Siamo tutti, in un modo o nell'altro, un volo interrotto. Precipitiamo dai nostri sogni, ma ciò che ci può distinguere e preservarci dall'inesorabilità del destino è la capacità di librarci ancora non verso ciò che siamo ma verso ciò che vorremmo essere.
(Dario Cresto - Dina)
venerdì 30 gennaio 2009
ADDIO
Ci ha accompagnato in tante domeniche pomeriggio...in discoteche dove (ancora) si poteva fumare e, appena arrivavi, avevi nelle narici il profumo del divertimento, dell'allegria, della spensieratezza, dell'avventura....grazie di tutto:
Si è spento a Roma Mike Francis, protagonista del boom musicale pop-dance anni Ottanta grazie anche alla hit "Survivor". Francesco Puccioni, questo il suo vero nome, nato a Firenze 47 anni fa, è deceduto all'Ospedale S. Pietro per un tumore al polmone. I funerali si svolgeranno in forma strettamente privata. Risale al 1981 la prima incisione di Mike Francis da solista per la Derby (storica sottoetichetta della CGD). Era il singolo dance"Metropolis" che non ha avuto nessun riscontro commerciale. E' invece nel 1983 che l'autore pubblica ed ottiene uno dei suoi più grandi successi con "Survivor". Nel 1984 la collaborazione artistica con Amii Stewart porta alla pubblicazione del brano, da lui composto, "Friends". Sull'onda del successo, Mike Francis pubblica il suo primo album "Let's not talk about it" che contiene "Survivor". Nell'autunno 1984 esce il singolo "Let me in" per il quale si avvale della collaborazione di Rossana Casale. Agli inizi del 1985 la canzone "Friends" è pubblicata in Gran Bretagna e raggiunge l'ottavo posto in classifica singoli 1985. Il 1986 è l'anno di un altro grande successo in coppia proprio con la Stewart dal titolo "Together". Nel 1986 Mike Francis pubblica il suo terzo album dal semplice titolo "Mike Francis"; il successo di questo questo disco è superiore a quello del precedente lavoro, grazie a questo il musicista si convince, nel 1987 a pubblicare la sua prima raccolta: "Songs". Nel 1988 esce il suo quarto album "Flashes of life". Nel 1991, con la collaborazione di Mogol per i testi, esce il suo primo album in italiano, "Mike Francis in italiano". Nel 1994, su testi di Panella, esce "Francesco innammorato". L'anno successivo è la volta di "A different air". Nel 1998 pubblica l'album "Misteria" e la raccolta "The best of". Nel 1999 incide l'album "All rooms with a view" e rende disponibile la raccolta "I grandi successi". Nel 2000 è la volta della doppia raccolta "I Grandi Successi Originali - "Flashback". Nel 2000 e nel 2004 torna nelle Filippine per dei concerti. Risale al 2007 l'ultimo lavoro dal titolo "Inspired".
No, stavolta non ha sbagliato l'arbitro "colpevole" secondo i soliti faziosi di non aver visto nulla. No. Stavolta si è trattato solo di un grossolano fraintendimento. Ma noi, che interisti lo siam fino in fondo, siamo anche signori e sorvoleremo. Già...voglio dire: guardate bene questa foto...ma vi sembra un pugno quello dato da Adriano? Suvvia, perdindirndina...è semplicemente un buffetto, una carezza che ricambia un affettuoso abbraccio tra colleghi che pur essendo avversari si stimano...Signor giudice, mi stia a sentire..3 giornate per un buffetto?
Che la forza sia con voi!
Confesso che, il lunedi sera, se posso, amo molto guardare X Factor. Ebbene sì: sarà perché, essendo io stonato, provo invidia per i concorrenti; sarà perché tra i giudici c'è quel folletto della musica e dell'arte che è Morgan e di cui ho gran stima, sarà semplicemente perché...son fatti miei ma ieri sera ho sentito una rivistazione di questa canzone che non conoscevo...ve la propongo nella sua versione originale...ah! gli anni Sessanta....
Il Tar di Milano "ha accolto in ogni sua parte" il ricorso presentato da Beppino Englaro contro la Regione Lombardia. Lo riferisce l'avvocato della famiglia, Vittorio Angiolini, dopo aver ricevuto la sentenza, che definisce "molto precisa sotto tutti i punti di vista". Il governatore della Lombardia, Formigoni, aveva comunicato a tutti i medici di non essere tenuti a sospendere l'alimentazione di Eluana, dopo il via libera della Cassazione. Con questa sentenza, dunque, il Tar ha annullato il provvedimento con cui la Regione Lombardia aveva negato la possibilità a tutto il personale sanitario di interrompere l'alimentazione e l'idratazione artificiali a Eluana. L'autorizzazione alla sospensione del trattamento vitale era stata data il 9 luglio del 2008 con un decreto dei giudici della Corte d'Appello di Milano. Beppino Englaro, il padre di Eluana, a settembre aveva impugnato il provvedimento con riserva di chiedere la sospensiva. Sospensiva chiesta poi il 31 dicembre del 2008. L'udienza si è tenuta il 22 gennaio davanti alla terza sezione del Tar. Inizialmente doveva riguardare solto la richiesta di sospensiva, ma su iniziativa del professor Vittorio Angiolini, legale di Englaro, e dell'avvocato Franca Alessio, curatrice speciale di Eluana, i giudici hanno deciso di entrare nel merito della vicenda e, con giudizio breve, di emettere una sentenza relativa alla richiesta di annullamento dell'atto amministrativo della direzione generale dell'assessorato alla sanità."Il diritto costituzionale di rifiutare le cure, come descritto dalla Suprema Corte, è un diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto si impone (...) nei confronti di chiunque intrattenga con l'ammalato il rapporto di cura, non importa se operante all'interno di una struttura sanitaria pubblica o privata". E' questo uno dei passaggi più importanti delle motivazioni della sentenza con cui il Tar della Lombardia ha accolto il ricorso del padre di Eluana.Il padre di Eluana: "Sono soddisfatto""Non posso che essere soddisfatto". Questo il primo commento, dopo la sentenza del Tar, di Beppino Englaro, il padre di Eluana, sull'annullamento del provvedimento della Regione Lombardia. Beppino Englaro non ha voluto aggiungere altro.
