Siamo tutti, in un modo o nell'altro, un volo interrotto. Precipitiamo dai nostri sogni, ma ciò che ci può distinguere e preservarci dall'inesorabilità del destino è la capacità di librarci ancora non verso ciò che siamo ma verso ciò che vorremmo essere.
(Dario Cresto - Dina)
venerdì 27 febbraio 2009
LETTERA APERTA
Stimatissimo dr. Renato Chisso, assessore regionale alle infrastrutture mi scuso se La distolgo dai suoi molteplici impegni per disturbarLa per qualche minuto. Immagino Lei non mi conosca: sono Davide Meggiato, assessore alla cultura del comune di Mira, ma Le scrivo non per questioni che attengono i nostri rispettivi ruoli istituzionali quanto, piuttosto, per porgerLe un cortese invito. Si, assessore Chisso vorrei invitarLa a fare un giro in auto con me. Stia tranquillo: in più di 20 anni di guida, ho preso soltanto 5 multe (4 per divieto di sosta ed una per guida senza cinture di sicurezza). E' vero: come chiunque si occupi (bene o male) di cultura, anche io sono perennemente distratto, sempre con la testa fra le nuvole, soprapensiero alla ricerca di nuovi modi di fare cose con le parole. E però, assessore carissimo, vorrei invitarLa ugualmente. Sceglierei, per Lei, lo stesso tragitto che ho fatto ieri sera: lungo la A4 da Padova Ovest a Mira. Ed esattamente come ieri sera, vorrei percorrerlo al termine di una giornata pesantissima che, per me, ieri è trascorsa al capezzale di una persona a me molto cara, sottopostasi ad un difficile e dolorosissimo intervento chirurgico (andato bene per'altro). Chissà, egregio assessore, se in auto chiacchiereremo oppure ci scazzeremo tale e tanta è la diversità politica che ci differenzia. Oppure chissà se Ella, intuendo il mio stato d'animo, se ne rimarrà in silenzio. Io, per parte mia, grazie a questo illustre compagno di viaggio, guiderei con trepidante fiducia, certo che - a poche centinaia di metri dallo svincolo di Dolo/Vetrego - Lei mi consiglierebbe di tenere la destra anziché proseguire diritto come verrebbe naturale fare. E così, in men che non si dica, giungeremmo nella "mia" Mira dove avrei il piacere di averLa mio ospite a cena (si mangia benissimo qui dalle mie parti sa?). E La ringrazierei profondamente di questa Sua accortezza giacché, mi creda, sarebbe stato facile, facilissimo, per me fare ciò che, purtroppo, ho fatto ieri sera: proseguire diritto ed imboccare il Passante Autostradale che Ella, insieme al Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio on. Berlusconi e a quello della Giunta Regionale, Giancarlo on. Galan, avete inaugurato pochissimi giorni fa. E, se però, per via della discussione animata in cui - forse - saremmo impegnati, né io né Lei, egregio assessore, ci rendessimo conto, complice - magari - quella che a me è parsa scarsissima illuminazione - di quale direzione avremmo dovuto prendere? "Poco male, Le direi, usciamo al primo svincolo". Lei a quel punto, forse, sorriderebbe. Io, mi creda, ieri sera non ho sorriso quando ho scoperto che il primo svincolo del Passante è quello di Preganziol (ma non sarebbe stato più logico chiamarlo Mogliano?) a 19 (sì, diciannove) chilometri dall'inizio del Passante. Eppure, assessore stimatissimo, io il progetto del Passante l'ho visto e me lo ricordo con alcuni svincoli intermedi (me lo ricordo anche dotato di opere di mitigazione ambientali che ieri sera, complice il buio e la mia rinnovata attenzione nella guida ne son certo, non ho visto). Dove sono andati a finire? Ma, davvero, avete inaugurato il Passante senza le opere complementari? Ed io che pensavo fosse la nostra (intendo di noi del centrosinistra) demagogica opposizione! E, davvero, sono io l'unico cretino (vorrei usare una altra espressione ma sarebbe poco istituzionale) a giudicare assolutamente insoddisfacente la segnaletica stradale?Stimatissimo assessore, non pretendo certo che Lei mi risponda o accolga davvero il mio invito. Se Lo facesse ne sarei onorato. Così come sarei profondamente onorato se Ella volesse darmi un Suo recapito telefonico. Lo userei, mi creda, con grandissima parsimonia. Di più: lo userei soltanto ogniqualvolta mi trovassi a poche centinaia di metri dall'innesto al Passante. Lo userei in modo che la sua voce (possibilmente armonica come quella di taluni navigatori satellitari) mi guidasse passo passo sulla retta via. Che, mi creda, ieri sera non era Preganziol.
Dario Franceschini ha nominato la nuova segreteria del PD. Lo dico con sincerità: mi pare una buonissima rosa di nomi. Che soprattutto, a mio avviso, da un segnale preciso verso quali orrizzonti il segretario nazionale intende puntare per cercare la - difficilissima - rimonta. Questi i nomi degli otto:
Vasco Errani, presidente della regione Emilia Romagna, Sergio Chiamparino, sindaco di Torino Fabio Melilli, presidente della Provincia di Rieti Maurizio Martina, segretario regionale del Pd lombardo Elisa Meloni, segretario provinciale del PD di Siena Federica Mogherini, parlamentare Giuseppe Lupo, consigliere regionale siciliano. Infine, Maurizio Migliavacca assumerà la funzione di dirigente dell'area Organizzazione. Quale il senso di questa segreteria? Ripartire dal territorio puntando su quanti (come Errani e Chiamparino) da amministratori locali hanno le capacità per rilanciare il progetto politico del partito. Ecco le motivazioni dello stesso Franceschini:
“Come mi ero impegnato a fare con l'assemblea che mi ha eletto segretario, ho fatto la mia segreteria coinvolgendo il territorio nella dirigenza del partito senza aver trattato con nessuno, in solitudine e mi assumo la responsabilità delle mie scelte". Lo ha spiegato ai cronisti il segretario dei Pd, Dario Franceschini che questa sera ha presentato la sua segreteria. “La costruzione di organismi dirigenti di solito richiede tempi di riflessione più lunghi pero' in questo caso c'era l'urgenza di avere in campo da subito organismi non provvisori - ha chiarito Franceschini - oggi mancano cento giorni alle europee quindi non c'è tempo da perdere”, ha aggiunto il segretario del Pd.La segreteria si riunirà settimanalmente e sono previste riunioni frequenti anche dell'assemblea dei segretari regionali".
Ecco i risultati salienti del sondaggio di febbraio sulle intenzioni di voto degli italiani condotto da Luigi Crespi :
INTENZIONI DI VOTO
Centrodestra:I risultati più clamorosi e per certi versi anche drammatici li riscontriamo nelle intenzioni di voto, dove con il 53,5% la coalizione di centrodestra ottiene il maggiore consenso dalle elezioni politiche ad oggi. Il PDL con il 42% raggiunge i suoi massimi storici, bene la Lega che si conferma al 10% e l’MPA sostanzialmente stabile all’1,5%.
Centosinista: Ma è proprio nel centrosinistra che misuriamo in modo pesantissimo l’effetto del combinato disposto delle elezioni sarde e delle vicende del PD. Infatti il partito, ora di Franceschini, si avvicina spaventosamente a quota 20%, ottenendo il 21,8%, perdendo quindi ben 4,5 punti, in parte avvantaggiando il partito di Antonio Di Pietro che ottiene l’8%. Di conseguenza è in crescita anche la Lista Pannella-Bonino che raggiunge il 2%. La coalizione teoricamente totalizza il 31,8%, ma tutta insieme non raggiunge il dato che il solo PD ha ottenuto alle politiche. La differenza tra i due schieramenti raggiunge il vertiginoso dato del 21,7%.
Gli altri: Bene l’UDC di Casini che raggiunge il suo massimo dopo le politiche con il 6,2%, benino anche Rifondazione Comunista con il 2,5%, al palo i Comunisti Italiani con l’1,2%, 0,8% ai Verdi e l’1,5% al Partito Socialista. Per chiudere La Destra di Francesco Storace attesta il suo dato al 2%.
Ogni sera, al Festival di Sanremòlis, il cantante Masini lanciava la sua invettiva contro l’Italia, «un Paese che c’ha rotto i coglioni». E ogni sera, immancabilmente, a quel passaggio il pubblico esplodeva in un applauso liberatorio. Il siparietto si è ripetuto a «Domenica In», tanto che Pippo Baudo si è sentito giustamente in dovere di chiedere «ma voi per chi avete votato?», ottenendo in risposta un significativo silenzio.Nella lunga storia del qualunquismo, l’ovazione antiitaliana del loggione festivaliero rappresenta un’evoluzione anche rispetto ai «vaffa» di Grillo. Quelli si rivolgevano ancora a soggetti specifici, nomi e cognomi additati al pubblico ludibrio come responsabili dello sfascio. Qui invece siamo al disprezzo generico per uno Stato che nessuno difende e per il quale nessuno si offende, perché nessuno immagina di farne parte. Fatico a immaginare una folla francese che applaude un cantante francese che insulta la Francia durante il festival della canzone francese. Ma chi applaudiva Masini non si sentiva affatto coinvolto. L’Italia che «c’ha rotto i coglioni» era il politico della fazione avversa e anche quello della propria. Era il centravanti della squadra rivale, il vigile col vizio della multa compulsiva, la maestra crudele che dà un votaccio al pupo di casa. Era il capufficio arrogante, il vicino invadente, il coniuge assente. Insomma, ad averci «rotto» è un Paese composto da 60 milioni di persone meno una. E l’applauso all’insulto, un modo come un altro per prendere le distanze da quei 60 milioni, meno uno, di italiani veri.
