffer, non è l’attesa inoperosa di chi aspetta che le cose volgano naturalmente al meglio, bensì la scelta e la determinazione di passare all’azione.
Prima che sia troppo tardi, ammesso che non sia già troppo tardi.
Andrea Causin
Crolla il Pd veneto, non ci sto
Quarantacinque giorni fa mi sono dimesso da vice segretario del Partito democratico veneto. L’ho fatto in modo aperto e onesto, dopo aver ripetutamente posto alcune questioni all’interno degli organismi deputati. L’ho fatto per mettere in luce, non una questione personale, bensì per creare l’occasione per dibattere sullo stato del partito, prima che sia troppo tardi.
Nell’aprile 2008, all’indomani della nascita del Pd, 812.406 elettori ci dettero la fiducia accordandoci il voto. Nell’aprile 2010, in occasione delle elezioni regionali, pur con il traino dei candidati e delle preferenze, abbiamo raccolto solo 436.309 voti. Abbiamo dimezzato il nostro corpo elettorale in poco meno di due anni e oggi, dal momento che in Veneto siamo 5 milioni, si può dire che nemmeno un cittadino ogni dieci è elettore del Pd.
Mentre i più autorevoli osservatori del centrosinistra del Veneto, come il filosofo Umberto Curi, si affrettavano a sottolineare la verità e la gravità delle ragioni da me sollevate, il gruppo dirigente veneto ha trattato la questione come se fosse una rinuncia personale. Nello stesso modo è stata trattata la fuoriuscita di Diego Bottacin dal partito, consigliere regionale in carica, cofondatore del Pd veneto e segretario della Margherita, quando era il primo partito del centrosinistra in Veneto. Come pure vige un silenzio assordante, da parte della dirigenza veneta, rispetto ai de profundis che uno dei fondatori più autorevoli del Pd, Massimo Cacciari, ci dedica quotidianamente.
La pratica di mistificare o peggio occultare la realtà è foriera di bruschi e dolorosi risvegli. Non credo che la metà del nostro corpo elettorale sia stata inghiottita dalle nebbie padane e sono propenso invece a pensare che questa sparizione di massa sia attribuibile alla distanza che il partito ha marcato con la società veneta. Una distanza drammatica frutto della scelta di rinunciare al profilo riformatore della politica italiana e alla vocazione di modernizzare un paese che osserva il tramonto della seconda repubblica, più povero, lacerato e deluso.
Una distanza legata al ripiegamento nel conservatorismo di sinistra che ci porta a essere poco credibili in Veneto quando affermiamo la necessità di batterci per un nuovo modello di sviluppo, per l’autonomia dei corpi intermedi, per un nuovo patto fiscale, per la modernizzazione della pubblica amministrazione attraverso la contrazione della spesa e il riconoscimento del merito e molte altre questioni. Eppure il nostro paese avrebbe bisogno di poter intravedere un’alternativa credibile, capace di parlare al cuore di una regione difficile come il Veneto. Una Regione ferita nel corpo e nell’anima. Segnata profondamente dalla violenza delle acque, che ha rotto gli argini dei fiumi in 20 punti, ne ha lesionati 300. Migliaia di abitazioni sono pesantemente danneggiate e otre tremila imprese non sono ad oggi in grado di riprendere la produzione. Una Regione che è anche ferita nell’anima da una crisi economica feroce che ha portato ad utilizzare nei primi dieci mesi del 2010, oltre 120 milioni di ore di cassa integrazione, contro la media delle 15 che si utilizzavano annualmente prima del 2008. Una Regione che sconta 400 crisi aziendali annue contro le 100 che si gestivano in via ordinaria.
Una Regione che, con 150 mila lavoratori in carico agli ammortizzatori sociali (14 ogni 100) sta pagando un costo umano e sociale enorme. Una Regione in balia della Lega nord, un partito che ogni giorno, in ogni sede, manifesta la volontà di appropriarsi delle istituzioni. Quelle pubbliche e anche quelle private, come le fondazioni bancarie. E lascia invece inevase le grandi questioni che sono legate al nostro futuro e a quello dei nostri figli, segnando quotidianamente l’incapacità di pensare a un nuovo modello di sviluppo, a una nuova politica del territorio, alla riorganizzazione del sistema socio sanitario e a una nuova generazione di infrastrutture fisiche e dei saperi.
Mentre tutto ciò accade, una parte del partito non vede o finge di non vedere e in molti casi si permette il lusso di affidare le responsabilità con la selezione all’incontrario, senza tenere conto del consenso, del merito, della competenza, della sensibilità e dell’esperienza. Così che il malato grave si trova spesso in cura del medico inesperto o incapace.
La responsabilità del movimento democratico è perciò quella di riuscire a fare qualcosa prima che sia troppo tardi e prima che gli elettori certifichino con il loro non voto, l’insignificanza del Pd. Ogni tanto qualche amico mi spiega che bisogna attendere, avere pazienza, non essere intemperanti e continuare a sperare. Continuare a sperare si deve e si può.
Tuttavia la speranza che intendo io, se mi posso permettere di dirlo con le parole di Bonoeffer, non è l’attesa inoperosa di chi aspetta che le cose volgano naturalmente al meglio, bensì la scelta e la determinazione di passare all’azione.
Prima che sia troppo tardi, ammesso che non sia già troppo tardi.
Andrea Causin
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