Alla fine saranno gli storici, e soltanto loro, a "leggere" le vicende post - conciliari della Chiesa. E però quanto sta avvenendo, se messo in fila, ho la sensazione ci stia mostrando sempre più una Chiesa che, nostalgicamente, guarda al suo passato conservatore. E non mi riferisco alle critiche del Vaticano nei confronti delle posizioni americane in materia di aborto; quelle - per così dire - ci stanno tutte. Quanto piuttosto a due notizie di questo ultimo mese. La prima, ad inizio anno: il Vaticano modifica la prassi di recepimento delle leggi italiane. Fino all'anno scorso un meccanismo pressoché automatico prevedeva il riconoscimento immediato, nella giurisprudenza vaticana (che è Stato nello Stato), di tutte le leggi approvate dal parlamento. Ora non sarà più cosi: le normative saranno "vagliate" prima di deciderne l'accettazione o meno. Perché? Perché sono numerose (e fin qui nulla da eccepire) e poi perché, molte, sarebbero in contrasto con la fede cattolica. Il principio, di per se, è incontrovertibile ma, mi vien da dire, perché - ad esempio - non procedere con una rivisitazione delle norme concordatarie? Perché, ad esempio, i Vescovi hanno immediatamente, e con forza, protestato contro i tagli governativi alle scuole paritarie (immediatamente rientrati)? In altre parole: giustissimo affermare il principio che ogni stato debba avere una propria legislazione, ma ciò dovrebbe valere in entrambe le direzioni e non solo verso una. La seconda: un paio di giorni fa, Benedetto XVI revoca la scomunica (risalente al giugno del 1988) ai "seguaci" di Marcel Lefebvre, vescovo francese da sempre anticonciliare. Non solo: tra i vescovi scomunicati vi è anche Richard Williamson, vescovo inglese il quale sostiene che l'Olocausto fu una "invenzione degli ebrei"! E se a questo aggiungiamo la recente reintroduzione, nel canone del triduo pasquale, con la quale i cattolici pregano - il venerdì santo - per la conversione degli ebrei, i quali, fino al 2007, venivano definiti infedeli giudei. Anche in questo caso si è voluto tornare ad un canone approvato all'indomani del Concilio di Trento, nel 1570!
Ecco cosa scrivono, oggi, le comunità cristiane di base nel loro sito:
In una nazione di cristiani, musulmani, ebrei, induisti, non credenti Obama può ben invocare l’aiuto del Dio confinato in una “religione civile” fatta di tradizioni e liturgie tutte americane. Chi ne vuole inventare una nell’Italia concordataria corrompendo persino il Messaggio evangelico non accetta senza riserve la cultura della laicità.
Ed ecco cosa dichiara Gianni Gennari, teologo e partecipante al Concilio Vaticano II:
E' ancora più sconvolgente presentare la revoca della scomunica nel giorno in cui si chiude la settimana per l’unità dei cristiani e nel giorno in cui si celebrano i 50 anni dall’indizione del Concilio Vaticano II, cui ero presente a cinque metri da Giovanni XXIII. 50 anni dopo, nello stesso giorno, si fa un discorso del genere e mi meraviglio come il cardinale Re (creatura di Paolo VI e di monsignor Benelli) abbia potuto firmare un decreto simile. Non so se è vero che qualche altro vescovo abbia rifiutato la propria firma al documento, ma questo sarebbe stato un atto di coscienza. Tutto ciò è uno schiaffo a Giovani Paolo II.
Che altro dire? Al solito: che la forza sia con voi
Dalla settimanale news letter della Comunità Monastica di Marango:
Cinquant'anni fa, il 25 gennaio 1959, Papa Giovanni XXIII annunciava improvvisamente, nella Basilica di S. Paolo fuori le mura, ad una folla stupita e del tutto impreparata a pensare che nella Chiesa potesse mai accadere qualcosa di nuovo, la sua decisione di indire un Concilio. Lo scopo di questa assemblea generale di tutti i vescovi del mondo era quello di ripensare all'unità della Chiesa e alla sua missione nel mondo, alleggerendola di tutti quegli orpelli e di quelle sovrastrutture che, nel tempo, ne avevano offuscato l'immagine, impedendole, talvolta, di comunicare, con leggerezza di spirito, la buona notizia del Vangelo. Gli oppositori di Papa Giovanni confidavano invece in un Concilio "che riassumesse tutte le condanne - condanna del comunismo, del liberalismo, dell'evoluzionismo, del neomodernismo, del socialismo. Mentre il Pontefice impone un Concilio di tipo nuovo, che non pronunzia nessun anatema. E costringe a ripensare il modo in cui dire il Vangelo agli uomini contemporanei, interrompendo una routine nella quale ci si era appisolati” (Simonetta Fiori, in Repubblica, 21 gennaio 2009, p. 41).Oggi, molti segnali ci fanno capire che ci siamo di nuovo addormentati. Se penso all'avventura della mia vita, al tentativo di mettere in piedi un'esperienza monastica riconducibile semplicemente alla essenzialità della vita cristiana, devo dire che tutto questo è avvenuto sulla spinta del Concilio e nel desiderio di vivere e comunicare solo il Vangelo. Mi rendo conto, tuttavia, che questo è sempre più difficile. Non è sufficiente, infatti, aver iniziato qualcosa per poter affermare che quella cosa è veramente una novità dello Spirito. Spesso ciò che nasce, nasce già vecchio. Benedetto, il padre dei monaci d'Occidente, scrive nel Prologo della sua Regola che si entra in monastero "per ritornare, attraverso la fatica laboriosa dell'obbedienza, a Colui dal quale ti eri allontanato cedendo alla pigrizia della disobbedienza”. Questa lontananza la riscontro anche in me e nella mia comunità. C'è un lungo percorso da compiere per ritrovare la sorgente. Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, i discepoli di cui ci parla il Vangelo di questa domenica, chiamati dal Signore, capiranno il senso della loro vocazione solo al termine del cammino, nel dono dello Sprito e nell'esperienza del martirio, non senza essere passati prima attraverso la durezza del loro cuore e il dramma di ripetuti tradimenti.Oggi, anche le nostre Chiese, almeno in Occidente, sembra che abbiano perso la capacità di annunciare, con mitezza e forza, la radicale novità del Vangelo, in un mondo profondamente cambiato in questi ultimi quarant'anni. C'è lo sforzo di qualche documento e l'impegno umile e fedele di molti, che spesso non trovano l'appoggio convinto e fiducioso dei loro pastori. Poche parole, in effetti, si spendono in pubblico e in privato per sostenere preti, religiosi e laici, impegnati con gli stranieri, con gli zingari, con le realtà più marginali della società. E anche qualche vescovo coraggioso viene lasciato solo vedi l'arcivescovo di Milano. Spesso si preferisce il palcoscenico mediatico all'ambone, il linguaggio erudito della sapienza mondana alla parola scandalosa della croce. Abitiamo sontuosi palazzi e non ci sporchiamo più i piedi con la polvere delle strade, cercando la compagnia degli uomini perduti.Gesù proclamava il Vangelo di Dio con un linguaggio asciutto e scarno. La sua predicazione viene riassunta dall'evangelista Marco in pochissime parole: Il tempo è compiuto.Come a dire che non abbiamo più tempo. C'è un'urgenza assoluta. Tutto ci sta cadendo addosso, perché è ormai giunto il tempo della fine.Il Regno di Dio si è avvicinato.Il Dio tre volte santo, indicibile e inaccessibile, ha squarciato il cielo e si è curvato su di noi, ha posto la sua dimora in mezzo a noi, ci ha mostrato il suo volto. Lui è qui.Convertitevi e credete nel Vangelo.La novità, che tutti noi attendiamo, e che sovente cerchiamo nelle cose del mondo e nella speranza posta nella triplice idolatria dell'avere, del potere e dell'apparire, è ora a portata di mano. Ci è donata. Essa sta tutta nella disponibilità alla conversione del cuore, la quale, a sua volta, è resa possibile solo dall'accoglienza della nuda parola del Vangelo. Si potrebbe tradurre: "Convertitevicredendo al Vangelo”. A noi, intenti ciascuno al proprio lavoro, si è avvicinato un giorno, in un momento non particolarmente importante della nostra vita, ma che si è rivelato poi decisivo, un uomo che ci ha detto -e che ci ripete ogni giorno-: seguimi.Sta tutta qui la vocazione cristiana. E la conversione si rivela non come il risultato di una decisione presa unilateralmente, ma come il dono e il frutto di un legame d'amore. Tra l'inizio e la fine può accadere di tutto, anche la tragedia assurda del tradimento, ma quel legame, per volontà di colui che mi ha chiamato, non si spezzerà più. "Di inizio in inizio, attraverso inizi senza fine” (Gregorio di Nissa) giungermo un giorno a nascere davvero."Nasciamo, per così dire,provvisoriamenteda qualche parte.Soltanto poco a pocoandiamo componendoin noi il luogodella nostra origine,per nascervi dopo,e ogni giornopiù definitivamente.” (Rainer Maria Rilke) Per nascere bisogna lasciare indietro le reti, e anche il padre e la madre, e fratelli e case e campi, perché la vita di un uomo non dipende dai beni che possiede. E nemmeno dalle sue sicurezze affettive. Mai come oggi, mentre entriamo in una crisi sociale ed economica che non ha ancora mostrato tutta la sua oscura violenza, sentiamo quanto sia importante la stabilità di un lavoro e la sicurezza degli affetti. Ma sappiamo anche che il nostro cuore non può vivere di solo pane o nel piccolo orizzonte dei nostri bisogni affettivi. Esso è abitato da un desiderio che niente e nessuno potrà mai colmare, se non Colui che è all'origine stessa di tutto ciò che cerchiamo e desideriamo.Vi farò pescatori di uomini.Occorre capire l'immagine. Sappiamo che cosa vuol dire andare a pescare. Qualcuno lo fa per passione, altri per necessità. Dopo averci chiamati a sè, Gesù ci chiede di farlo come obbedienza ad un compito assegnato. Pescare è una missione. Nel linguaggio simbolico della Bibbia il mare è il luogo della morte: se ci si cade dentro si muore. Pescare uomini significa strapparli dalla morte, prenderli dentro una rete di relazioni nuove, universali, non più segnate dal limite della parentela, della razza, della religione, del sesso o della semplice amicizia. La rete infatti è gettata per tutti. "Nel ministero la domanda non è : «Come portare questa gente a Gesù?», o «Come fare per far credere questa gente?», o «Come aiutare tutte queste persone?». Il ministero accade da solo. Tu e io facciamo molto poco. Io non cerco di far andare la gente in chiesa, o che si unisca all mia pregahiera o all'Eucaristia. Io non faccio che incominciare a pregare e a offrire [...] l'Eucaristia; si vedrà che cosa accadrà [...] Il ministero potrebbe agire anche quando tu ti rilassi. Il ministero è il fluire del tuo amore per Dio e per gli altri”. (Henry J. M. Nouwen, La direzione spirituale, Queriniana, Brescia 2007, p. 179-180).Vi voglio raccontare un'esperienza. La settimana scorsa, in un viaggio in treno ho conosciuto Alessandro di Roma e Cristiano di Napoli, due quarantenni sposati e preoccupati per il loro lavoro. Quando mi sono presentato, si sono stupiti che io fossi un prete e che fossi così vicino alla loro vita e ai loro problemi. Abbiamo conversato per tutto il viaggio, durato qualche ora, senza moralismi o religiosi intenti di conquista. Eravamo tre uomini in cammino. Alla fine ci siamo scambiati le e-mail. Cristiano mi ha anche regalato il suo cappello, che ora porto con orgoglio. Ecco come hanno risposto al mio saluto: "Ricambio di vero cuore, sono molto contento di averti conosciuto e di aver trascorso l'intero viaggio a parlare con te: ti ringrazio per l'augurio riguardo il lavoro e, visto che sono un credente praticante, sono sicuro che il Signore mi guiderà nelle scelte, come fino adesso ha fatto, e mi sosterrà quando ne avrò bisogno. Sarei molto contento se tra noi rimanesse, anche se solo per il momento tramite e-mail aperto questo contatto; poi più avanti, non si sa mai, potremmo anche rivederci a me farebbe molto piacere. Ciao e arrivederci a presto. Alessandro.”. "Ricambio con affetto e spero di rivederti presto. Magari sul prossimo treno che prenderò!!!Un abbraccio forte. Cristiano”.Ricevendo questi messaggi ho avuto la gioiosa certezza che tutti e tre, Alessandro, Cristiano ed io, eravamo entrati nella rete. Non in quella informatica, ma in quella gettata dal Signore. Ciò è accaduto in un fine settimana, su un treno per Roma, "una città molto grande, lunga tre giornate di cammino” (Gn 3,3).