Dunque tutto come previsto. L'Assemblea Costituente del PD, sabato, ha "eletto" (virgolette obbligatorie giacché il voto per alzata di mano a me non piace) Dario Franceschini, classe '58, da Ferrara nuovo segretario nazionale. Non so quale importanza abbia il fatto che il nuovo segretario provenga dal mondo del cattolicesimo democratico avendo militato prima nella DC, poi nel PPI ed infine nella Margherita. Certo: il suo è stato un discorso coraggioso in cui, lasciatemelo dire, si è intravista quella che io considero una sorta di "superiorità intellettuale" di molti cattolici (non certo i teodem ) per i quali la diversità di idee e di opinioni possono e debbono diventare occasione di dialogo e di confronto, alla ricerca della migliore mediazione possibile. Sono per'altro convinto che questo dsiscorso non sia piaciuto a quanti lo avranno giudicato per così dire troppo di "sinistra". Sta di fatto che oggi il PD ha un altro "merito", l'aver introdotto una nuova figura, quella del segretario a tempo determinato. Una sorta di Co. co. co, una specie di contratto a progetto. Inutile nascondercelo: a giugno le elezioni europee saranno, di fatto, elezioni politiche. E lì vedremo se in queste poche settimane, Franceschini avrà saputo invertire la rotta o meno. Nel frattempo alla mail di Andrea Ferrazzi che ho pubblicato sabato, sono seguite altre mail di risposta. Ve le propongo avendo avuto la autorizzazione a farlo dai rispettivi mittenti. Cominciamo con Paolo Giacon ,braccio destro del segretario regionale del Veneto:
Caro Andrea, cari tutti, grazie per questa tua riflessione che mi sento di condividere. Anche io sto meditando molto sul mio voto di domani, e sinceramente non vedo l'ora di partecipare questa sera all'assemblea aperta del PD della provincia di Padova per mettere in discussione le mie riflessioni con la base del nostro partito, l'unica vera forza reale di qualsiasi progetto politico. Primarie e congressi sono strumenti preziosi per la vita di un partito, direi essenziali. Il principio nuovo della partecipazione e del coinvolgimento diretto del "cittadino elettore attivo" sono la piu' grande novità della politica italiana degli ultimi vent'anni. Ma i principi non sono tutto: a costituenti, dirigenti e quadri vengono richiesti anche senso di responsabilità, buon senso e lungimiranza. Il partito non puo' permettere che l'utilizzo spregiudicato di certi valori e principi sia solo un mezzo per nascondere una sotterranea lotta interna per il potere ed il controllo del partito. Quella di Parisi, ad esempio è una battaglia di principio o solo un mezzo per ritagliarsi un posto al sole? Attualmente ho un'unica idea che mi orienta ed è la seguente. A poche settimane dal volto amministrativo ed europeo tutte le energie di militanti, quadri e dirigenti del partito devono essere dirette verso il comune sforzo elettorale che ci permetterà di arginare la demagogia ed il populismo della destra e della Lega. Ogni singolo minuto è prezioso e deve essere rivolto all'impegno elettorale esterno, quelle per le ELEZIONI VERE. Congresso o primarie si trasformerebbero in questo momento in una resa dei conti, in uno scontro tra bande, ma adesso non ce lo possiamo permettere, perche’ dobbiamo ottimizzare le energie e le risorse che abbiamo. Verrà il tempo di una dialettica autentica, sana, vitale, ricca di passione e coraggio. Ora è il tempo di dare fiducia ad un nuovo leader, chiedendogli spirito di innovazione, determinazione e la capacità di coltivare insieme il comune sogno democratico.
Scrive invece Atonino Stinà
Non ero a Roma oggi, non avendone titolo. Ho seguito molto del dibattito su radio radicale. Mi è sorta spontanea una domanda: di quanta ipocrisia siamo capaci? Tutti d’accordo nel ringraziare Veltroni per il prezioso lavoro svolto e concordi nell’assolverlo dalle responsabilità. Tutti d’accordo nel sostenere il nuovo segretario. Ma cos’è successo, siamo diventati tutti più buoni? Perché non si sono espressi i veri big del partito: D’Alema, Rutelli, Marini Fioroni, Letta, Bersani (onore a Fassino e alla Bindi che hanno messo la faccia e assunto impegni precisi). Ma allora se adesso Franceschini va bene a tutti e grazie a lui si sono sciolti i nodi politici del PD, ma vuoi vedere che il problema era proprio Veltroni. Ma allora diciamocelo. O come diceva Totò: ma mi facci un piacere!!!
Infine ecco cosa scrive Samuel Mazzolin che si definisce un 28 enne senza tessera ma che, però, mi pare dica cose molto sensate:
Buongiorno a tutti,grazie Andrea per lo spunto di discussione. Con qualcuno di voi ci conosciamo già di persona, ma spero di incontrare presto anche tutti gli altri: vorrei esprimere solo un pensiero a nome di un giovane interessato alle vicende politiche del suo paese, ma scettico rispetto alla forma partito come strumento per un'azione concreta di cambiamento sociale.Molti stanno pensando "ecco un altro dei grillini", e invece no.Vengo dal e faccio tuttora parte del mondo delle associazioni giovanili - www.gruppocontatto.org e http://primolunedi.mrevolution.eu i due progetti che sto portando avanti con alcuni under-35 - ma ho frequentato l'anno scorso il Centro di Formazione Politica di Milano, dove ho avuto il piacere di conoscere giovani e meno giovani vicini al PD - e il modo di ragionare era proprio lo stesso dell'"uomo del novecento" che poteva scegliere tra due ideologie contrapposte, tra destra e sinistra, tra democristiani e comunisti.Ragionare in modo ideologico e dogmatico ritengo sia sbagliato a prescindere, in tutte le discipline, e vedere Veltroni come Obama e il PD come i Democratici americani sinceramente non mi fa battere il cuore. Apprezzo lo sforzo ma se sai che la sostanza è diversa, il palco non regge. La newsletter e YouDem non bastano se sono operazioni di facciata.Con umiltà ma decisione, senza quel "ma anche"... se vuoi essere credibile e percepito con una precisa identità. Qual è l'identità del PD? Io scusate ma non l'ho ancora capito.Penso che tenere insieme la complessità del mondo reale in un racconto verosimile ma soprattutto emozionante sia molto difficile, se non impossibile di questi tempi. Quindi tanto di cappello al tentativo di Walter. Però non riesco ad appassionarmi - e ci provo eh, ve lo assicuro - alla lotta politica locale all'interno del partito, e per questo provo a tenermi sveglio con altri strumenti.Se il PD vuole veramente rinascere, deve iniziare lasciando davvero spazio a teste e cuori nuovi - non agli stessi che si sono avvicendati negli anni, su scala tanto locale quanto nazionale. Deve parlare un linguaggio diverso, avvicinarsi ai giovani - di cui ha bisogno, ma non solo per il voto - e saperli ascoltare, senza volerli poi ingabbiare dentro logiche che questi preferiscono osservare, comprendere ma non accettare. E per questo ne stanno, ne stiamo fuori.Chi si interessa dei giovani, veramente e in modo non utilitaristico? Chi porta in campo le nostre istanze? Nemmeno la maggioranza dei giovani stessi, ma la situazione sta cambiando.Parlo a titolo personale e mi assumo la piena responsabilità di quello che scrivo. Sono convinto che questo paese - e ancor più questo territorio, il nostro nordest - abbia un potenziale latente che aspetta solo qualcuno che riesca a catalizzarlo attraverso una forma di impegno civico nuovo, che non sia omologante ma faccia leva sulla diversità. Credo più al potere dei piccoli gruppi, aggregati in reti a geometria variabile a seconda della precisa causa che è sul tavolo in quel momento: movimenti della società civile che riescono a far battere il cuore, perchè affrontano problemi concreti e si rivolgono in modo umile alle persone, senza la sindrome da elitè che spesso i nostri amministratori locali dimostrano. Che ci fa ridere e ci allontana ancora di più.E' la forma mentis dell'imprenditore contro il manager, il creativo contro il burocrate, il guardare avanti contro la difesa di rendite di posizione.Finchè i personalismi che vediamo in questi giorni prevarranno sulla consapevolezza di dover dare una sterzata decisa alla linea politica del PD e all'uso dello strumento partito, la sua classe dirigente continuerà a perdere credibilità e ascendente sui giovani che vogliono davvero cambiare le cose. Se non sono già andati all'estero.Sicuramente non sanno bene come attivarsi, molti sono scettici, ma intanto ci provano con mezzi e formule diverse dal partito - mentre tutti proclamano che non si interessano alla politica e sono fondamentalmente apatici e rinchiusi nel privato.Siete i benvenuti se volete passare a qualcuno dei nostri incontri,Samuel Mazzolinwww.gruppocontatto.orghttp://primolunedi.mrevolution.eu"Un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi" (M. Proust)
Che la forza sia con voi....