Mentre il mondo guardava con trepidazione e (forse troppa speranza) il giuramento di Barack Hussein Obama quale nuovo Presidente degli Stati Uniti d'America, primo presidente di colore degli States, con un collega abbiamo conosciuto M. (ne taccio il nome intero). M. è un ragazzo di 24 anni, nato e vissuto in Africa. E' un militare. M. ci ha raccontato che nella sua terra piove pochissimo, che ci sono 200 kilometri di spiagge, che il sole illumina la vita dalle 6,30 del mattino fin quasi alle 8 di sera., Ci ha raccontato dell'Oceano e delle sue acque calde perché interessate da una corrente che proviene dall'America Latina. Ci ha raccontato che a scuola i ragazzini imparano almeno 4 lingue (il portoghese, lo spagnolo, l'inglese, il francese) e che lui, di lingue, ne parla addirittura 6. Ci ha raccontato che ha indossato, per la prima volta nella sua vita, un cappotto 4 anni fa, arrivando in Italia. Ci ha raccontato del suo matrimonio con una nostra connazionale. Ma ci ha anche raccontato un'altra cosa... alcuni giorni prima, era entrato in un bar per pigliarsi un aperitivo. Entrano alcuni rappresentanti delle forze dell'ordine e, vedendo il colore della sua pelle, lo hanno immediatamente controllato. M. pazientemente ha esibito i suoi documenti: il passaporto (e mi ha colpito molto il fatto che lo abbia sempre in tasca) innanzitutto. E poi il codice fiscale (perché M. è italiano a tutti gli effetti). Ma solo quando ha esibito il suo tesserino di riconoscimento militare, la musica è cambiata: le forze dell'ordine si sono immediatamente scusate per "il disturbo arrecatole". Mi fermo qui.....
Che la forza sia con voi!
Quando la montagne dice NO, l'uomo è meno di niente...lo dice Walter Bonatti ospite di Fazio. Ecco l'intervista completa, filmato lungo (dura quasi 20 minuti) ma assolutamente imperdibile soprattutto per quanti non capiscono il fascino della montagna, il senso di solitudine e di introspezione che ti coglie....
Il Discorso di CHIUSURA del capo della Casa Bianca uscente Bush: «Vi lascio un'America più sicura»
WASHINGTON – In un breve, emotivo discorso il presidente Bush si è accomiatato dall’America rivendicando il merito di averla protetta per 7 anni dal terrorismo, e ammonendola che il terrorismo resta la sua più grave minaccia. «Spesso ho parlato del bene e del male - ha detto Bush - perché sono a confronto due sistemi opposti, uno che fomenta il delitto l’altro che alimenta la libertà. Nel corso della Presidenza ho subito dei rovesci, ha aggiunto umilmente, ma ho sempre agito nell'interesse dalla nazione». BILANCIO - Bush ha tracciato un bilancio positivo di sé, ignorando i critici, e mostrandosi convinto di lasciare un’eredità duratura. Ha esortato gli americani a unirsi per superare la crisi finanziaria «contro cui sono subito intervenuto» - ha ricordato e a evitare il protezionismo e l’isolazionismo. Ha quindi elencato quelli che considera i suoi maggiori successi, dalla liberazione dell’Afghanistan e dell’Iraq ai tagli fiscali interni. E ha concluso il suo addio sottolineando che il cambio della guardia con Obama sarà un momento d’orgoglio e speranza per l’America, la prova della vitalità della sua democrazia. Non c’è onore più grande, ha asserito patriotticamente, che comandare i nostri soldati, e non c’è nulla di più bello che essere cittadino americano. Il presidente si è congedato dal Paese dal Salone di oriente della Casa bianca accolto dall’ovazione dei membri del governo. DALLE TORRE GEMELLI ALLA NORMALITA' - Ha incominciato il discorso dalla strage delle Torri gemelle, osservando che con il tempo l’America ha ritrovato la normalità, cosa, ha detto, che io non ho potuto fare. E ha velatamente riproposto la sua dottrina della guerra preventiva, insistendo che il nemico va colpito là dove si annida, e che l’America deve esportare nel mondo la democrazia. «I nostri nemici sono pazienti - ha precisato -e hanno la determinazione per colpirci di nuovo». Bush non ha tradito ripensamenti neppure sull' economia, ribadendo la supremazia del libero mercato. In tutti i campi, ha terminato, dobbiamo mantenere chiarezza morale, sorvolando sulle polemiche causate dalle torture ai terroristi detenuti. Il presidente ha infine ringraziato la nazione per la fiducia concessagli, e ha citato alcuni eroi americani, come li ha chiamati. Tra di essi un chirurgo che a 60 anni è entrato nelle forze armate ed è in partenza per l’Iraq, dove ha perso un figlio. L’addio ha rispettato la tradizione che vuole tutti i presidenti cercare un posto nella storia e trasmettere con grazia le consegne al successore: Obama, ha sottolineato Bush, è un uomo la cui vicenda riflette le eterne promesse dell’America. Ma per Bush, la cui impopolarità ha toccato i massimi storici, è stato in parte anche un riscatto. Bush, la cui uscita di scena è un sollievo per molti, partirà per il Texas martedì al momento stesso che Obama s’insedierà alla Casa Bianca. Non interferirà nel governo democratico, e col tempo scriverà un libro.