P.S.: sempre a +11 dalle dirette inseguitrici e ora vai col Manchester....E però da ieri le nostre discussioni di calcio mi sembreranno più povere senza la penna lieve di Candido Cannavò...ciao Maestro e ti sia lieve la terra.
Il mio grande amico Andrea Ferrazzi, vicepresidente della Provincia di Venezia e membro dell'assemblea nazionale del Partito Demcoratico, in vista della convocazione di domani, sabato, mi ha inviato alcune sue riflessioni sulle quali concordo pienamente (al solito il grassetto è mio):
Nel mentre noi stiamo combattendo una dura battaglia per le provinciali la nostra contraerea invece di sparare al nemico ci spara addosso. E spara addosso ai militanti e agli amministratori di più di 5.000 comuni che in italia andranno al voto in giugno (più della metà del totale). Veltroni ha abbandonato il campo durante la battaglia costringendoci a trovare una soluzione che sarà inevitabilmente, nel migliore dei casi, il male minore. Ma è tutta la classe dirigente nazionale che deve assumersi la responsabilità: ha accentrato tutto a roma, ha fallito, ne risponda. Si è chiusa nella difesa personalistica e miope delle proprie bandierina invece di issare con coraggio la nuova bandiera del partito democratico. E quel che più è grave è che ciò copre le reali difficoltà della destra. Domani a roma, dovrò votare all'assemblea costituente. Chiederemo conto di tutte le responsabilità. Ma questo non basta: va detto in modo definitivo che la forza del PD sono i militanti, sono gli amministratori del territorio, che le primarie devono essere il metodo chiave per ogni decisione fondamentale. Va anche detto che la costruzione della leadership passa attraverso il coraggio di confrontarci anche sui temi culturali pre-politici di frontiera, come quelli legati alla bioetica. E lo dobbiamo fare senza ideologismi ma partendo dalla constatazione che di fronte ai drammi delle persone si deve partire dal dato di realtà, inspirati da una irrequietezza che non può lasciare spazio a ideologiche convinzione ma che invece apre ad un processo di ricerca difficoltoso ma necessario. Non abbiamo molto tempo, va dunque giocato al meglio.
Questo invece il testo dell'intervento di Michele Carpinetti, pubblicato oggi dai quotidiani locali:
Sì..scandali. Ho titolato così questo post. Innanzitutto pensando alla farsa del processo per giudicare gli assassini di Anna Politkovskaia, la giornalista russa - scomodissima per il regime moscovita per via della sua battaglia contro Putin - uccisa il 7 ottobre del 2006. Quattro erano gli imputati. Due di loro risultano essere addirittura un ex dirigente della polizia ed un ex colonnello dei servizi segreti. Scrive oggi Franco Venturini ne Il Corriere:
L'avvocato e attivista del movimento per i diritti umani Stanislav Markelov assassinato nel centro di Mosca assieme alla giornalista Anastassia Baburova (che lavorava nello stesso giornale della Politkovskaja) ; il dissidente ceceno Israilov raggiunto e ucciso a Vienna; il colonnello Budanov, reo confesso di aver strangolato una ragazza diciottenne dalle parti di Grozny, liberato in anticipo dal carcere; l'ex magnate del petrolio Khodorkovski portato invece a Mosca dopo quattro anni di carcere siberiano per subire un secondo processo politico quanto il primo. E da Putin come da Medvedev un assordante silenzio, non una parola per i morti, non un impegno a far luce. Fino al recentissimo scontro verbale tra Putin e Barroso soltanto perché il presidente della Commissione europea si era permesso di sollevare la questione dei diritti umani.
L'altro "scandalo" è tutto nostrano. Ed è scandalo perché, almeno a me, provoca indignazione. Grande e forte. Ha ragione Enrico Letta che ha definito lo Statuto del Partito Democratico una gabbia: troppo farraginoso e barocco (dalla intervista rilasciata all'agenzia ASCA). E già perché se, sabato, si sceglierà la reggenza di Dario Franceschini è anche in virtù di norme farraginose. Che impediscono di fare ciò che, a mio avviso, era l'unica cosa da fare per evitare che per questo "nuovo" partito i prossimi mesi portino ad un 8 settembre: un Congresso Straordinario che porti alla elezione di un segretario nazionale forte e autorevole. Ho grandissimo rispetto per Dario Franceschini: ma davvero qualcuno pensa che il suo "status" di reggente, gli permetterà quella autonomia decisionale e quella autorevolezza di cui abbiamo dannatamente bisogno? O invece a lui toccherà in sorte quella di essere un reggente "sotto tutela"? Senza dimenticare che solo in un Congresso sarà possibile confrontarsi, misurarsi su proposte alternative ed infine "contarsi". Così facendo, invece, temo che - alla fine - le scelte politiche del PD, da qui all'autunno, saranno solo...di corridoio.
L'amico Marco Stradiotto mi segnala, tramite fb, questo apologo che, ieri pomerigigo, il suo compagno di banco, senatore Sircana ha scritto sulla travagliatissima crisi del PD:
COME AL SUPERMERCATO
“Ma non è possibile! Non si riesce a capire come mai… abbiamo i prodotti migliori, i dirigenti migliori, abbiamo fuso due reti di distribuzione che coprono tutto il territorio, abbiamo fatto una grande campagna pubblicitaria…e le vendite continuano a crollare…guarda qua! Guarda gli ultimi dati della Sardegna: avevamo il controllo del mercato e adesso siamo scesi al secondo posto. Guarda le proiezioni nazionali: se si va avanti così rischiamo addirittura in alcune regioni di scendere al terzo. Tu che sei tanto bravo riesci a spiegarmi che succede o devo rivolgermi a una cartomante?”. Il povero Lettini aveva ascoltato in silenzio la sfuriata dell’Amministratore Delegato, del resto non era la prima, negli ultimi tempi, e – pensava – non sarebbe stata neanche l’ultima. “Vedi William”, cominciò con un filo di voce, “Il problema è che la rete di vendita è allo sbando, abbiamo chiuso tutti i piccoli negozi in franchising , dove la gente bene o male sapeva che qualcosa di buono lo trovava, abbiamo puntato sulla grande distribuzione di qualità, ma, diciamolo, basta che un qualsiasi piccolo o medio imprenditore molisano apra il suo discount e ci porta via fette di mercato, mentre il nostro maggiore concorrente con la forza del suo marchio e la sua politica di offerte speciali ci leva mercato dall’altra parte…siamo in una tenaglia. Bisogna studiare una seria strategia per uscirne…” Il portapenne si spaccò in mille pezzi a circa un metro da lui. William si era alzato in piedi di scatto e aveva cominciato a urlare “E’ un anno che studiamo serie strategie e guarda i risultati. Abbiamo fuso le due più belle catene di supermercati del Paese e oggi vendiamo molto meno di quando eravamo separati, abbiamo evitato di allearci – e sei stato tu a consigliarmelo - con i piccoli gruppi regionali e nazionali perché volevamo difendere la nostra politica di vendite e non volevamo farcela condizionare da terzi e guarda qua: meno sette, meno sei virgola cinque, meno nove, meno cinque per cento…non c’è un segno più da nessuna parte. Basta con le “serie strategie”. Non c’è più tempo. Voglio tra due ore un consiglio di amministrazione straordinario allargato a tutti i responsabili delle vendite intorno a quel tavolo. Vediamo cosa hanno da dire.”Arrivarono alla spicciolata, chi con l’aria trafelata, qualcuno con il ghigno strafottente di chi crede di saperla più lunga degli altri, altri con lo sguardo impaurito di chi presagisce la tempesta. La signora Pierantonio, la segretaria dell’Amministratore delegato, li faceva accomodare attorno al grande tavolo ovale. I pochi che avevano voglia di parlare, più che parlare parlottavano a piccoli gruppi. I consiglieri avevano preso posto nella parte alta del tavolo: D’Avena, Budelli, Cassino, Carini e poi, via via, tutti gli altri. Non una parola tra di loro: D’Avena sminuzzava fogli di carta in tanti pezzettini uguali che ammonticchiava in ordine sul bordo del tavolo, Budelli fingeva di leggere con grande interesse un documento, Cassino inviava e riceveva compulsivamente sms con il telefono cellulare, Carini confabulava con uno dei responsabili delle vendite che gli sibilava qualcosa nell’orecchio da quando erano entrati insieme tenendosi a braccetto. “Bene signori – esordì William, quando sopraggiunse trafelata l’ultima ritardataria, la avvenente dottoressa Calandri – potremmo dire “Huston, abbiamo un problema”” “Potremmo dire “avevamo un problema” - lo interruppe sibilando D’Avena, che notoriamente non aveva mai sopportato la passione dell’amministratore delegato per le citazioni di film americani - visto che ormai non abbiamo più neanche bisogno di soccorso: la navicella è e-s-p-l-o-s-a e noi siamo stati s-p-a-z-z-a-t-i v-i-a” disse sibilando lettera per lettera le ultime parole. “Non apriamo subito le polemiche – replicò William - so benissimo che intorno a questo tavolo sono rappresentate istanze e visioni diverse, ma non è questa la sede per addentrarsi in discussioni complicate: oggi dobbiamo fare un’analisi approfondita della situazione della nostra azienda e cercare di capire perché non vendiamo i nostri prodotti. Le discussioni più generali lasciamole per dopo”. “Dopo quando?” intervenne la consigliera Biondi “E già. Quando, se non si convoca mai l’assemblea degli azionisti?” Le fece eco il giovane consigliere Fetta che fino ad allora era stato, nel silenzio quasi generale, se possibile, il più silenzioso di tutti. “Suvvia signori, cerchiamo di dare un senso a questa discussione. Ripropongo il tema che deve stare al centro della nostra riflessione: perché non riusciamo a vendere? Ha chiesto di parlare il consigliere Budelli, sentiamo cosa ha da dirci” “Grazie William – Budelli si era alzato in piedi tenendo nella mano destra un foglietto stropicciato, gli occhiali calati sulla punta del naso, la mano sinistra in tasca. Dopo un lunga pausa durante la quale aveva guardato da sopra gli occhiali tutti i presenti, riprese: “grazie per averci almeno convocati…è già un passo avanti (mormorio in sala e qualche risatina nervosa). Cercherò, come tu hai chiesto, di stare al tema. A mio modo di vedere alla radice del problema c’è un macroscopico errore di marketing: abbiamo trascurato in questi mesi, e io, datemene atto, vi avevo avvertito, una fascia di mercato fondamentale, quella dei consumatori di verdure, che si sono sentiti abbandonati a se stessi nei nostri punti vendita e si sono rivolti alla concorrenza. E’ vero che la vostra catena di vendita, prima della fusione, era molto più forte nei prodotti di salumeria e macelleria, ma questo non vi dava titolo per trascurare e umiliare i nostri clienti tradizionali”. “ma cosa stai dicendo? – lo interruppe Cassino, facendo volare il suo telefono cellulare in mezzo al tavolo – “ma come ti permetti? Dopo che abbiamo dato il sangue su tutto il territorio per promuovere i tuoi venditori che si sono permessi di mettere sui loro banchi le scritte “mangia sano, mangia verdure”, “vegetariano è bello”, “più carne, più colesterolo”. Sai di quanto è crollata la vendita della carne ai banchi dopo quella campagna? Non lo sai? Te lo dico io: del 25 per cento è calata. Abbiamo dovuto venderla sotto costo alle mense se no marciva…” “E allora avete fatto la campagna “io mangio carne…e si vede. Ma, soprattutto, si sente” con un pornodivo come testimonial. Vedete, quello che non volete capire è che noi dobbiamo farci carico dei bisogni di una fascia di clientela che ha gli stessi diritti di cittadinanza delle altre. E, inoltre, mi permetto di segnalarvi che la nostra politica commerciale non piace per niente alla CEI, la Compagnia Esperienze Innovative che considera la scelta vegetariana prioritaria…e voi sapete quanto sono potenti quei signori e come sono in grado di orientare il mercato”. “Sì – intervenne Fetta – io, per esempio mangio, ma solo ogni tanto eh, la carne, ma mi sento vegetariano dentro, anzi sono convintamene vegetariano e però vorrei che anche chi vuole, magari con moderazione e sotto il controllo di un medico, consumare una fettina…beh …insomma dovrebbe potere farlo” “Il problema non è né la carne né la verdura – li interruppe Gemma Tomino, l’imprenditrice casearia che aveva accettato di entrare nel consiglio dell’azienda alla sua fondazione – il problema è il formaggio, il problema sono i latticini. Per colpa delle vostre diatribe da cortile le mucche scoppiano perché il latte non viene più munto, i caseifici hanno i magazzini pieni e producono liquami di formaggio che stanno inquinando i fiumi, e nessuno sta a sentire Pianella, il rappresentante dei produttori di formaggi puzzolenti, che sono mesi che con grande intelligenza e abnegazione conduce una battaglia solitaria per la salvaguardia dei formaggi…” “Così non andiamo da nessuna parte – si frappose Tersani – io credo che tutti i clienti siano uguali, che non ci siano clienti più uguali degli altri. Il vero tema è che…” “Ma se po’ sape’ che annate dicenno?” La voce chioccia proveniente dal corridoio suonò come una schioppettata nella sala. Tutti si voltarono verso il corridoio d’accesso alla sala dove nella penombra, una mano appoggiata al muro, l’altra a brandire un piumino, stava una addetta alle pulizie. “Aho, è quasi n’ora che vve sto a senti’ e ammappa se ne avete dette de cazzate! Co’ licenza parlanno voi state a parlà di quello che la ggente se magna, mica de filosofia. Allora ve lo dico io perché invece che annà a fa spesa nei vostri PD – Pronto Discount vado da quell’artri di PDL – Pronti Desideri Liberi. Perché ce lo so che la robba vostra po’ esse più bbona e magara costa puro de meno, ma ce sta che quanno vado da voi me fate sempre na lezione: “e magna questo e nun quell’artro”, “e pensa a questo”, “e pensa quello”. Quanno vo da loro me dicheno “che vvoi?”, me fanno i complimenti, me fanno sentì bella, me dicheno “magna quanto te pare, strafogate quanto voi e nun pensà ar conto tanto qualcuno paga”. Sì è vero, mo’ ce sta qualche debituccio in più ma chissenefrega ‘ndo lo metti?”.
Comunicato stampa della PD – Pronto DiscountLa signora Assunta Ceccarelli assume da oggi l’incarico di Amministratore delegato della nostra società. Gli azionisti, nel formulare alla Ceccarelli i migliori auguri per un buon lavoro per il rilancio della società, sono lieti di sottolineare come il nuovo amministratore delegato sia stato selezionato tra il personale della società. Ceccarelli, 43 anni, tre figli, ha infatti cominciato a collaborare con il gruppo PD dieci anni or sono come Responsabile del settore Cleaning della sala cda ed ha percorso successivamente tutti i gradini di una brillante carriera interna.
Ok, ok...Walter Veltroni se ne è andato. E adesso? Cooptazione del nuovo coordinatore nazionale? Congresso straordinario? Nuove primarie?
Per l'intanto condivido la proposta che mi ha fatto, via facebook, l'amico Emanuele Pagin, grandissimo tifoso interista. Lui una proposta per il futuro del PD ce l'ha...ed è proposta che mi esalta...
Ormai vedo all'orizzonte un'unica soluzione..un uomo alla guida del PD con le idee chiare, che sappia gestire al meglio i rapporti coi responsabili dell'informazione, che porti una ventata di novità e, perché no, di sana spavalderia. Tu che frequenti qualche pezzo grosso del partito fatti portatore della mia istanza: vogliamo MOURINHO segretario del PD!
Sì Emanuele, condivido totalmente...e poi diciamocela tutta...uno che, alla vigilia della partita contro la Samp, dichiara:
La formazione contro la Samp? Julio Cesar, Maicon, Cambiasso, Materazzi, Maxwell, Stankovic, Muntari, Zanetti, Ibrahimovic più due. Va bene così
non può che fare pure il Presidente del Consiglio...
Ormai manca solo l'ufficialità, ma il dato è pressoché definitivo: Ugo Cappellacci sarà il nuovo Governatore della Sardegna, battendo alle elezioni regionali il presidente uscente, Renato Soru. Al momento, scrutinate 1.644 sezioni su 1.812, il candidato del Pdl ottiene il 51,86%, mentre quello del Pd si attesta al 42,94%. Moltissime le schede nulle. Soru ha già telefonato a Cappellacci per complimentarsi e fargli gli auguri di buon lavoro. Crolla la coalizione di centrosinistra inchiodata al 38,67% contro il 56,66 del centrodestra. Ma Soru si conferma vincente nella leadership conquistando quasi cinque punti in piu' della sua coalizione. Cappellacci ne ha presi esattamente 5 in meno. Il Pdl diventa il primo partito nell'isola superando il 30%, il Pd al contrario affonda e non arriva al 25% (un anno fa alle Politiche si attesto' al 33% e nelle Regionali del 2004 la somma dei tre partiti confluiti nel Pd, Ds-Dl-Progetto Sardegna, porto' una dote attorno al 32%).
E adesso? Adesso parleremo di un destino cieco e baro? Del fatto che gli italiani non hanno ancora capito quale è il nostro progetto politico (ma ne abbiamo uno?)?
Sentite Massimo Franco ne Il Corriere di oggi:
La crisi economica comincia a mordere il Paese. Il paradosso è che le responsabilità non si scaricano sul governo, ma sui suoi avversari....Tutto questo però non basta a cancellare il sospetto di una implosione che coinvolge la nomenklatura del centrosinistra e la sua cultura politica.