Ho più volte parlato della grande utilità che, a mio avviso, ha Facebook e non solo per la possibilità di reincontrare amici, vecchi compagni di scuola. Ma anche per "incrociare" persone interessanti, magari note ma il cui essere interessanti non è dato dalla fama, dalla celebrità quanto piuttosto dal fatto che hanno sempre qualcosa di intelligente da dire. Scorro velocemente la lista dei miei "amici": molti sono persone che ho conosciute personalmente, con alcuni ho condiviso gli anni del Liceo e dell'Università, con molti quelli della giovinezza (cioè...ancora adesso) fatta spesso di cazzeggi, avventure, risate. Poi però ci sono persone di cui ho chiesto l'amicizia perché mi interessava confrontarmi con loro, perché è sufficiente scrivere un messaggio sulla loro bacheca per vederne poi una risposta che, quasi sempre, è - per me - motivo di nuove riflessioni, nuove analisi. Oggi, nei ritagli di tempo e saltando il pranzo (massima solidarietà all'amico Alessio Bonetto che, nel suo blog, annuncia di essersi messo in...dieta) ho dialogato con Pino Scaccia. Esattamente come, nei giorni scorsi, avevo parlato - dello stesso argomento: il conflitto isreaelo - palestinese - con Neliana Tersigni, Tiziana Ferrario, Lilli Gruber. Scorrendo la pagina personale di Pino Scaccia, sono stato incuriosito da una sua nota dedicata a Ivan Graziani. Graziani è stato cantautore che ho amato molto fin dal primo disco (allora c'erano ancora i dischi in vinile) che ho comprato in assoluto: una specie di "mini" 33 giri (c'erano se non ricordo male, 8 brani in tutto), un Q disc intitolato Canzone senza inganni che era soprattutto un grandissimo progetto di collaborazione musicale tra lo stesso Graziani, Ron e Goran Kuzminac. Molti dei testi di Ivan Graziani erano ribelli, controtendenza. Parlavano di temi spesso scomodi. Ma erano soprattutto straordinarie invettive contro i borghesismi, le ipocrisie, i finti moralismi che spesso, troppo spesso, ci circondano, ci attaccano, ci feriscono e che, in fondo, hanno sempre contraddistinto la storia diu questo nostro bel Paese da sempre in realta nient'affatto progressista ma sempre molto, troppo, conservatore (si pensi alla storia del PCI e al suo aver condannato Pasolini per la sua omosessualità o l'imbarazzo nell'affaire Togliatti - Iotti). Nella sua nota, Pino Scaccia ci regala un suo personalissimo ricordo di Ivan - morto il 1 gennaio 1997 di cancro (il grassetto al solito è mio):
In controtendenza com’era, se ne è andato all’alba di un nuovo anno, il ’97. Nella sua vita (troppo breve) ha sempre chiesto alle ”maledette malelingue” e ai finti progressisti solo di lasciarlo in pace. E infatti nessuno parla più di lui da tempo e non è che ne abbiano parlato molto anche quand’era vivo. Ma forse era proprio quello che voleva. Ivan ha sempre avuto in realtà un grande difetto: quello di farci riflettere e di battersi contro tutte le trasgressioni di maniera. Dunque, uno scomodissimo. Lo incontrai per l’ultima volta un anno prima che si ammalasse, giusto di questi tempi. Adesso che Ivan Graziani e' morto, quell'incontro e quell'intervista assumono il sapore di un testamento. Sembrano parole di oggi. Forse è vero che gli artisti sono fuori del tempo e dello spazio. Come lo sono le idee. La foto è più vecchia (ha almeno trentacinque anni) e la conservo come una reliquia.L'incontro, dunque, avvenne a Novafeltria, nella sua casa marchigiana a cui tanto teneva perchè era la terra dell'unica donna che ha amato, sua moglie Anna. "E poi le Marche le ho nel sangue - diceva spesso -. E gli anni trascorsi a Urbino, la laurea in grafica dove li metti?". Ivan Graziani non e' mai stato un tipo qualsiasi. Fin dall'inizio. Per esempio, nacque in mare. Non e' un modo di dire, nacque proprio in mare, sul traghetto Olbia-Civitavecchia che un pò riuniva le sue origini: padre abruzzese, madre sarda. Ha cominciato a suonare con Battisti, la PFM, Venditti. Di canzoni ne ha scritte tante ma è sempre stato innamorato di "Signorina". Quando i critici anni fa lo misero al centro di una singolare polemica (Graziani rock o melodico?) lui fa un album con una facciata rock e e l'altra melodica. Ridendo come un un matto. Intervista? Guai a parlargli di intervista. Diciamo che a un certo punto cominciai con le domande. Naturalmente provocatorie, altrimenti con Ivan non aveva senso. - Partiamo dalla tua voce. Quel falsetto. Vero o costruito? "Io credo di avere la voce di una bimba perversa. Ma soprattutto di usare la voce come uno strumento, spesso duello col pianoforte".- C'è chi si diverte a fare la classifica dei chitarristi migliori. Ci sei anche te in Italia. "Le classifiche non esistono. Il più bravo è sempre quello che guadagna di più".- Che pensi dell'ambiente musicale? "Una colonia. C'è poca gente che impone i suoi gusti a tutti. E smorza tanti entusiasmi".- Che proponi per cambiare? "Decentrare i centri di potere della musica. E' in provincia che nascono le nuove idee".- Cosa c'e' della provincia nella tua musica? "Il sapore, gli umori, la vita".- Se un giorno non dovessi suonare più? "Mi metterei a incartare caramelle. Non è una battuta. Sono uno specialista". - Ma tu smetterai? "Mai. Un vero chitarrista muore, deve morire sul palco".Non molto tempo dopo, a Novafeltria, al funerale, c'era la musica dei Beatles ad accompagnare per l'ultima volta Ivan. La chitarra l'ha portata con se. Naturalmente.
E questa è la canzone con cui Pino Saccia ha scelto di ricordare questo suo (e nostro) amico:
Che la forza sia con tutti coloro che non sono maledette malelingue perché ce ne sono, eccome se ce ne sono nevvero?
Da quando è iniziata questa esperienza amministrativa, tutti noi assessori conviviamo con l'incubo del patto di stabilità. Vale a dire con un perverso meccanismo che, in nome del controllo della spesa pubblica, sta letteralmente paralizzando le capacità di spesa degli enti locali. Questo si traduce nell'impossibilità, ad esempio, di accendere nuovi mutui per finanziare opere pubbliche, con una enorme difficoltà di garantire quel livello di servizi che ha da sempre contraddistinto il nostro Comune. Certo: mi verrebbe facile, ad esempio, sottolineare come, nel 2009, l'assessorato alla cultura possa contare su circa il 70% in meno di finanziamenti rispetto al 2008. Ma cosa dire, ad esempio, delle politiche sociali che, soprattutto con questa gigantesca crisi economica, stanno registrando un aumento di domande di sussidi e aiuti economici? Oggi, però, scopro una cosa che davvero mi fa incazzare...A giorni il Parlamento approverà il cosiddetto "decreto slava-crisi" su cui Berlusconi ha posto la fiducia con giustissima reprimenda da parte di Gianfranco Fini. Ebbene: all'interno di questo decreto esiste un emendamento grazie al quale il comune di Roma potrà uscire tranquillamente dal patto di stabilità senza subire la benché minima sanzione (nel caso in cui ne uscisse Mira, giusto per fare un esempio, l'anno prossimo ci sarebbero imposti tagli per quasi 3 milioni di euro, il che significherebbe far sparire di colpo tutte le politiche sociali). E che ti fa la Lega? Lo approva senza colpo ferire. Forse perché Berlusconi ha "concesso" a Maroni la tassa sugli immigrati? Giancarlo Galan si infuria e, a distanza, gli risponde Massimo Bitonci, deputato leghista e sindaco di Cittadella (ah, i doppi incarichi...) . Sta di fatto che dopo essere stati sconfitti su Lufthansa, ora i leghisti si pigliano - nel silenzio assoluto dei loro militanti troppo impegnati, probabilmente, a presentare Ordini del Giorno ove descrivono il nostro territorio ricettacolo di tutti i crimini del mondo - pure il calice amaro di una Roma che, evidentemente, per loro non è più...ladrona.