E allora, per favore, signori e signore della nomenklatura 'ndè casa (trad. andate a casa)...per favore...almeno così ci lasciate liberi di rovinarci con le nostre mani
Cominciamo la settimane con alcune buone notizie....
1) Adriano - Stankovic...un 2 a 1 che ci porta a +9 da Torino e addirittura a +11 dall'altra metà di Milano...e non mi si venga a parlare di gol molto dubbio perché anche un pareggio a noi andava bene, anzi benone....
2) Questa non so se sia buona o cattiva.....
Dal Corriere di ieri:
L'avviso di Rutelli e degli ex Dl: avanti così e ci sarà la scissione
(...)infatti non è da ieri che si respira un clima di scissione nel Pd. Da giorni, per esempio, nei suoi colloqui riservati l'ex leader della Margherita osserva sconsolato l'orizzonte: «Abbiamo faticato tanto per dar vita a una cosa nuova e ora dovremmo andare alle primarie per la segreteria con due candidati dei Ds? È impensabile. Basta. Così non si va da nessuna parte». Rutelli non riduce il problema a una questione nominalistica, «non è solo l'infinita lotta tra Walter e Massimo, a cui ora si aggiunge Pier Luigi. E non si può nemmeno ridurre tutto allo scontro fra centristi e sinistristi. Qui — ha spiegato ad alcuni colleghi — c'è la difficoltà di un partito che fa fatica su tutto, fatica a parlare con il Paese, e si rifugia magari nelle piazze, negli slogan, oppure dietro la Cgil. O ancora nel laicismo. E appena provi a esprimere una tesi, c'è chi dà una lettura caricaturale del rapporto tra i cattolici e la Chiesa. Come fossimo teleguidati dai cardinali. Mi chiedo, allora, cos'è il Pd se non possono avere patria i contributi di idee di quanti militavano nella Margherita? Non è un caso infatti se un terzo degli elettori dei Dl se n'è andato». (...) Fioroni è preoccupato che l'offensiva di D'Alema «cambi il progetto del Pd». Quale sia il progetto dalemiano è chiaro agli «indipendenti di centro»: Bersani alla guida del partito che aggreghi pezzi di sinistra radicale e in prospettiva lanci un candidato- premier espressione del mondo cattolico o comunque moderato. «Ma noi non potremmo fare gli indipendenti di centro in un partito troppo di sinistra», commenta Follini: «Se fossimo costretti ad assistere dalla tribuna al derby tra Veltroni e Bersani, vorrebbe dire che il Pd ha preso la deriva della "Cosa 4". E noi lì non potremmo approdare». Più o meno quanto avrebbe spiegato a D'Alema giorni fa con una battuta: «Massimo, non è pensabile che noi stiamo in Italia con la Cgil, in Europa con il Pse e in Medio Oriente con Hamas»
3) Un consiglio di lettura...assolutamente particolare. Si intitola (e già il titolo è cosa bellissima)Con un piede impigliato nella storia: 272 pagine (che Feltrinelli spedisce in libreria, il 12 marzo, a 17 euro) scritte da Anna Negri, primogenita di Toni Negri: una rilettura di uno spezzone del secolo scorso (dal 1969 al 1983, quando il padre - eletto in Parlamento tra le fila dei radicali - fugge in Francia) visto con gli occhi di quella ch'era bimba (Anna è nata nel 1964) a cui hanno negato una esistenza normale: (...) quando si tratta di figli non ci sono vittime o carnefici; siamo tutti bambini traumatizzati da una Storia che non ci apparteneva e non abbiamo scelto.
4) Incrociamo le dita : così stamani Matteo Renzi che, quasi certamente, ha vinto le primarie per la candidatura a sindaco di Firenze....grande!
Il mondo odierno è più sicuro I dati smentiscono la catastrofe prevista
Pino Arlacchi contro «la fabbrica della menzogna» che contribuisce a gonfiare i fatturati militari
Ci sono studiosi che ripetono in televisione le tesi che li hanno resi famosi e ci sono studiosi che continuano a studiare. Pino Arlacchi è uno di questi. E si vede. Dieci anni di ricerche e analisi su conflitti, terrorismo e crisi mondiali di vario genere colpiscono nel segno. L'autore de L'inganno e la paura (Il Saggiatore) smaschera «il mito del caos globale», ovvero la sequela di previsioni funeste, scontri di civiltà, minacce planetarie, domande di sicurezza e bisogni di difesa (militare o poliziesca) che tormentano la nostra epoca, caricando l'individuo di angosce immotivate ed eccessive. Sociologo, ex deputato, vice segretario dell'Onu dal 1997 al 2002, Arlacchi non commette l'ingenuità di contestare i profeti di sventura con rassicuranti elogi del pacifismo o della tolleranza. Al contrario, utilizza l'arma incontestabile dei numeri: cifre, statistiche, grafici di medio e lungo periodo, per dimostrare che il nostro mondo (così come le nostre città e la nostra vita quotidiana) è più sicuro, più pacifico, più democratico di quanto non fosse mezzo secolo fa e lo è ancora di più a partire dalla caduta del Muro di Berlino. Ci sono dati che dovrebbero rassicurare, anziché spaventare, soprattutto se si considera il progresso dell'umanità anche in termini di salute, speranza di vita, ricchezza prodotta. Le vittime di guerre e il numero dei conflitti sono costantemente diminuiti. Lo stesso si può affermare — in particolare in Occidente — a proposito di criminalità comune e terrorismo. Gli organismi internazionali, nonostante falle e debolezze, assicurano maggiore stabilità e soluzioni negoziate. Il numero di sistemi democratici è in costante aumento. I flussi migratori hanno prodotto più benefici che problemi. Qualche esempio dovrebbe far riflettere. Il numero delle vittime civili americane per fatti di terrorismo, se si esclude il 2001 (l'anno dell'11 settembre) è di 187 fra il 1991 e il 2007. L'81 per cento di attentati terroristici fra il 2005 e il 2007 è avvenuto nell'area Medio Oriente-Golfo Persico, mentre la percentuale in Europa e nelle Americhe non supera l'1 per cento. Nel 1946 c'erano soltanto venti democrazie, nel 2007 sono novantaquattro e soltanto otto Stati possono essere considerati dittature assolute. Negli ultimi quindici anni, le vittorie militari hanno risolto il 7,5 per cento dei conflitti, mentre il 92 per cento sono stati risolti attraverso il negoziato. La freddezza delle cifre non rende giustizia alla realtà e — almeno finora — rischia di essere perdente rispetto all'abbondante letteratura del rischio, al «grande inganno» di quanto si legge ogni giorno sui giornali o si sente sulla bocca di politici, strateghi e più o meno accreditati «guru» del disastro globale. Ed è questo «grande inganno» che contribuisce a far lievitare le spese militari, a rendere insicuro il cittadino e — come si è visto negli ultimi anni — ad accreditare le tesi della guerra giusta o inevitabile, dal Kosovo all'Iraq. O peggio ancora a moltiplicare la pubblicistica dei nuovi pericoli — militari o politici — genere «minaccia cinese», l'«orso postsovietico», «ondate migratorie» eccetera, con l'intento di alzare nuove barriere militari, culturali, economiche. Sul medio e lungo periodo — insiste Arlacchi — si assiste al contrario a una «trasformazione epocale della convivenza collettiva » e a un «regresso fondamentale dell'uso della forza» nei rapporti fra individui e Stati. «Neppure l'invenzione delle armi nucleari — aggiunge l'autore — è riuscita a interrompere il trend di base». Se i dati sono indiscutibili e potrebbero offrire al lettore abbondante (e rassicurante) materiale di riflessione, resta da comprendere attraverso quali meccanismi e in forza di quali interessi la percezione dell'opinione pubblica sia di segno opposto. La risposta di Arlacchi è naturalmente un po' meno scientifica. Cifre e tendenze vengono negate e stravolte da una «fabbrica della menzogna» che ha contribuito a giustificare «fatturati stellari» delle spese militari e a mortificare le possibilità decisionali dei cittadini. Senza un «cattivo di turno» sarebbe più facile credere a un mondo migliore. Ma le buone notizie, molto spesso, disturbano più delle cattive.
Dal programma elettorale del Partito Democratico (sottoscritto da tutti i candidati alle elezioni per il Senato e la Camera dei Deputati):
Il PD riconosce il diritto inalienabile del paziente a fornire il suo consenso ai trattamenti sanitari a cui si intende sottoporlo, così come previsto dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione di Oviedo. Il PD si impegna inoltre a prevenire l'accanimento terapeutico anche attraverso il testamento biologico.
A questa norma, e soltanto a questa, sono tenuti alla piena e totale osservanza tutti gli eletti del Partito Democratico. Non capisco come si possa invocare un "voto di coscienza" senza ricordare che, comunque sia, noi (intendo dire, noi iscritti del PD) - se avessimo vinto le elezioni - avremmo introdotto il cosiddetto testamento biologico.
è possibile scaricare sia il Disegno di Legge sul cosiddetto "testamento biologico" - predisposto dall'onorevole Raffaele Calabrò (PdL) mentre il Senato ha dato il via libera alla seguente mozione:
Il Senato, premesso che è sempre più urgente la discussione e l'approvazione di norme che garantiscano la certezza di cure idonee e di adeguata assistenza nella fase terminale dell'esistenza ovvero quando le condizioni personali non consentano di provvedere in maniera autonoma alle necessità vitali fondamentali, nella piena convinzione che nel nostro Paese nessuno debba più morire di fame e di sete,
impegna il Governo a garantire che, l'alimentazione e l'idratazione, in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere negate da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi.
Infine consiglio la lettura di questa riflessione scritta dal segretario regionale del veneto del PD, Paolo Giaretta:
Non ho preso finora posizione sul caso Englaro per rispetto alle diverse sensibilità presenti nei dirigenti ed elettori del PD e per rispetto del lavoro portato avanti dal gruppo del Senato, nella ricerca in gran parte riuscita di offrire al paese soluzioni che in materia così delicata contribuiscano a creare una coscienza condivisa e non ad arruolare in guerre ideologiche o religiose. Il paese ha bisogno di una classe politica capace di costruire le ragioni di una pace civile, a maggior ragione in materie che toccano così da vicino le coscienze individuali. C’è bisogno in queste materie di leggi che vengano sentite tali da tutti gli italiani, non di manifesti ideologici. Le ultime scelte del Governo vanno oltre le scelte di merito. Si sta esercitando attorno al povero corpo di una donna un macabro esercizio senza pietà e senza rispetto della dignità umana. Un corpo, una persona che meriterebbe rispetto diventa l’oggetto di un puro gioco di potere. Come distrarre l’opinione pubblica dalla difficile situazione del paese, dai fallimenti dell’azione del governo, come accreditarsi come campioni della morale essendo protagonisti di comportamenti immorali. Chi crede che nell’azione del Governo sia in gioco la difesa della dignità della vita umana pensi che quello stesso governo il giorno prima ha fatto approvare una norma che impedirà ad una donna che già vive il peso della clandestinità di poter pensare ad una maternità avendo la possibilità di accedere alle cure, non potrà garantire al suo bambino un parto assistito, non potrà curarlo. E’ questa la difesa della vita?Le offensive e vergognose parole del presidente del Consiglio devono suscitare disprezzo in ogni donna ed ogni uomo che conservi un barlume di coscienza. “Eluana potrebbe avere un bambino”. Chi, come, quando? Non c’è rispetto per la persona, per la famiglia, per le migliaia di famiglie italiane che accudiscono i propri cari in stato vegetativo senza alcun aiuto da parte dello Stato e che non hanno bisogno di queste bestialità.Sono grato al Presidente della Repubblica perché ha difeso senza incertezze la nostra Costituzione. Anche questo è un valore importante. La democrazia non è un orpello retorico, ma è lo strumento necessario per la costruzione del bene comune. Il valore così grande della vita non è mai stato garantito nei regimi totalitari.Faccio un appello a tutti, laici e credenti, perché non si scoraggino nel costruire soluzioni condivise di fronte a questioni tanto più grandi della banalità degli schieramenti politici e dei giochi quotidiani di potere.Ai miei fratelli nella fede sento da privato cittadino il dovere di ricordare che dobbiamo sentirci segnati dalla croce e non crociati. Perciò segnati dall’amore, dalla pietà e dalla carità e non dalla violenza ideologica.
Nel caso di Eluana Englaro gli avvoltoi, che di solito si gettano sui morti, si sono accaniti su una persona viva ancorché morente; il tragico, irresolubile problema di quando smettere di difendere la vita di un individuo è stato empiamente usato per un disegno di sovversione politica, inteso a colpire — ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere — le regole dello Stato di diritto, doverosamente difese dal presidente della Repubblica, uno dei cui principi fondamentali è che l’esecutivo non può modificare o annullare con decreti quanto è stato deciso in via definitiva da un tribunale, si apprezzi o meno la sentenza. In tal modo si lede scandalosamente quella divisione di poteri su cui si fonda ogni democrazia liberale. Il problema, esemplificato dal caso di Eluana Englaro ma che coinvolge tante altre persone il cui dramma passa sotto silenzio, è tragico. A differenza dalla sua fase iniziale, in quella finale la vita non conosce un punto preciso in cui essa possa considerarsi conclusa; si sa quando si abortisce, quando si interrompe la vita di un individuo, ma non si sa quando sia lecito o pietoso staccargli la spina. Non è un criterio la qualità della vita, che può essere valutata solo dall’interessato, l’unico autorizzato a decidere sulla propria vita e sulla propria morte e ad uscire di scena quando crede, come facevano con serenità gli antichi, condizionato solo dalla sua eventuale responsabilità verso altre persone. Non è certo un criterio il lasciare libero corso alla natura, la quale produce pure lo tsunami e le epidemie, alle cui vittime dobbiamo prestare soccorso. La Chiesa se la cava condannando l’accanimento terapeutico, concetto in sé vago, perché non si sa quando esso inizi; di per sé, ogni lotta contro la morte è accanimento terapeutico e guai se non fosse così, perché il primo dovere è quello di difendere ogni individuo. In assenza di un’esplicita volontà espressa—il testamento biologico, in questo senso, è un fondamentale aiuto per affrontare il problema—ci si può affidare solo a un vago e sempre fallibile buon senso, che nel caso di Eluana Englaro sembra indicare come fosse tragicamente comprensibile lasciarla morire. Ossia aiutarla a morire, perché in questo campo non sono lecite ipocrisie: togliere cibo o altre sostanze necessarie per vivere significa togliere la vita; pure chi, seguendo la Chiesa che condanna l’accanimento terapeutico, smette di fornire al paziente le cure per la sua sopravvivenza deve sapere che egli lo abbandona alla morte e in certo senso gli dà la morte, perché ritiene sia, in quella circostanza, la cosa meno inumana. Naturalmente il buon senso — che non è né la morale, né la scienza, né la fede, né la politica, bensì un umanissimo, prezioso ma talora pure pericoloso e pasticcione stato d’animo — può sbagliare e in questo caso lo sbaglio è tragico. Ma questo buon senso è, almeno per ora, l’unica precaria frontiera lungo la quale muoversi, perché altrimenti si cade in astrattezze ideologiche o in una truce concezione eutanasica dell’esistenza intera, la quale si arroga il diritto di stabilire il criterio della qualità della vita e il diritto di vita e di morte. Conosco uomini e donne che da anni continuano a vivere con persone amate ridotte a una condizione che impedisce loro ogni reazione e ogni comunicazione, ma non impedisce una misteriosa e concreta comunicazione affettiva; per usare una vecchia parola —la più antica, difficile del mondo, direbbe Saba —l’amore. Ora Eluana Englaro è in quella grande oscurità che, diceva il teologo gesuita Karl Rahner, è l’incomprensibile mano di Dio che raccoglie ogni destino; oscurità la quale non è forse meno importante della vita che va amata e protetta ma non idolatrata. Restano le ferite che la sua morte ha inferto a chi l’ama e quelle che l’indecente attacco, in suo nome, ai principi elementari dello Stato, ha inferto al Paese, alla qualità della vita di tutti. Anche un Paese può essere costretto a fare testamento.
In un suo vecchio libro (Il secondo diario minimo), Umberto Eco si dilettava ad inventare discipline del sapere assolutamente improponibili ma che avrebbero potuto persino assurgere al rango di materia universitaria. Tra queste ricordo la tetrapiloctomia, vala a dire "l'arte del dividere il capello in quattro". A me pare che, al di là del pesantissimo e preoccupantissimo conflitto istituzionale (su cui tornerò più avanti) apertosi tra la Presidenza della Repubblica e quella del Consiglio dei Ministri, sul cosiddetto "caso Eluana" ci si sia "limitati" a discutere di particolari (la conformità della casa di cura, la legittimità della sentenza, il diritto individuale) ma non della questione vera e propria, e cioè il significato che - ciascuno - attribuisce al concetto di "vita". Per ragioni assolutamente personali in questi ultimi giorni sto ragionando sul fatto che la vita di ognuno è un insieme di relazioni: verbali, empatiche, emozionali. Non conta il saper o meno verbalizzare tali relazioni, è fondamentale però viverle. A ben pensare è esattamente questo che divide la vita animale da quella sottospecie che è la vita umana: nella capacità di gestire, metabolizzare, vivere, interiorizzare queste relazioni. Può Eluana vivere questa esperienza? Mi spiace ma non lo credo. E, se amplio questa mia non convinzione, ne devo necessariamente concludere che, ad oggi, Eluana Englaro non sta vivendo. Certo: ha riflessi dai tratti umani (deglutisce, tossisce, ha il ciclo mestruale) ma la scienza medica ci spiega che questi riflessi - essendo del tutto involontari - non presuppongono stato di coscienza alcuno. Cinque anni fa, una persona per me carissima e fondamentale nella mia vita, venne improvvisamente colpita da un aneurisma cerebrale. Quando il neurochirirurgo spiegò che, se fosse sopravvissuta alle successive 48 ore, quella persona sarebbe rimasta un vegetale tali e tanti erano i danni provocati al suo cervello, mi sono seriamente e profondamente posto il problema se, in quel caso, fosse ancora vita ciò che mi legava a quella persona. E, amaramente, ho concluso che no, quello stato tutto avrebbe potuto essere tranne che vita. Ho visto, anni fa, una persona in stato vegetativo permanente: l'ho seguita nel suo innarestabile delcino e avvicinamento alla morte. Mi spiace ma quella persona non sono riuscito mai a considerarla ancora in vita per lo meno in vita umana. Perché vita è accarezzare un volto e riceverne da questi un sorriso. E' parlare, ricevendone in cambio segni di risposta. E' sorridere. E' piangere. Ecco perché io credo, fermissimamente credo alla libertà che deve essere data a ciascuno di scegliere se e quando ciò che lui ritiene essere vita sta finendo e, conseguentemente, essere in grado di poter esprimere, serenamente, la propria volontà. E', io credo, un diritto inviolabile dell'individuo, è una libertà personale cui nessun governo, nessuna legge può opporvisi. Perché poi, alla fine, rischia di rimanere sullo sfondo il dramma quotidiano di un genitore che vede, nell'entrare e uscire da una stanza di ospedale, il tempo che scorre e che teme, profondamente teme, di non sopravvivere al proprio figlio.