Offresi 70 mila euro per 6 mesi per badare a un mini-paradiso L'ente per il turismo australiano offre il lavoro su una striscia di terra della barriera corallina
LONDRA - I giornali dell'Inghilterra spazzata dal vento e dalla pioggia di gennaio non hanno dubbi: «Ecco il miglior lavoro della terra, per 70mila euro di guadagno in sei mesi». In realtà, quello offerto dall'ente per il turismo australiano non è esattamente un impiego sulla terra, ma su una striscia di sabbia nella Great Barrier Reef, la grande barriera corallina. E definirlo «un lavoro» è per lo meno generoso da parte delle autorità del Queensland: si tratta di stabilirsi sull'isola di Hamilton, in una casa con tre camere da letto tra le palme. Gli obblighi sono: dar da mangiare alle tartarughe (se lo chiedono), osservare le balene che incrociano al largo, ricevere la posta. E tenere un blog con un fotodiario per provare che tutto procede bene: ma solo una volta alla settimana. Il tutto per 150 mila dollari australiani al mese, 70 mila euro circa, che divisi per le 12 ore di lavoro mensili previste dal ritmo non proprio stakhanovista richiesto, fanno circa 6mila euro l'ora per rosolarsi al sole in paradiso.SELEZIONE - Non si tratta di uno scherzo: sul sito www.islandreefjob.com si possono trovare tutti i dettagli, riempire il modulo per l'autocandidatura e caricare un video di non più di 60 secondi con le proprie motivazioni. Il sito precisa che non serve essere un esperto oceanografo, avere attitudini e curriculum particolari, basta dimostrarsi dinamici e di buona volontà. «Ci rendiamo conto di offrire il miglior lavoro al mondo, lo facciamo per promuovere le nostre isole della barriera corallina sul mercato globale», spiega Anthony Hayes, direttore di Tourism Queensland. L'incarico parte a luglio, per sei mesi. La selezione online sceglierà nove finalisti che a maggio saranno portati a visitare la zona della Great Barrier Reef: anche per gli otto che al termine saranno scartati si tratterà di una bella vacanza-lavoro pagata.
Ora: per almeno 3 anni (speriamo) io son bloccato, ma se qualcuno di voi viene assunto...non c'é storia: aspetto un invito ok????
Non so perché titolo così questo post. Mi è venuto spontaneo ripensando a domenica sera, allo speciale, dedicato a Faber, che Fabio Fazio ha mandato in onda attraverso il suo Che tempo che fa. E forse perché quel "distico"Dai diamanti non nasce niente/ dal letame nascono i fiori mi ha sempre colpito molto. O forse, più semplicemente perché permane, in me (e, immagino, in tutti quelli che hanno assistito a questo speciale), una grande, grandissima commozione. Certo: molti dei cantanti chiamati a "reinterpretare" le canzoni di Fabrizio De Andrè non sono riusciti (con rare eccezioni come Tiziano Ferro, Andrea Boccelli, Vinicio Capossela e Jovanotti), per quanto bravi fossero, a restituirci appieno la poesia, la magia, la spiritualità di quelle che non sono "soltanto" canzoni ma autentiche poesie scritte da uno spirito libero, o forse semplicemente anarchico. Poi, però, sul finire della trasmissione ecco Genova, il porto, la città vecchia. Ecco la "sua" Genova, i suoi vicoli, le barche ormeggiate ma pronte a solcare nuovi mari in cerca di nuove terre da esplorare. Ecco soprattutto Cristiano, suo figlio, con l'impareggiabile Mauro Pagani...e se ti ci provavi a chiuder gli occhi, ti sembrava che Fabrizio fosse lì, al centro di quel porto da cui, 10 anni fa oramai, è partito per una nuova...vita.....
Ed ecco La città vecchia reinterpretata da Capossela nella sua versione originaria, quella cioè non censurata dove anziché "pubblica moglie" il professore chiama "quella che può darti una lezione" in altro modo....
Stamani ho dovuto affrontare una levataccia. Sveglia alle 5,15 del mattino per poter raggiungere, nella massima puntualità, gli studi televisivi di 7Gold, emittente televisiva con sede a Padova. Sono stato invitato da Antonella Prigioni come ospite della sua trasmissione, 7 in punto. Argomento della puntata la recrudescenza del conflitto israelo - palestinese. Attraverso la brava conduttrice, ho potuto ascoltare in "presa diretta" quel che sta realmente accadendo lungo la striscia di Gaza grazie alla testimonianza del dottor Mauro Dalla Torre, medico chirurgo che ha lasciato una promettente carriera universitaria per fare il "chirurgo di guerra" con la CRI ed Emergency. Mauro è stato in Aghanistan, in Darfur ed oggi è a Shifa dove presta la propria opera all'interno di un ospedale con 500 posti letto, tutti occupati dalle vittime di questa guerra. Sentire la sua voce affannata, sentire sullo sfondo i lamenti dei feriti, le voci concitate del personale medico e paramedico è stata una esperienza sconvolgente. Di questo conflitto, in realtà, sappiamo pochissimo visto che nessun giornalista è fisicamente entrato nella striscia di Gaza. E quando, dopo pochi minuti dall'inizio del collegamento telefonico, Mauro ci ha avvertito che stavano arrivando altri feriti conseguenza dell'ennesimo raid, sentirlo contare quanti, fra questi, erano bambini, ha fatto scendere in noi un silenzio carico d'angoscia. "La guerra fa schifo" ci ha detto Mauro. E a dirlo è uno che, purtroppo, di guerre ne ha viste e ne vedrà ancora molte. Ecco, sentire la voce dell'unico medico italiano che è presente nella striscia di Gaza, sentirgli raccontare ciò che i suoi occhi hanno visto e le sue mani toccato, mi han fatto pensare che, anche oggi, ci sono gli eroi, persone silenziose che lavorano per affermare un principio del quale, a parole (ma solo a parole), tutti siamo convinti e cioè che "la guerra fa schifo".
Grazie Mauro, grazie davvero!
E che la forza sia con te!