Quanto a quello che è avvenuto tra Napolitano e Berlusconi, ne Il Corriere di sabato vi era spiegato che la lettera "riservata" con cui Napolitano esprimeva i propri dubbi di legittimità costituzionale, era stata chiesta - quale parere preventivo - da Gianni Letta. E dunque tale e tanto motivo di imbarazzo da parte del governo francamente non l'ho capito. Ho apprezzato, invece, la lunga intervista che Maurizio Sacconi ha rilasciato, sempre ieri, ad Aldo Cazzullo: Sacconi, favorevole al ripristino dell'alimentazione ad Eluana, ha motivato le proprie ragioni - sulle quali sono comunque in dissenso - in maniera assolutamente civile, limpida e profonda.
Ed ecco, infine, l'editoriale odierno di Angelo Panebianco:
Il conflitto fra i difensori del «diritto alla libertà di scelta» e i difensori della «sacralità della vita» è degenerato nel modo in cui sappiamo. La violenza dello scontro ha coinvolto le istituzioni al massimo livello e ha spaccato il Paese. Due partiti nemici (si badi: ho detto nemici, non avversari) si fronteggiano e nessuno sa come andrà a finire. Come sempre in questi casi, è scattato, nei due campi, l'ordine di mobilitazione generale, la militarizzazione delle coscienze è in corso, e la consegna, per le opposte schiere, è di non fare prigionieri. Eppure, nonostante la violenza del conflitto, e la polarizzazione che l'accompagna, non è così facile (come vorrebbe farci credere la propaganda dei due contrapposti partiti) spazzare via i dubbi che le persone di buon senso, quali che siano le loro convinzioni morali, devono per forza nutrire di fronte a una vicenda come quella di Eluana. Anche se non è detto che i protagonisti ne abbiano piena contezza, l'intrattabilità politica del tema trova una eco nei «trasversalismi » e in certe contorsioni che si manifestano in queste ore nell'arena pubblica. Se il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, sceglie di non seguire il leader dello schieramento cui appartiene, aprendo così una frattura difficilmente ricomponibile, ecco che Antonio Di Pietro, l'arcinemico di Berlusconi, dichiara di dare libertà di coscienza ai suoi parlamentari sul provvedimento del governo, ammettendo così implicitamente il proprio accordo con la scelta del premier di tenere in vita Eluana. E si noti che anche alcuni settori del Pd sono orientati a votare a favore. Ormai le cose si sono spinte troppo in là, è troppo tardi per fermare il processo che si è messo in moto ma è giusto per lo meno dare testimonianza del fatto che, oltre ai due partiti che si scontrano, ne esiste anche un terzo, per lo più silenzioso, e che, comunque vada la vicenda, è già stato sconfitto. È il partito di chi pensa che la Politica, la Democrazia, il Diritto, e tutte le altre più o meno utili astrazioni che siamo soliti invocare per imporre faticosamente un minimo di ordine nella vita associata dovrebbero essere tenute fuori dalla porta al di là della quale sono in gioco, come in questo caso, le questioni ultime dell'esistenza. È il partito di chi pensa che occorrerebbe coltivare, nella riservatezza e nella discrezione, una zona grigia, protetta da una necessaria ipocrisia, nella quale le decisioni sul caso singolo (sempre diverso, almeno per qualche aspetto, da qualunque altro caso singolo) restano affidate alla sensibilità e alla pietas del medico che ha in cura il malato e ai sentimenti delle persone che lo amano. Che è quanto si è sempre fatto, checché ne dicano certi sepolcri imbiancati. È il partito di chi pensa che quelle situazioni debbano essere sottratte al clamore delle «battaglie di principio». Condivido quanto ha detto Emanuele Severino (sul Corriere di ieri): a scontrarsi sono due forme di violenza. I due partiti millantano certezze assolute che, su questa terra almeno, a nessuno è dato di possedere. Fa francamente effetto (e non è un bell'effetto) vedere, nei telegiornali, le opposte fazioni mobilitate e schierate, a Udine e in altri luoghi, l'una a difesa della vita di Eluana e l'altra a difesa del suo diritto a morire. Credo che, in queste ore, nessuno incarni lo spirito dei due partiti contrapposti meglio di Marco Pannella e di Giuliano Ferrara, due uomini stimabilissimi per il coraggio, la passione e l'onestà intellettuale con cui difendono le cose in cui credono. Schierati sugli opposti lati della barricata Pannella e Ferrara hanno tuttavia una cosa in comune: credono entrambi che tocchi alla legge, e alla democrazia che fa le leggi, il compito di imporre la soluzione. Per il diritto del singolo a scegliere, sempre e comunque (Pannella). Per l'intangibilità della vita, sempre e comunque (Ferrara). Anche se la differenza è che, per Ferrara, l'intervento del Parlamento dovrebbe essere la risposta di emergenza a una sentenza emessa in assenza di legge. Spiacente ma sono in disaccordo con entrambi. Deploro fortemente la giuridicizzazione (e l'inevitabile politicizzazione che l'accompagna) di questioni come questa. La legge è uno strumento che gli uomini hanno inventato per ridurre l'arbitrio, per trattare in modo il più possibile simile casi simili. Le «buone» leggi (non sempre le leggi sono buone) rappresentano effettivamente un utile strumento, ancorché imperfetto, per favorire uguali trattamenti e affermare principi universalistici in molte situazioni. Ma non credo affatto che una legge possa davvero regolare le questioni-limite di cui qui parliamo. Data l'estrema variabilità dei casi, e le profonde, irriducibili, differenze fra le persone, una legge che offre una buona soluzione per un caso può risolversi in una intollerabile forma di violenza in un altro caso. D'altra parte, dire leggi significa dire tribunali. Proprio il caso di Eluana mostra quanta fragilità, quante incongruenze, quante contorsioni, siano contenute nelle sentenze dei tribunali su vicende come la sua. Lo stesso discorso vale per la democrazia. Con tutte le sue brutture e volgarità, è pur sempre la migliore forma di governo, dal momento che consente di risolvere le controversie senza spargimenti di sangue, con il voto anziché con le armi. Da qui però ad affidarle le decisioni sulla vita e sulla morte ce ne corre, o ce ne dovrebbe correre assai. Parlamenti e tribunali, insomma, dovrebbero essere tenuti lontani da queste cose, a conveniente distanza di sicurezza. Certo, i progressi della medicina modificano continuamente le situazioni e la politica subisce un'inevitabile pressione a intervenire. E può anche accadere, in qualche caso, che un Parlamento riesca a sfornare una legge (ci credo poco, ma l'eventualità non può essere scartata a priori) che rappresenti un buon punto di equilibrio fra opposte, e forse ugualmente rispettabili, esigenze. Se non c'è verso di tenere le grinfie dello Stato, ancorché democratico, lontano dalle questioni estreme, che almeno si evitino gli eccessi. La politicizzazione della morte è il misfatto più grave che una democrazia possa commettere.
Le bordate di Fini e Lega mostrano le difficoltà del partito unico nel centrodestra Sembra quasi che non sia più «il caso Eluana». Da ieri la tragedia è diventata una questione politica: con tutte le implicazioni sgradevoli delle polemiche strumentali e dei giochi di sponda; con qualche rischio di un braccio di ferro fra istituzioni.
Le motivazioni di principio della Chiesa cattolica contro la scelta di non dare più da mangiare e da bere ad Eluana Englaro si sono riversate sull'atteggiamento di gran parte del governo; e di rimbalzo hanno schierato quasi tutta l'opposizione su un altro versante culturale, presidiato dai radicali. Il «no» alle misure in extremis tentate da Palazzo Chigi si è caricato di altri significati. È diventato difesa delle sentenze della magistratura, perché secondo il centrosinistra il decreto ipotizzato da Silvio Berlusconi per impedire la morte della ragazza aveva il sapore di un'usurpazione delle decisioni della Cassazione. Nel frastuono della triangolazione polemica Vaticano-governo-opposizione, sono state accreditate perplessità da parte di Giorgio Napolitano. Il capo dello Stato sarebbe apparso poco convinto dello strumento ipotizzato dal premier per fermare le procedure che porteranno alla morte di Eluana. Ma si tratta di voci che il Quirinale cerca di schivare. La rissa scatenatasi intorno alla tragedia ha rivelato la tentazione irrefrenabile di usarla come un qualunque altro argomento. Berlusconi, incalzato dalla Chiesa, ha dovuto fare i conti con la contrarietà esplicita del presidente della Camera, Gianfranco Fini. «Il decreto sarebbe un grave errore», ha scolpito Fini.
Ma il capo del governo si è anche scontrato con le resistenze della Lega. Roberto Maroni ha commentato gelidamente il provvedimento che il Consiglio dei ministri dovrebbe discutere oggi. È difficile non indovinare distanze di principio; e insieme contrasti interni al Pdl. La bordata di Fini induce a pensare che esistano tuttora problemi aperti sul partito unico del centrodestra. Si nota una vistosa sintonia fra le sue parole ed il «passo indietro della politica » invocato dal segretario del Pd, Walter Veltroni. Non bastasse, le norme approvate ieri con le quali i medici debbono denunciare gli immigrati clandestini in cura da loro, trovano ostacoli ben oltre i confini dell'opposizione. La Cei fa sapere che non denuncerà nessuno, riproponendo uno scontro culturale fra gerarchie cattoliche e Lega. Su questo sfondo convulso, il «caso Eluana» rischia di ridursi a pretesto scelto dalle forze politiche per regolare altri conti. In un clima così precario, non è neppure sicuro che alla fine si concordi una legge sulla «fine della vita» per scongiurare altri conflitti e forzature. Il dialogo parlamentare sembra riuscire solo quando coincide con interessi concreti di potere.
Inutile negarselo...quanti fra noi han la passione della subacquea, magari (come è il mio caso) arricchita da una specializzazione in archeologia subacquea, almeno una volta nella vita un pensierino lo hanno fatto: scoprire - durante una immersione - reperti importanti, di straordinario valore. Unafortuna spessissimo toccata a Franck Goddio. 61 anni, francese nato a Casablanca - origini piemontesi da parte di padre, nipote per parte di madre di quell’Eric de Bisschop, esploratore e avventuriero nelle isole del Pacifico, che inventò il moderno catamarano -, Goddio arriva all'archeologia subacquea relativamente tardi, nel 1983, e avendo alle spalle studi di economia e di statistica. In pochi anni però è diventato un vero e proprio cercatore di tesori sottomarini specialmente lungo le coste egiziane. Molti, moltissimi i reperti scovati da lui e dai suoi collaboratori in fondo al mare. Ebbene: dal prossimo 7 febbraio 500 fra questi, saranno visitabili ( fino al 31 maggio) a Torino, nelle scuderie juvarriane nell'unica tappa italiana della mostra Egitto. Tesori sommersi.
Così gli organizzatori:
I reperti archeologici provengono da Alessandria, Heracleion e Canopo, antichissime città della zona del Delta del Nilo che nei primi secoli dell’era cristiana sprofondarono sei metri sotto il livello del Mediterraneo. Con il supporto di una sofisticata tecnologia geofisica, l’equipe guidata da Franck Goddio ha riscoperto i loro resti, miti, opere ed oggetti: dalla sensualità della statua in diorite di una regina, alla semplice quotidianità di alcuni ami da pesca in bronzo; dalle tre colossali statue in granito di oltre cinque metri, alle monete d’oro; dalla stele di Tolomeo con le sue 16 tonnellate di peso, all’anello nuziale in oro che porta incisa una frase del Vangelo. I reperti raccontano 15 secoli di storia dal 700 a.C. all'800 d.C.: un affascinante viaggio in quella parte dell'antico Egitto che fu a contatto con il mondo mediterraneo di Greci, Romani e Bizantini, prima della conquista araba. L’unica tappa italiana della mostra è arricchita dallo scenografico allestimento di Robert Wilson e dalle musiche e ambientazioni sonore di Laurie Anderson. Il visitatore attraverserà un lungo e buio corridoio che ripropone le suggestioni delle profondità marine, per arrivare nel cuore della mostra iniziando da una stanza totalmente luminosa, la “contemplation space” dedicata ad un solo, prezioso oggetto e al piacere della contemplazione. Seguono ambienti singolarmente allestiti: Sunken Forest (Foresta sommersa), Treasures Honeycomb (Alveare delle Meraviglie), Sphinx Box (Sfingi), Liquid Space (Trasparenze), Waves Power (Onde). La visita culmina, attraverso il lungo corridoio presentato come una scura galleria (Coral Tunnel), nell’ultima spettacolare stanza dedicata all’oggetto di maggiore mistero e sensualità: una statua femminile -dea o regina- che sembra sorgere dalle acque e che, con la perfezione e la bellezza della sua immagine, accompagna il visitatore verso l'uscita.
Insomma una ottima occasione per trascorrere un week end a Torino, città davvero bella e suggestiva dove, fra l'altro, si può assaporare un'ottima cucina. Il che, ovviamente non guasta mai....
Se ne è andato l'altro ieri sera. A 90 anni e con, alle spalle, una bibliografia sterminata. Dialettologo? Linguista? Filologo? Non so "etichettare" Manlio Cortelazzo che, pure, era certamente professore emerito di dialettologia all'Università di Padova. Ma non credo sia una questione di etichetta, di classificazioni professionali. Il vero, grande, merito del professor Cortellazzo è stato quello di dare dignità di studio ai dialetti, visti come lingue del tutto autonome. Ma non si è occupato solo di dialetti. All'interno della sua produzione letteraria come non ricordare il suo Dizionario etimologico della lingua italiana, autentica summa della storia del nostro vocabolario? Certo, lui che fu allievo di Bruno Migliorini, ha amato, profondissimamente, i dialetti visti come espressione di una identità culturale di un popolo, questa sì da valorizzare soprattutto oggi che assistiamo a riletture idiotesche di appartenenze linguistiche pseudorazziste. Ebbe a dire una volta: La storia ha voluto assistessi al rapido tramonto delle parlate dialettali, che prelude alla loro estinzione, sia pure non così prossima come alcuni paventano. Per questo mi sono sentito investito del compito di recuperare non l'uso del dialetto, impresa che andrebbe contro la storia, ma la conservazione delle sue ultime tracce, ancora molto cospicue.
Venerdì, domani, nel cortile del Bo, l'alazabara, riconosicmento solenne con cui l'Università saluta i grandi del sapere. Poi seguirà la cerimonia religiosa al Tempi della Pace. Infine la tumulazione.
Ho sempre pensato agli americani (meglio, statunitensi ma tant'è) come ad un popolo abbastanza strano. Anche linguisticamente. Ad esempio quel che noi, malati di anglofonia, chiamiamo football - vale a dire ciò che, secondo Brera, è divina geometria e cioè il calcio - loro invece lo chiamano soccer. Mentre quel che per loro è football per noi è una sorta di rugby (e qui non me ne abbiano a male i puristi della palla ovale). Dicono che, in USA, il football (che noi decliniamo con la specificazione aggettivale americano proprio per distinguerlo da quell'altro football) sia stato inventato dal direttore di una prigione che, preoccupato per l'aumento di episodi di violenza tra i detenuti, pensò bene di "importare" il rugby, trasformandolo per renderlo ancora più fisicamente duro. Ebbene: ieri sera la RAI mi ha sorpreso. Fino all'avvento della tv a pagamento (strana perversione per cui sei costretto a pagare per vedere qualcosa quando, spesso, dovrebbero pagare te per vedere) l'ultima domenica di gennaio (o la prima di febbraio), puntuale ogni anno, le reti Mediaset mandavano in onda la finale del Superbowl, la finalissima che assegna il titolo di campioni della National football league. Poi il Superbowl era affare loro, delle tv a pagamento. Quest'anno invece la sorpresa: la RAI ha mandato in onda, in diretta, l'edizione di quest'anno del Superbowl! Spettacolo emozionantissimo, fatto di scontri durissimi, di tattica, intelligenza ma anche di velocità, astuzia, strategia. A vincere sono stati gli Pittsburgh Steelers (che già dopo 4 minuti di gioco avevano segnato la prima meta non convalidata dagli arbitri poiché la moviola mostrava il ricevitore che toccava il terreno con un ginocchio prima del touchdown), come pronosticato dal loro tifoso più importante, il presidente Obama, che hanno sconfitto per 27 a 23 gli Arizona Cardinals , al termine di un incontro comunque incerto fino alla fine.
Che la forza sia con voi....
P.S: Che dire? Sempre meglio un pareggio che una sconfitta, soprattutto se a perdere sono gli altri......