P.S: Non so se siete stati fra quanti, me comprese, ieri sera son stati alzati fino a tardi, rapiti da una bellissima trasmissione, lo speciale che Fabio Fazio ha dedicato a Fabrizio De Andrè. Una trasmissione straordinaria, dove è stato difficile trattenere l'emozione nel sentire parlare Dori Ghezzi, nell'ascoltare un incredibile monologo di Antonio Albanese; leggere la commozione negli occhi di Maurizio Maggiani o scoprire, attraverso la bravissima Giovanna Zucconi, la biblioteca di Fabrizio. E poi, alla fine della puntata, ascoltare Cristiano De Andrè e Mauro Pagani....
A voi, cari amici, giunga ancora il nostro più sincero augurio di pace. Riprendo a scrivere questi semplici pensieri - dopo una brevissima sosta natalizia – avendo negli occhi e nel cuore il dramma della strage che si sta consumando in questi giorni a Gaza. Esserci significa sentire anche nella nostra carne il grido di dolore che si alza dalle case, dalle strade e dalle piazze di questa città, divenute un cumulo di rovine, e segno evidente di una violenza disumana ed inaccettabile. Il nostro silenzio, di fronte alla tragedia, ci renderebbe testimoni colpevoli. Faccio mia la preghiera proposta da Pax Christi:
“Signore, Dio-con-noi!
Tu che bambino piangevi,
come tutti i bambini del mondo,
asciuga le lacrime dei bimbi di Terra Santa,
vittime di una nuova strage degli innocenti:
ora il loro cielo ha il colore della notte senza speranza.
Consola il pianto delle mamme di Gaza,
che non vedranno mai crescere i loro figli
perché la loro veglia, in queste notti senza luce, è una veglia funebre.
Dona loro la forza di non spegnere nei loro cuori straziati la fiammella del perdono.
Che la forza sia con voi....
Altre pagine da scrivere in questo romanzo buffo che è la vita..., su andiamo...dove? Ad est, ad est...
Invidio gli spagnoli. E non solo perché hanno un primo ministro come Zapatero che incarna in profondità (anche troppo per certi aspetti) una idea di laicità dello Stato cui credo profondamente (una volta Pier Paolo Pasolini commentò la frase evangelica "date a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare" sostenendo che quella "e" non fosse una congiunzione ma una disgiunzione; come se - cioè - si dovesse leggere "ma" anziché "e"). Ma perché il buon Zapatero ha una squadra di governo forte, ove milita la bellissima Carme Chacòn, prima donna ad assumere l'incarico di Ministra della Difesa. Carme è una donna davvero coraggiosa: incinta al settimo mese, volò in Afghanistan per andare a trovare le truppe spagnole ivi impiegate. E ieri ha partecipato alla tradizionale parata militare dell'Epifania non in abito lungo, come prevede il protocollo, ma indossando un elegantissimo smoking nero. In Spagna i cronisti (evidentemente la parata dovrebbe essere stata particolarmente noiosa) si sono scatenati fino a quando lo stesso ministero ha diramato una nota ufficiale motivando la scelta dell'insolito (a mezzogiorno non si usa lo smoking, semmai il tight...) abbigliamento.
Ecco cosa ne scrive oggi, Maria Laura Rodotà ne Il Corriere:
Colpire con ironia
C' è poco da fare. Saranno in crisi pure loro, ma gli spagnoli restano avanti. Perfino sugli abiti da cerimonia. E Carme Chacón, la ministra vestita come Julie Andrews in Victor Victoria, pare un progresso culturale; forse frivolo, forse per tutte. Perché: 1) Chacón, né simpaticona né seduttrice, è comunicatrice ardita e innovativa. Sa usare il suo essere donna, il suo essere ministro, il suo essere (prima) incinta, per provocare. Un atteggiamento poco istituzionale e poco femminile, apparentemente. Un comportamento da esibizionista, si è detto. Però ogni volta ne nasce un dibattito utile. Per dire: quanto può lavorare, se vuole, una mamma al settimo mese di gravidanza? (la maggioranza non andrebbe a visitare le truppe in Afghanistan, ma non c'è solo quello). Oppure: perché una cittadina che ricopre un'alta carica deve presenziare agli eventi ufficiali vestita da meringa? Il problema è marginalissimo; ma diventa interessante se si pensa al messaggio subliminale dello smoking di Chacón. In quanto: 2) Quello smoking è una versione estremista del tailleur pantalone, divisa delle politiche che vogliono essere prese sul serio; le intrappola tutte, da Hillary Clinton a Mara Carfagna. Spesso le mortifica. Ma lo stesso smoking, ridisegnato con suggestioni da torera, indossato in modo provocatorio, cavillo giuridico incluso (Chacón «era» in abito da cerimonia, come da protocollo, che diamine) è un prototipo di abbigliamento assertivo. E una sfida autoironica; di quelle che le donne, anche se di potere, raramente si permettono. Insomma, «è stata una messa in scena perfetta», ha commentato La Vanguardia, «con un unico difetto, l'eccesso di trucco» (in effetti). 3) Chacón (ci avrà pensato? Sì) con il suo smoking ha reso di colpo anacronistiche non tanto le mises quanto i ruoli delle altre donne presenti. Basta guardare le foto: accanto a lei la regina Sofia e Letizia, moglie dell'erede al trono, sembravano mute figurette d'epoca. Molte donne (finalmente? Sì) osservandole avranno pensato «altro che regina o principessa, meglio essere ministra» (in Spagna ovviamente). Maria Laura Rodotà
08 gennaio 2009
L'amico Fabrizio Melodia mi suggerisce una canzone di De Andrè, La domenica delle salme. Questo il testo:
Tentò la fuga in tram verso le sei del mattino dalla bottiglia di orzata dove galleggia Milano non fu difficile seguirlo il poeta della Baggina la sua anima accesa mandava luce di lampadina gli incendiarono il letto sulla strada di Trento riuscì a salvarsi dalla sua barba un pettirosso da combattimento I Polacchi non morirono subito e inginocchiati agli ultimi semafori rifacevano il trucco alle troie di regime lanciate verso il mare i trafficanti di saponette mettevano pancia verso est chi si convertiva nel novanta ne era dispensato nel novantuno la scimmia del quarto Reich ballava la polka sopra il muro e mentre si arrampicava le abbiamo visto tutto il culo la piramide di Cheope volle essere ricostruita in quel giorno di festa masso per masso schiavo per schiavo comunista per comunista La domenica delle salme non si udirono fucilate il gas esilarante presidiava le strade la domenica delle salme si portò via tutti i pensieri e le regine del ''tua culpa'' affollarono i parrucchieri Nell'assolata galera patria il secondo secondino disse a ''Baffi di Sego'' che era il primo -- si può fare domani sul far del mattino – e furono inviati messi fanti cavalli cani ed un somaro ad annunciare l'amputazione della gamba di Renato Curcio il carbonaro il ministro dei temporali in un tripudio di tromboni auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni -- voglio vivere in una città dove all'ora dell'aperitivo non ci siano spargimenti di sangue o di detersivo – a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade eravamo gli ultimi cittadini liberi di questa famosa città civile perché avevamo un cannone nel cortile La domenica delle salme nessuno si fece male tutti a seguire il feretro del defunto ideale la domenica delle salme si sentiva cantare -quant'è bella giovinezza non vogliamo più invecchiare – Gli ultimi viandanti si ritirarono nelle catacombe accesero la televisione e ci guardarono cantare per una mezz'oretta poi ci mandarono a cagare -- voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti per l'Amazzonia e per la pecunia nei palastilisti e dai padri Maristi voi avete voci potenti lingue allenate a battere il tamburo voi avevate voci potenti adatte per il vaffanculo — La domenica delle salme gli addetti alla nostalgia accompagnarono tra i flauti il cadavere di Utopia la domenica delle salme fu una domenica come tante il giorno dopo c'erano i segni di una pace terrificante mentre il cuore d'Italia da Palermo ad Aosta si gonfiava in un coro di vibrante protesta
E' una canzone "difficile"; a spiegarne il senso è lo stesso De Andrè:
"Era tutto quello che avevo dentro, e che sentivo di dover dire. È una canzone un po' rabberciata, perché la musica la abbiamo scritta dopo, la abbiamo cucita sopra il testo, e si sente. L'ho scritta in modo piuttosto colto, anche per distanziarla da Don Raffae'. Sciascia diceva che la canzone, per essere utile, deve essere scritta da un uomo di cultura che sappia, però, esprimersi in maniera popolare. Però il disco mi sembrava un po' fragilino, ed allora ho sentito il bisogno di impiegnarmi, e l'ho fatto, svolazzando anche in alto. Ci sono molti riferimenti letterari. Ho voluto anche sfoggiare un po' di cultura, perché in pochi, magari, hanno letto Oswald De Andrade. Ma non è sfoggio in realtà, perché mi è venuta piuttosto spontaneamente: sai, molto dipende dai panni di cui ci si veste quando si scrive. Ti metti nei panni di Don Vito Cacace e ti viene Don Raffae', ti metti nei panni di chi vuol fare poesia e ti viene La domenica delle salme. Quanto al riferimento alla Baggina, non è la prima volta che mi capita di presagire qualcosa nelle mie canzoni. Il riferimento a Curcio è preciso. Io dicevo semplicemente che non si capiva come mai si vedevano circolare per le nostre strade e per le nostre piazze, piazza Fontana compresa, delle persone che avevano sulla schiena assassinii plurimi e, appunto, come mai il signor Renato Curcio, che non ha mai ammazzato nessuno, era in galera da più lustri e nessuno si occupava di tirarlo fuori. Direi solamente per il fatto che non si era pentito, non si era dissociato, non aveva usufruito di quella nuova legge che, certamente, non fa parte del mio mondo morale... Il riferimento poi all'amputazione della gamba, voleva essere anche un richiamo alla condizione sanitaria delle nostre carceri. "
Quando le parole non bastano più, quando la violenza cieca e sorda viene contrabbandata come "reazione", quando alla fine a pulire il sangue sui marciapiedi sono lacrime di madri e padri per i loro bimbi massacrati...quando...
In attesa dell'Epifania che tutte le feste porta via e della ripresa definitiva delle normali attività quotidiane, qualche anniversario
1) 11/1/1999 - 11/1/2009: 10 anni; 10 anni dalla scomparsa, brutale ed imprevista, di Fabrizio De Andrè. Come "classificarlo"? Cantautore (e per di più di quella "scuola genevose" che tanto ha dato alla musica pop)? Poeta? Intellettuale? Forse basta dire quel che disse Nanda Pivano (che nel luglio di quest'anno toccherà quota 92 anni.), che di queste cose se ne intende (eccome se se ne intende...): Mi pare che sempre di più sarebbe necessario che invece di dire che Fabrizio è il Bob Dylan italiano, si dicesse che Bob Dylan è il Fabrizio americano.
Molte le iniziative per ricordarlo. Su tutte sottolineo In Viaggio con Fabrizio - Genova Sardegna andata ritorno, domenica 11 gennaio (dalle 21) al Teatro Astra di Vicenza.
2) Il 20 luglio di 40 anni fa, l'uomo metteva - per la prima volta - piede sulla Luna; si avverava un sogno fortemente coltivato dal mio amato JFK; a chi non l'avesse ancora letto consiglio Se il sole muore di Oriana Fallaci.
3) Il 15, 16 e 17 agosto di 40 anni fa si svolse il Festival di Woodstock, probabilmente il più grande evento collettivo mai organizzato nella storia della musica rock.
Sempre quest'anno, così come tutti gli anni precedenti e - temo - in quelli futuri, "celebreremo" anniversari di guerre, massacri (come quello al mercato di Sarajevo, 15 anni fa, magistralmente raccontato da Adriano Sofri), stragi (20 anni da quella di Tienanmen; 40 anni da quella di Piazza Fontana sulla quale è bene leggiate Gianfranco Bettin - Maurizio Dianese, La strage , edito da Feltrinelli e capirete che un "pezzetto" di quella strage interessa anche Mira e la Riviera del Brenta per via di una certa villa che, 3 giorni prima della strage....), genocidi (15 anni da quello in Ruanda). In Niente e così sia, Oriana Fallaci scrive:
Padre nostro che sei nei cieli
dacci oggi il nostro massacro quotidiano,
liberaci dalla pietà, dall'amore, dalla fiducia nell'uomo.
Dall'insegnamento che ci dette tuo Figlio.
Tanto non è servito a niente,non serve a niente.
A niente e così sia.
E mentre Israele non si ferma (e già di per sè la sproporzione di una reazione, per quanto ad una azione vigliacca, dovrebbe metterti dalla parte del torto), oggi - scusate - ma non mi vien da salutarvi nel solito modo.... ma...ascoltatela: